Risarcimento del danno da ritardo
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa, con la decisione del 10 settembre 2018 n.490, è tornato a pronunziarsi sulla tematica della risarcibilità del danno da ritardo nella conclusione dei procedimenti amministrativi (di carattere ampliativo).
Riformando l’opposta decisione di primo grado del TAR Palermo, il Giudice d’Appello siciliano ha ritenuto che l’inerzia nello specifico serbata dal Distretto Minerario nel rilasciare a parte ricorrente il permesso di ricerca richiesto a norma dell’art. 7 della l.r. n.54/ 1956 e dell’art. 1 della l.r. n.8/1991, all’esito del relativo procedimento comparativo, abbia dato luogo ad un danno da ritardo risarcibile e che poteva in specie accogliersi, come si è in effetti accolta, anche la correlata domanda formulata in atti da parte ricorrente, per una condanna generica a carico dell’Amministrazione resistente.
Quanto al primo profilo, il Consiglio di Giustizia ha in particolare preso le mosse dall’art.2 della legge 241 del 1990, col quale “… è stato positivizzato il principio della certezza dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi, ad iniziativa d’ufficio o ad istanza di parte, con un provvedimento espresso ed entro termini predeterminati e si è, altresì, affermata la doverosità, che costituisce un vero e proprio obbligo, dell’azione amministrativa, come declinazione dei principii di legalità e di buona amministrazione…”, con conseguente affermazione dell’illegittimità del mancato esercizio del potere, ossia del c. d. silenzio inadempimento.
Il Legislatore – rammentano ancora i Giudici d’appello siciliani – “…sotto la spinta della giurisprudenza e della dottrina, è intervenuto successivamente per rendere effettivo, anche in termini di tutela giurisdizionale, l’obbligo dell’amministrazione non solo di provvedere, ma di farlo entro termini dati. Con l’art. 2 bis, introdotto nel corpo della legge 241 con l’art. 7 della legge n. 69/2009, confermato dall’art. 30 del c.p.a., è stata espressamente prevista la responsabilità dell’amministrazione per la violazione del termine di conclusione del procedimento. Successivamente, nel 2013, con la l. n.98 (di conversione del d.l. n.69/2013) è stato inserito nel corpo dell’art. 2 bis, il comma 1 bis, che ha previsto il diritto dell’istante ad un indennizzo forfettario “per il mero ritardo” in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento…”
Per tale via, ad avviso del Collegio decidente, “..con la previsione del risarcimento del danno per il ritardo o il mancato esercizio del potere, e poi di un indennizzo forfettario per il “mero ritardo”, il tempo procedimentale è stato qualificato alla stregua di un bene della vita, costituendo il ritardo un costo sia “economico”, poiché si traduce in un rischio amministrativo in caso di “investimenti”; sia in termini di violazione dell’affidamento degli interessati, che costituisce il versante soggettivo, psicologico, del valore oggettivo del principio di certezza del diritto (Cons. St. sez. V, n. 675/2015)…”.
Sicchè, per la risarcibilità del danno da ritardo, è necessario e sufficiente “…oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento, l’accertamento che l’inosservanza è imputabile a dolo o colpa dell’amministrazione medesima, che il danno è conseguenza diretta del ritardo..”, richiedendosi al contempo – sulla scorta di pacifica giurisprudenza formatasi sull’argomento – “…anche una valutazione sulla spettanza del bene della vita all’interessato, ossia che il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse pretensivo, non sia avulso da una valutazione positiva sul titolo del privato al rilascio del provvedimento (Cons. St. sez. IV, n. 4580/2016)…”.
Condizioni tutte che, nello specifico, sono state ravvisate dal Consiglio di Giustizia rispetto alla concreta fattispecie esaminata.
Quindi, il Consiglio di Giustizia ha ulteriormente accolto anche la domanda di condanna generica per i “danni subiti e subendi dalla ricorrente”, formulata in atti ai sensi dell’art. 278 c.p.c. (ritenuto applicabile anche nel processo amministrativo ex artt. 34 comma 4 e 39 c.p.a.).
E ciò rammentando come, ai fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento, limitata all’an debeatur (e con esclusione dell’indagine sul quantum debeatur), non è necessaria la dimostrazione dell’effettiva esistenza di un danno, “…essendo sufficiente la potenzialità del fatto accertato alla produzione di danno, rimanendo assegnato al giudizio quantificatorio susseguente alla condanna generica la estensione dell’accertamento giudiziario “alla effettiva esistenza ed alla misura del danno risarcibile in concreto” (e ciò secondo un insegnamento del giudice ordinario assolutamente consolidato – cfr. da ultimo Cass. 11.10.2016 n. 20444 e 1.04.2014 n. 7525)…”.
Alla luce di ciò, il Collegio, ha ritenuto che l’indagine sull’an debeatur, richiesta per l’accoglimento della domanda di condanna generica, potesse basarsi su alcune disposizioni normative (quale in particolare l’art. 2 c. 4 quater della legge regionale siciliana n. 5 del 2011, secondo cui “le pubbliche amministrazioni sono tenute al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza, dolosa o colposa, del termine per la conclusione del procedimento”), nonché sulla considerazione che “…la prognosi sul contenuto del futuro provvedimento dimostra che l’istante aveva diritto al conseguimento del bene della vita e che il relativo procedimento si sarebbe concluso per lo stesso favorevolmente…” (non potendosi peraltro dubitare ad avviso del Collegio come, qualora l’istanza del privato sottenda un interesse pretensivo, il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento sia di per sé fonte di un danno economicamente apprezzabile).
Sulla base di tali considerazioni, l’appello è stato accolto, con la conseguente condanna, in via generica, dell’Amministrazione resistente, in parziale riforma della decisione appellata, al risarcimento dei danni subìti dalla ricorrente per effetto del ritardo nel rilascio del provvedimento ampliativo richiesto.