Risarcimento del danno da mancata aggiudicazione e applicazione delle sanzioni alternative
Una recente decisione della Quinta Sezione del Consiglio di Stato (sentenza del 07.11.2022 n. 9785, Presidente: Dott. Francesco Caringella; Estensore: Rel. Dott.ssa Diana Caminiti) offre lo spunto per ricordare i principali approdi della giurisprudenza amministrativa in tema di risarcimento del danno da “mancata aggiudicazione”, nonché di applicazione delle c.d. sanzioni alternative previste dall’art. 123 CPA.
Il quadro normativo di riferimento
Com’è noto, le principali disposizioni regolatrici in materia si rinvengono oggi agli artt. 121 e seguenti del codice del processo amministrativo (c.d. CPA, approvato col decreto legislativo 104/2010).
In sintesi, si rammenta che:
- l’articolo 133 comma 1 lettera e) devolve alla giurisdizione amministrativa c.d. esclusiva le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici, comprese quelle risarcitorie e quelle relative “alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative”;
- l’articolo 121 individua e disciplina le ipotesi di “inefficacia del contratto d’appalto” che sia stato stipulato in pendenza di un contenzioso (poi conclusosi con l’annullamento in sede giurisdizionale dell’aggiudicazione), nel caso delle più “gravi violazioni” dei princìpi di derivazione eurounitaria menzionate al comma 1, rimettendo al prudente apprezzamento del Giudice Amministrativo la decisione sulla decorrenza, retroattiva o meno, della declaratoria di inefficacia del contratto (comma 1) nonché quella sull’eventuale mantenimento dei suoi effetti, nonostante tali gravi violazioni (per il caso in cui diano le meritevoli “esigenze imperative connesse ad un interesse generale” di cui al comma 2 della norma in esame);
- l’articolo 122 regola la “inefficacia del contratto negli altri casi”, stabilendo che, al di fuori delle ipotesi indicate dall’articolo 121, comma 1, e di quelle ex articolo 123, comma 3, il giudice che annulla l’aggiudicazione “stabilisce se dichiarare inefficace il contratto, fissandone la decorrenza, tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, dell’effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta”;
- l’articolo 123 individua e disciplina le c.d. sanzioni alternative (sanzione pecuniaria a carico della stazione appaltante o riduzione della durata del contratto) che il Giudice Amministrativo è tenuto ad applicare, alternativamente o cumulativamente, qualora annulli l’aggiudicazione senza però dichiarare l’inefficacia del contratto d’appalto (oppure laddove lo abbia dichiarato inefficace solo in parte o ex nunc), anche “in aggiunta” all’eventuale condanna al risarcimento dei danni. Quanto ai presupposti per l’applicazione di tali sanzioni alternative, la disposizione ne prevede l’irrogazione nei casi di cui all’articolo 121 comma 4 e “qualora il contratto è stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio stabilito per la stipulazione del contratto, ovvero è stato stipulato senza rispettare la sospensione della stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l’aggiudicazione definitiva, quando la violazione non abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto e non abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l’affidamento” (comma 3); quanto alle regole e alle modalità di esercizio di un tale peculiare potere sanzionatorio riconosciuto al G.A. la disposizione – sulla scia del diritto comunitario – richiama la necessità del “rispetto del principio del contraddittorio” e i princìpi di effettività, dissuasività e proporzionalità di rispetto al “valore del contratto”, imponendo al G.A. di tener conto, in sede di decisione sulla irrogazione di tali sanzioni alternative, della gravità della condotta della stazione appaltante e dell’opera da essa eventualmente svolta per eliminare o attenuare le conseguenze della violazione;
- l’articolo 124, rubricato “Tutela in forma specifica e per equivalente”, dispone che “l’accoglimento della domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto è comunque condizionato alla dichiarazione di inefficacia del contratto ai sensi degli articoli 121, comma 1, e 122. Se il giudice non dichiara l’inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente, subito e provato” (comma 1), precisando che “la condotta processuale della parte che, senza giustificato motivo, non ha proposto la domanda di cui al comma 1, o non si è resa disponibile a subentrare nel contratto, è valutata dal giudice ai sensi dell’articolo 1227 del codice civile” (comma 2).
I rapporti fra tutela risarcitoria “in forma specifica” e tutela risarcitoria “per equivalente”
Secondo la giurisprudenza ormai prevalente, richiamata anche nella decisione in rassegna (e in particolare, la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 2017 e quella della V Sezione n. 1803 del 2021), nella materia dei contratti pubblici, l’illegittimità dell’azione amministrativa che si sia risolta nell’annullamento dell’aggiudicazione, “prospetta – alla stregua dell’art. 124 cod. proc. amm. – una articolata struttura remediale rimessa, in base all’ordinario canone dispositivo, alla domanda di parte (cfr. artt. 30, 40, comma 1 lettere b) ed f), 41 e 64 cod. proc. amm., in relazione all’art. 99 cod. proc. civ. e 2907 cod. civ.)”.
In particolare – anche contestualmente all’impugnazione dei provvedimenti concernenti le procedure di affidamento d’un appalto pubblico, a mezzo di “azione di annullamento” (ex art. 29 CPA) e per il caso in cui il Giudice Amministrativo adito sia pervenuto alla declaratoria di illegittimità e dunque alla demolizione di tali provvedimenti – è rimessa all’impresa pregiudicata l’opzione fra:
- una “tutela in forma specifica”, a carattere integralmente satisfattorio, affidata alla domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto (la c.d. domanda di subentro ex art. 124, comma 1, prima parte, CPA), il cui accoglimento: (1) «postula, in negativo, la sterilizzazione ope judicis, in termini di “dichiarazione di inefficacia”, del contratto eventualmente già stipulato inter alios (essendo, per ovvie ragioni, preclusa la reduplicazione attributiva dell’unitario bene della vita gestito dalla procedura evidenziale)»; e (2) richiede, in positivo, un apprezzamento di spettanza in termini di diritto al contratto, con la certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, il ricorrente si sarebbe senz’altro aggiudicato la commessa»;
- un “risarcimento del danno per equivalente” (ex art. 124, comma 1, seconda parte, CPA), e ciò: (1) «sia nel caso in cui il giudice abbia riscontrato l’assenza dei presupposti per la tutela specifica (e, in particolare, non abbia ravvisato, ai sensi degli artt. 121, comma 1 e 122 cod. proc. amm., i presupposti per dichiarare inefficace il contrat(t)o stipulato ovvero, sotto distinto profilo, non abbia elementi sufficienti a formulare un obiettivo giudizio di spettanza)»; (2) «sia nel caso in cui la parte abbia ritenuto di non formalizzare la domanda di aggiudicazione (né si sia resa comunque “disponibile a subentrare nel contratto”, anche in corso di esecuzione), nel qual caso la “condotta processuale” va anche apprezzata in termini concausali (cfr. art. 124, comma 2, in relazione al richiamato art. 1227 cod. civ.)».
Ciò, fermo restando che l’opzione per il risarcimento per equivalente non ha comunque alternative le quante volte il contratto d’appalto sia stato, in pendenza di lite, interamente o anche solo parzialmente eseguito e ne sia risultata impossibile per il resto l’esecuzione, “di tal che non ne è (più) postulabile, per definizione, la declaratoria di inefficacia”.
La possibile modulazione della tutela risarcitoria sotto il profilo del danno ristorabile
Sotto il centrale profilo del danno ristorabile, ad avviso della giurisprudenza e della decisione in rassegna, possono darsi due diverse evenienze.
La prima è che il concorrente danneggiato sia in grado di dimostrare con certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, si sarebbe aggiudicato la commessa “e cioè che – ove il contratto fosse stato dichiarato inefficace, ricorrendone le condizioni – avrebbe senz’altro avuto diritto alla stipula o al subentro”. E questo è il caso propriamente qualificato come danno da mancata aggiudicazione.
La seconda evenienza è quella del danno da c.d. mera perdita di chances di aggiudicazione che si prospetta allorché non sia possibile accedere ad un giudizio di effettiva spettanza, “in difetto di idonei elementi probatori ovvero in presenza di profili conformativi non integralmente vincolati, rimessi all’apprezzamento sequenziale della stazione appaltante” (in relazione al quale rimandiamo alla nostra precedente “nota a sentenza” relativa alla decisione n.6268/2021 della VI Sezione del Consiglio di Stato).
In particolare, sul risarcimento del c.d. danno da mancata aggiudicazione
La decisione in rassegna si sofferma sul danno da mancata aggiudicazione vero e proprio, procedendo a compendiare i più recenti e consolidati arresti in materia e in particolare rammentando che:
a) l’imputazione d’un tale danno opera in termini obiettivi, che prescindono dalla colpa della stazione appaltante, e dunque dall’elemento soggettivo dell’illecito, “in quanto – in conformità alle indicazioni di matrice eurounitaria – la responsabilità assume, nella materia de qua, una coloritura funzionale compensativo-surrogatoria a fronte della impossibilità di conseguire l’aggiudicazione del contratto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 aprile 2019, n. 2429; Id., sez. V, 19 luglio 2018, n. 4381)”;
b) è onere del concorrente danneggiato offrire – come pure chiarito dall’art. 124 comma 1 CPA – una “compiuta dimostrazione dei relativi presupposti, sia sul piano dell’an che sul piano del quantum, atteso che, in punto di tutela risarcitoria, l’ordinario principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal c.d. metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento ex art. 64, commi 1 e 3 cod. proc. amm., che si giustifica solo in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra Amministrazione e privato (cfr. Cons Stato, sez. V, 13 luglio 2017, n. 3448)”;
c) non compete, in tali evenienze, il ristoro del danno emergente, “posto che i costi per la partecipazione alla gara sono destinati, di regola, a restare a carico del concorrente (il quale, perciò, può pretenderne il ristoro solo allorché lamenti, in chiave di responsabilità precontrattuale, di averli inutilmente sostenuti per essere stato coinvolto, in violazione delle regole di correttezza e buona fede, in una trattativa inutile), onde il cumulo con l’utile prospetticamente derivante, in caso di mancata aggiudicazione, dalla esecuzione della commessa darebbe vita ad un ingiustificato arricchimento (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 agosto 2019, n. 5803; Id., sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4283; Id., sez. III, 25 giugno 2013, n. 3437; Id., sez. III, 14 dicembre 2012, n. 6444)”;
d) spetta, per contro, nei casi a mani, il ristoro del c.d. lucro cessante, che si identifica con il c.d. interesse positivo e ricomprende: “d1) il mancato profitto, cioè a dire l’utile che l’impresa avrebbe ricavato, in base alla formulata proposta negoziale e alla propria struttura dei costi, dalla esecuzione del contratto; d2) il danno c.d. curriculare, derivante dall’impossibilità di arricchimento della propria storia professionale e imprenditoriale, con conseguente potenziale perdita di competitività in relazione a future occasioni contrattuali”;
e) relativamente alla prima posta risarcitoria (quella del mancato profitto/utile sub d1), “deve escludersi l’ancoraggio forfettario alla misura del dieci per cento dell’importo a base d’asta: e ciò sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, non avendo fondamento la presunzione che la perdita sia, secondo un canone di normalità, ancorata alla ridetta percentuale, sia perché l’art. 124 cit. va inteso nel senso della rigorosa incombenza, a carico del danneggiato, di un puntuale onere di allegazione e di dimostrazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2017, n. 2184; Id., Ad. plen, 2 maggio 2017, n. 2), sicché il ricorso alla valutazione equitativa può essere riconosciuto solo in caso di impossibilità o di estrema difficoltà a fornire prova in relazione all’ammontare preciso del danno patito (Cons. Stato, Sez. V, 26 luglio 2019, n. 5283)”;
f) ai fini della base di calcolo della percentuale per il mancato profitto/utile, “non si può prendere a riferimento l’importo posto a base della gara, dovendo aversi riguardo al margine di utile effettivo, quale ricavabile dal ribasso offerto dall’impresa danneggiata”;
g) il valore del “mancato profitto/utile” può essere integralmente ristorato “solo laddove il danneggiato possa dimostrare di non aver potuto utilizzare i mezzi o le maestranze in altri lavori; e ciò perché, in assenza di suddetta prova, in virtù della presunzione per cui chi partecipa alle gare non tiene ferme le proprie risorse ma le impiega in altri appalti, lavori o servizi, l’utile così calcolato andrà decurtato in ragione dell’aliunde perceptum vel percipiendum, in una misura percentuale variabile (cfr. Cons. Stato, ad. plen. n. 2/2017 cit.; Cons. giust. amm. 6 novembre 2019 n. 947) che tenga, in concreto, conto della natura del contratto, del contesto operativo di riferimento, delle risorse nella ordinaria disponibilità del concorrente, della sua struttura dei costi, della sua storia professionale e del presumibile livello di operatività sul mercato, potendo, a tal fine, addivenirsi anche – nel caso di mancato assolvimento dell’onere dimostrativo ed in presenza di elementi indiziari che evidenzino l’impossibilità di ricorso cumulativo alle risorse strumentali – all’azzeramento del danno potenzialmente riconoscibile (Cons. Stato, sez. V, 12 novembre 2020, n. 7262; Id., sez. V, 23 agosto 2019, n. 5803)”;
h) anche il “danno curriculare”, consistente nella “perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi anche come immagine e prestigio professionale, al di là dell’incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare”, deve essere oggetto di puntuale dimostrazione, la quale va a sua volta ancorata “h1) alla perdita di un livello di qualificazione già posseduta ovvero alla mancata acquisizione di un livello superiore, quale conseguenze immediate e dirette della mancata aggiudicazione; h2) alla mancata acquisizione di un elemento costitutivo della specifica idoneità tecnica richiesta dal bando oltre la qualificazione SOA (cfr. Cons. Stato, sez. III, 15 aprile 2019, n. 2435; Id., sez. IV, 7 novembre 2014, n. 5497), sicché solo all’esito di tale dimostrazione, relativamente all’an, è possibile procedere alla relativa liquidazione nel quantum (anche a mezzo di forfettizzazione percentuale applicata sulla somma riconosciuta a titolo di lucro cessante: cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 agosto 2019, n. 5803) e sempre che non debba ritenersi che, trattandosi di impresa leader nel settore di riferimento, l’aver conseguito già un curriculum di tutto renda la mancata aggiudicazione di un appalto non idonea, per definizione, ad incidere negativamente sulla futura possibilità di conseguire le commesse economicamente più appetibili e, più in generale, sul posizionamento dell’impresa nello specifico settore di mercato in cui è chiamata ad operare (Cons. Stato, Sez. V, 28 gennaio 2019, n. 689)”;
i) infine, il complessivo importo riconosciuto “va incrementato, trattandosi di debito di valore, della rivalutazione monetaria (a decorrere dalla data di stipula del contratto fino all’attualità), e degli interessi legali sulla somma di anno in anno rivalutata, fino all’effettivo soddisfo (Cons. Stato, sez. III, 10 luglio 2019, n. 4857)”.
Sull’applicazione delle sanzioni alternative di cui all’art. 123 C.P.A., e in particolare di quella pecuniaria
La sentenza in rassegna, infine, reca importanti delucidazioni circa il regime di applicazione delle c.d. sanzioni alternative di cui all’art. 123 CPA, stante la devoluzione in quel giudizio d’appello della tematica relativa alla correttezza (o meno) delle statuizioni di primo grado relative all’irrogazione a carico della stazione appaltante anche della “sanzione pecuniaria”, appunto prevista da tale disposizione quale possibile “sanzione alternativa”; ciò, “a latere” dell’annullamento dell’affidamento in quel caso impugnato per ragioni ricondotte dal Giudice di prime cure alle più “gravi violazioni” di cui all’articolo 121 CPA (mancata pubblicità e violazione del c.d. “stand still”), non accompagnato da una contestuale dichiarazione di inefficacia del contratto (siccome “medio tempore” eseguito dall’illegittimo aggiudicatario).
Ebbene, ad avviso della Quinta Sezione, in presenza dei relativi presupposti di legge, ovvero laddove il Giudice Amministrativo, annullata l’aggiudicazione, ritenga di non dichiarare anche l’inefficacia del contratto, in applicazione dell’art. 121 comma 4 CPA, l’irrogazione delle “sanzioni alternative”, e in particolare di quella pecuniaria ex art. 123 comma 1 lett a) CPA: a) è certamente dovuta e dunque vincolata nel suo “an”; b) non è in alcun modo preclusa dalla contestuale condanna al risarcimento dei danni (giacché “ai sensi dell’art. 123 comma 2 c.p.a. ultima parte, la condanna al risarcimento dei danni può valere quale sanzione alternativa, cumulandosi per contro con le sanzioni alternative”); c) presuppone e implica il prudente e discrezionale apprezzamento del Giudice Amministrativo adito, in ordine alla (sola) quantificazione della sanzione alternativa ritenuta in concreto applicabile, secondo i parametri normativamente dati; di talché, in particolare, è rimessa al Decidente, la determinazione della esatta misura della pena pecuniaria da irrogare, “nell’ambito della forchetta prevista ex lege dallo 0,5 al 5% del valore del contratto, inteso come prezzo di aggiudicazione, nel rispetto dei princìpi indicati dall’art. 122 comma 2 c.p.a.”, tenendo conto della necessità imposta dalla disciplina processuale codicistica in rassegna, che tali sanzioni siano “effettive, dissuasive, proporzionate al valore del contratto, alla gravità della condotta della stazione appaltante e all’opera svolta dalla stazione appaltante per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione”); d) non esige, ai fini del rispetto del contraddittorio, il previo avviso di cui all’art. 73 comma 3 c.p.a. – che l’art. 123 comma 2 c.p.a. prescrive, quale atto dovuto, “solo nell’ipotesi in cui la sanzione sia applicata d’ufficio” – laddove, come nel caso deciso, “la relativa applicazione è stata richiesta dalla parte appellante, che ha censurato l’omessa pronuncia sul punto da parte del giudice di prime cure”.