Revoca dell'autorizzazione commerciale per mancanza di “buona condotta”
Il Consiglio di Stato, con la sentenza del 28 maggio 2018 n.3154 qui segnalata, ha chiarito quali siano i presupposti per poter legittimamente revocare un’autorizzazione commerciale rilasciata per l’attività di somministrazione di cibi e bevande, per sopravvenuto difetto del requisito della “buona condotta” di cui all’art. 11 del T.U.L.P.S., di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (ed all’art. 71 del decreto legislativo n.59/2010).
“Per principio pacifico” – rammenta la Terza Sezione – “..l’esame dei necessari presupposti demandato all’Amministrazione in materia di licenze di pubblica sicurezza è connotato da una ampia discrezionalità, che si estrinseca in una valutazione della complessiva personalità del richiedente e della sua specifica attitudine e sicura affidabilità nell’attività autorizzata, anche in relazione ai riflessi che ad essa si associano con riguardo alla protezione dei beni giuridici di primario interesse dell’ordine e della sicurezza pubblica (Cons. Stato, Sez. III, n. 4278 del 27 luglio 2012 e n. 6378 del 23 dicembre 2014)…”.
Ben può, pertanto, l’Autorità di Pubblica Sicurezza esercitare il potere interdittivo riconosciuto dalle citate disposizioni di legge, anche sulla base di risultanze istruttorie diverse, ulteriori ed esulanti dalle ipotesi ivi previste di atti accertativi di responsabilità penale o pericolosità sociale (condanna passata in giudicato, misura di sicurezza o di prevenzione).
In tali casi tuttavia, l’Autorità di Pubblica Sicurezza è tenuta a fornire ulteriori elementi istruttori che illustrino efficacemente il quadro ambientale e personale e che siano idonei a far temere, nell’attualità, una influenza indiretta della criminalità organizzata, per il tramite del rapporto di frequentazione contestato, sulla conduzione dell’attività commerciale.
La revoca dell’autorizzazione commerciale non può dunque legittimamente fondarsi su “..un indimostrato pericolo di abuso del titolo commerciale, dedotto da una altrettanto indimostrata contiguità con soggetti terzi, esponenti di clan mafioso, della quale non è stato offerto alcun valido riscontro e dalla quale non può quindi inferirsi nessun pericolo di abuso che raggiunga il limite della rilevanza anche solo in un’ottica pubblicistica..”.
D’altra parte – continua la Terza Sezione – “..la mancanza della “buona condotta” (art. 11 del r.d. 773/1931), .. non può sostanziarsi solo in una generica “colpa d’autore”, costituita da un giudizio di disvalore su eventuali cattive frequentazioni e sulla vita spregiudicata e, più in generale, sul comportamento del titolare della licenza, ma deve concretizzarsi in un motivato e ragionevole giudizio sulla presenza di specifici atti, fatti o legami che, per natura, intensità, caratteristiche, contesto ambientale, lascino temere che la licenza possa essere strumento di abusi o, ancor peggio, illeciti impieghi da parte del titolare o di soggetti terzi, anche legati a dinamiche di criminalità organizzata…”.
Ritenuta, su tali basi, l’illegittimità del provvedimento di revoca impugnato in primo grado – motivato in ragione della frequentazione fra la parte ricorrente (esente da precedenti e pendenze penali, nonchè da deferimenti all’A.G) ed un soggetto legato da vincoli di parentela con esponenti di spicco d’una cosca mafiosa – il Consiglio di Stato ha quindi confermato la spettanza del diritto di parte ricorrente ad ottenere il risarcimento dei danni, già riconosciuta in prime cure, precisando come “..l’illegittimità dell’atto costituisce indice presuntivo della colpa, mentre resta a carico dell’Amministrazione, se del caso, dimostrare che si è verificato un errore scusabile il quale è configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, d’influenza determinante di comportamenti di altri soggetti o di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione d’incostituzionalità della norma applicata (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 06 aprile 2017, n. 1607)..”.