Risoluzione di convenzione urbanistica PRU per inadempimento del Comune
Il Tar Lazio di Roma, con la decisione del 02.05.2019 n.5552 qui in rassegna, si è pronunziato sulla domanda di risoluzione e risarcimento del danno formulata dai privati, sottoscrittori di una convenzione urbanistica connessa alla formazione di un Programma di Recupero Urbano – PRU ai sensi dell’art. 11 D.L. 05/10/1993 n. 398, nei confronti dell’Ente comunale, rimasto lungamente inadempiente all’obbligo convenzionale di realizzare alcune opere pubbliche del comparto (invero mai realizzate, con conseguente deprezzamento del valore delle volumetrie residenziali realizzate e mancata attivazione della componente a destinazione commerciale del compendio).
Il TAR Roma, dopo aver ricostruito la complessa vicenda sostanziale, ha preliminarmente riaffermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa sulla domanda risolutoria e la connessa richiesta di risarcimento del danno, “…visto che la convenzione urbanistica volta a disciplinare, con il concorso del privato proprietario dell’area, una delle possibili modalità di realizzazione delle opere di urbanizzazione necessarie per dare al territorio interessato la conformazione prevista dagli strumenti urbanistici, deve assimilarsi a un accordo sostitutivo del provvedimento amministrativo, ex art. 11 L. 241/90, sicché le controversie che ne riguardano la formazione, la conclusione e l’esecuzione appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, D.Lgs. 104/2010 (cfr., ex multis, Cass. Civ. sez. un., 05/10/2016 n.19914)…”.
Quindi, ha richiamato i fondamentali principi civilistici in materia di inadempimento di obbligazioni – “..che l’art. 11, comma 2, L. 241/90 dichiara applicabili agli accordi sostitutivi di provvedimento, sebbene “in quanto compatibili”..” – rammentando e statuendo che:
- il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della dimostrazione del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, o dall’eccezione d’inadempimento del creditore ex art. 1460 c.c. (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. VI, 12/10/2018 n. 25584);
- una volta accertato l’inadempimento della parte (in specie ammesso dalla stessa amministrazione comunale convenuta che aveva ammesso la mancata realizzazione delle contestate opere pubbliche), occorre verificare se l’inadempimento possa essere definito “grave”, visto che il successivo art. 1455, relativo alla “importanza dell’inadempimento”, precisa che “il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”;
- al fine dell’accertamento della gravità dell’inadempimento occorre tenere conto, in primo luogo, di un parametro oggettivo, dovendosi verificare che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità, e in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da dare luogo a uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. III, 22/10/2014 n. 22346).
Ritenuto in concreto soddisfatta anche tale condizione, il Tribunale ha concluso che sussistessero in specie i presupposti per dichiarare la risoluzione della convenzione, per inadempimento della parte pubblica.
Passando ad affrontare la domanda di risarcimento del danno, il Tribunale ha anzitutto rammentato come, al riguardo, trovi applicazione l’art. 1218 c.c., relativo alla “responsabilità del debitore”, ai sensi del quale “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. Vale a dire che “…secondo i canoni tradizionali, da cui non vi è motivo di discostarsi, il debitore che sia inadempiente può sottrarsi al risarcimento solo provando che il mancato adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile e inevitabile con l’ordinaria diligenza (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. III, 23/10/2018 n. 26700)…”.
Ritenendo in concreto sussistente il requisito della imputabilità dell’inadempimento, il Tribunale ha verificato la sussistenza dell’altro fondamentale requisito per concedere il risarcimento del danno, e cioè il nesso di causalità, visto che l’art. 1223 c.c. dispone sì che “il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno”, ma solo “in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”.
Ritenuta in concreto sussistente anche tale ulteriore condizione, il Tribunale si è occupato del quantum del risarcimento, riconoscendo alla parte privata – quanto alla mancata attivazione della componente commerciale del comparto ed, in particolare, alla lamentata perdita della possibilità di vendere il terreno, causata dalla mancata realizzazione delle opere pubbliche di competenza della PA – il ristoro del danno da c.d. perdita di chance.
E ciò osservando come, “…che in casi come quello in esame possa parlarsi solo di “perdita di “chance””, e non di risarcimento del danno tout court, consegue al fatto che quest’ultima possibilità presuppone la prova, da parte del creditore, che, in assenza dell’inadempimento, egli avrebbe certamente ottenuto “il risultato sperato”; mentre in tutti i casi in cui rimanga invece “una incertezza del risultato sperato”, può solo farsi riferimento alla “perdita di “chance””, secondo il criterio civilistico del “più probabile che non” (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. III, 09/03/2018 n. 5641); la differenza è che nel secondo caso il risarcimento del danno sarà dovuto integralmente, mentre nel primo caso, della perdita di chance, il risarcimento sarà legato alle probabilità percentuali, riconoscibili nel caso concreto, che il creditore raggiungesse il risultato sperato…”.
In generale, infatti, rammenta il Tribunale, “...la perdita di chance, pur potendo essere costituita dalla perdita di una mera possibilità presente nella sfera giuridica del danneggiato, deve tuttavia essere concreta ed effettiva, non meramente teorica e ipotetica, e la sua compromissione, ove dedotta, deve essere provata dall’attore, identificandosi con la prova stessa del danno (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. III, 14/11/2017 n. 26822)…”.
Il Tribunale, ritenendo che la parte privata avesse in specie fornito tale prova, dimostrando la concreta possibilità che quel terreno fosse venduto, ha quindi proceduto alla liquidazione del danno ai sensi dell’art. 1226 c.c., in via equitativa (riconoscendo peraltro la sussistenza dei presupposti d’una concorrente responsabilità della medesima parte privata – rilevante ex art. 1227 c.c. e comportante l’abbattimento della relativa voce di danno per il 50 % – per non aver essa mai attivato, avverso l’inerzia del Comune, i rimedi giurisdizionali approntati dall’ordinamento al fine di ottenere l’adempimento delle obbligazioni sullo stesso gravanti e di conseguire, per l’effetto, la tutela dei propri interessi connessi alla realizzazione della cubatura commerciale, essendosi limitata ad inviare alcune note di sollecito).
Ancora, il Tribunale, pronunziandosi sulle domande di restituzione formulate in atti dalla parte privata ai sensi dell’art. 1458 c.c. (cfr. Cass. Civ., sez. I, 25/06/2018 n. 16682), ha riconosciuto il sui diritto alla restituzione dei costi sopportati per le opere di urbanizzazione eseguite, per quota parte di contributo straordinario assolto, e per costi di costruzione versati, tutti (solo) in relazione alla destinazione commerciale (non attuata).
Inoltre, il Tribunale ha ritenuto che la parte privata avesse altresì diritto a vedersi rimborsata, a titolo di danno emergente, delle ulteriori spese sostenute a causa della stipula della convenzione “e, in particolare i costi di gestione tecnica e amministrativa e i costi annui di accensione e mantenimento polizze fideiussorie, ma solo per la parte relativa alla componente commerciale).
Nonché, a dell’ulteriore voce di danno riconducibile al “lucro cessante per la componente residenziale”, perché l’inadempimento della parte pubblica ha determinato il perpetuarsi e anzi l’aggravamento delle condizioni di scarsa accessibilità e degrado della zona, di fatto azzerando i valori immobiliari delle edificazioni realizzate (ricorrendosi anche in tal caso alla liquidazione equitativa del danno patito).