Sanzioni amministrative sostanzialmente penali e divieto di ne bis in idem per assoluzione piena
La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 31632 del 6 dicembre 2018, si è occupata dell’importante questione relativa alla compatibilità col principio del ” ne bis in idem “, dell’instaurazione o della prosecuzione di un procedimento amministrativo sanzionatorio (all’esito del quale è prevista l’irrogazione di una sanzione amministrativa dal carattere sostanzialmente penale) in relazione alla commissione di un illecito amministrativo, qualora, con riferimento ai medesimi fatti storici, l’incolpato sia stato definitivamente assolto in sede penale con formula piena.
Il caso sottoposto all’esame della Suprema Corte, ha riguardato in particolare la legittimità del procedimento amministrativo sanzionatorio avviato e concluso dalla Consob con irrogazione di una pesante sanzione amministrativa a norma dell’articolo 187 bis del T.U.F., nei confronti del ricorrente per acquisti da quest’ultimo effettuati in qualità di operatore professionale sul mercato azionario, mediante abuso di informazioni privilegiate con conseguente manipolazione del mercato.
Tra i vari motivi di ricorso, il ricorrente ha dedotto in particolare la violazione del principio di “ne bis in idem” di matrice comunitaria, in quanto la norma di cui all’articolo 187 bis del T.U.F. è da considerarsi quale norma formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale e che, per i medesimi fatti oggetto del procedimento amministrativo sanzionatorio, egli era stato definitivamente assolto in sede penale con formula piena.
La Suprema Corte, ha dapprima disposto rinvio pregiudiziale ex articolo 267, paragrafo 3 del TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in merito alla compatibilità con l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea della instaurazione di un procedimento amministrativo sanzionatorio o la sua prosecuzione in relazione ad illeciti amministrativi (come quello oggetto di causa) puniti con sanzioni formalmente amministrative ma sostanzialmente penali, nel caso in cui per gli stessi fatti oggetto del procedimento sanzionatorio l’incolpato sia stato già assolto con formula piena, in sede penale.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 20 marzo 2018, nella causa C‑537/16, ha affermato che:
- “..l’obbligo, prescritto agli Stati membri dall’articolo 14, paragrafo 1 della direttiva 2003/6, di prevedere sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive (…) non potrebbe portare ad escludere l’autorità di cosa giudicata che una sentenza penale di assoluzione possiede in forza di una disposizione nazionale quale l’articolo 654 del cpp, nei confronti di un procedimento inteso all’irrogazione di una sanzione amministrativa vertente sui medesimi fatti di cui detta sentenza ha statuito che non risultano provati..” ;
- la prosecuzione di un procedimento inteso all’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale, fondata sui medesimi fatti per i quali l’incolpato sia stato assolto in sede penale costituisce una “..limitazione del diritto fondamentale garantito dall’articolo 50 della Carta..” , da ritenersi giustificata solo se rispettosa del principio di proporzionalità nonché prevista dalla legge per tutelare altri interessi dell’Unione;
- nel caso di irrogazione di una sanzione amministrativa di natura penale come quella oggetto del procedimento principale, la limitazione del diritto di cui all’articolo 50 della Carta risulta ingiustificata in quanto “..la prosecuzione di un procedimento inteso all’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale eccederebbe quanto necessario per conseguire l’obiettivo di proteggere l’integrità dei mercati finanziari e la fiducia nel pubblico degli strumenti finanziari..”.
All’esito di tale sentenza, la causa è stata nuovamente chiamata in discussione innanzi alla Corte di Cassazione, la quale ha premesso che:
- la sanzione amministrativa di cui all’articolo 187 bis del T.U.F. va considerata sostanzialmente penale, alla stregua della Convenzione EDU e secondo i criteri tracciati nella sentenza della CEDU 8 giugno 1986, Engel, sia alla stregua del diritto eurounitario (ciò che è stato confermato anche dalla stessa Corte di Giustizia con la sentenza del 20 marzo 2018);
- ai fini del divieto del bis in idem, si devono valutare i fatti nella loro materialità, a prescindere dalla qualificazione giuridica operata nelle normative nazionali;
- per quanto riguarda il diritto convenzionale, il criterio che presiede alla corretta valutazione dei fatti ai fini del bis in idem deve individuarsi sulla scorta della “same offence” e quindi della “sostanziale” identità dei fatti rispetto ai quali si è già stati giudicati (stabilendo quindi se gli illeciti derivano dalla stessa condotta);
- nel diritto euro unitario, il criterio si rinviene nella giurisprudenza elaborata dalla CGUE sull’articolo 50 del CDFUE e sull’articolo 54 della Convenzione di applicazione dell’accordo Shengen;
- nel caso in questione il ricorrente ha dimostrato di essere stato definitivamente assolto in sede penale, per insussistenza del fatto, dal delitto di cui all’articolo 184 TUF a lui ascritto per la medesima condotta per la quale gli era stata irrogata la sanzione di cui all’articolo 187 bis del TUFE;
- la violazione nel caso in questione, rilevata dalla CGUE in sede di rinvio, del principio del bis in idem convenzionale nel concorso tra le norme che puniscono l’abuso di informazioni privilegiate come illecito amministrativo (articolo 187 bis TUF) e come reato (articolo 184 TUF), pare porre una questione di legittimità costituzionale dell’articolo 187 bis del TUF, in relazione agli articoli 117 della Costituzione e 4 del Protocollo 7 CEDU;
- la problematica relativa ai rapporti tra diritto comunitario e diritto interno in materia di immediata disapplicazione o preventiva necessità di abrogazione delle norme costituzionalmente illegittime per contrasto con la normativa dell’UE, andrebbe riconsiderata in virtù di quanto stabilito dalla recente sentenza della Corte Costituzionale numero 269/2017, ove si è statuito che “…le violazioni dei diritti della persona postulano la necessità di un intervento erga omnes di questa Corte…” e che pertanto “..laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la questione di legittimità costituzionale, fatto salvo il ricorso al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione, ai sensi dell’art. 267 del TFUE..”;
- tuttavia la giurisprudenza di legittimità ha recepito in maniera non omogenea le indicazioni della Corte Costituzionale (ritenendo, ad esempio, immediatamente disapplicabile, senza necessità di sollevare l’incidente di costituzionalità, delle norme interne già oggetto del sindacato della Corte di Giustizia);
- nel caso di specie, in particolare, deve ritenersi che le specifiche caratteristiche della vicenda oggetto di causa “..consentono di dare diretta attuazione al disposto dell’articolo 50 della CDFUE, come interpretato dalla Corte di Giustizia in esito al rinvio pregiudiziale, senza che ciò determini alcuna frizione con il principio del controllo accentrato di costituzionalità di cui all’articolo 134 Cost., sul quale si fondano le indicazioni contenute nella sentenza C. Cost. n. 269/2017..” (e ciò in quanto il fatto che il ricorrente sia stato assolto con formula piena dall’imputazione a lui mossa ai sensi dell’art. 184 TUF, per i medesimi fatti per i quali gli è stata irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria, fa sì che il rispetto dell’articolo 50 CDFUE non entri in conflitto con alcuna disposizione interna);
- diverso sarebbe invece il caso di un procedimento amministrativo sanzionatorio iniziato o proseguito in relazione a fatti storici già coperti da un giudicato penale di condanna, in quanto potrebbe porsi in concreto un problema di bis in idem laddove il procedimento amministrativo si concluda con l’irrogazione della sanzione amministrativa (in tal caso infatti, il giudice sarebbe chiamato ad operare una valutazione sulla compatibilità del principio del ne bis in idem con il cumulo della sanzione amministrativa da irrogare e la pena inflitta in sede penale, dovendo peraltro tener conto del non perfetto allineamento tra la declinazione del principio del ne bis in idem offerta dalla CGUE e quella operata dalla CEDU).
In conclusione pertanto la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, rilevando come “..in presenza di una sentenza definitiva di assoluzione “perché il fatto non sussiste” (…) la portata precettiva dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non patisce alcuna limitazione ai sensi dell’articolo 52 della stessa Carta e ciò consente il pieno dispiegarsi del divieto di perseguire (…) in sede amministrativa fatti già giudicati in sede penale...”, con conseguente “..diretta ed immediata applicazione del disposto dell’articolo 50 CDFUE, senza che, nella presente fattispecie tale applicazione risulti in conflitto con il disposto di norme di diritto interno” .