Restituzione dei contributi concessori in caso di rinuncia al titolo edilizio
Qualora il privato rinunzi o non utilizzi il permesso di costruire, l’amministrazione comunale é tenuta alla restituzione della somma versata a titolo di oneri di urbanizzazione e per costo di costruzione, oltre interessi legali e senza rivalutazione monetaria.
In questi termini si é espresso il TAR Lombardia di Brescia il quale, con la decisione n.426 del 2 maggio 2019 che qui si segnala, ha accolto il ricorso proposto dal privato (entro il termine prescrizionale decennale) per contrastare l’inerzia serbata dalla amministrazione comunale dinanzi alla richiesta di rimborso degli importi già versati per gli oneri concessori, al momento del rilascio di un titolo edilizio relativo ad intervento mai posto in essere.
E ciò, dopo essersi rammentato che “..il contributo concessorio è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio...”, e che, pertanto, “… ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare. Ne consegue che, qualora il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, sorge in capo all’Amministrazione ex art. 2033 c.c. l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione nonché, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione; con la precisazione che il diritto alla restituzione sorge non solo nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente…” (cfr. TAR Lombardia – Milano, sez. II, del 7 gennaio 2016, n. 12; in senso conforme: TAR Sicilia – Catania, sez. II, del 27 gennaio 2017, n. 189).
L’Amministrazione resistente é stata quindi condannata, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., alla restituzione al ricorrente degli importi a tal titolo indebitamente percepiti, oltre interessi sino all’effettivo soddisfo, “…da calcolarsi, non essendo stata provata la sua malafede, a decorrere dal giorno della domanda e, quindi, dal giorno di notificazione dell’atto introduttivo del presente giudizio…”, e senza doversi riconosce rivalutazione monetaria (trattandosi di debito di valuta: cfr. Cassazione civile, sez. lav., 20 dicembre 1996, n. 11440; T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 02 aprile 2015, n. 1907).