Sorteggio delle domande nella prova orale per l'abilitazione all'esercizio della professione forense
L’art. 12 del D.P.R. n. 487 del 1994, che prevede il sorteggio delle domande di esame, è normativa applicabile ai concorsi pubblici per assunzione di pubblici dipendenti per un limitato numero di posti da coprire, ma non anche alla diversa procedura di abilitazione per la professione forense, stante l’oggettiva diversità di ratio sottesa a tali procedure.
In tal senso si è espresso da ultimo il TAR Lombardia di Brescia il quale, con la decisione del 27 ottobre 2018, n. 1022, ha respinto il ricorso proposto contro il giudizio di non idoneità all’esercizio della professione forense emesso all’esito della prova orale, col quale parte ricorrente aveva fra l’altro lamentato la violazione del citato art. 12, assumendo che tale disposizione, a generale garanzia del dovere di trasparenza amministrativa nei procedimenti concorsuali, imponga che le domande da porre ai candidati siano sempre predeterminate e quindi estratte a sorte.
Disattendendo la superiore censura, tuttavia, il Tribunale Amministrativo bresciano ha ritenuto per un verso che – come anche recentemente affermato – “…dal semplice “suggerimento” dell’estrazione a sorte degli argomenti di prova predeterminati, non può derivare il carattere vincolante dello stesso, con la conseguenza che l’inosservanza del suggerimento non può di per sé produrre effetti invalidanti, non avendo le raccomandazioni formulate dalla Commissione centrale in tema di modalità procedimentali aggiuntive carattere cogente (CdS, sez. IV, n. 573 del 2017; sez. IV, n. 1723 del 2013; sez. IV, ord. n. 923 del 2012; id., sent. n. 673 del 2012; CdS, sez. IV, ord. n. 1571 del 2015)..”.
E per altro verso che, l’invalidità della decisione della Commissione di non adottare il “suggerimento”, neanche possa fondarsi sulla nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense posta con la L. n. 247 del 2012, in quanto applicabile, ai sensi dell’art. 49 della L. n. 247 del 2012 e successive modificazioni, solo dalla sessione di esami di abilitazione indetta successivamente al decorso di sette anni dalla entrata in vigore della legge stessa.
E ciò, rammentandosi anche come “..in via generale, con specifico riferimento all’applicazione del regolamento disciplinante l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni – come invocato da parte ricorrente, quale principio di carattere generale nelle selezioni pubbliche – al fine di garantire la trasparenza nei procedimenti concorsuali, la tesi non può trovare seguito in quanto, come in più occasioni affermato, “La disciplina dell’art. 12 del D.P.R. del 1994, dettata per i concorsi pubblici, esaurisce il proprio ambito di applicabilità nella regolazione degli stessi. Né una estensione alle procedure di esame previste per l’accesso alle libere professioni, può farsi discendere – sino all’introduzione di una specifica disposizione, come è accaduto con il D.M. 2006 – da una interpretazione costituzionalmente orientata, alla luce dei principi di trasparenza, imparzialità, parità di trattamento, tutelati dall’art. 97 Cost….. Può quindi concludersi nel senso che alle selezioni per l’accesso alla professione forense al criterio dell’anonimato delle prove scritte può corrispondere un criterio diverso da quello di estrazione a sorte di domande predeterminate, quale quello della libera espressione di ciascun commissario nella formulazione delle domande da porre al candidato (naturalmente nell’ambito del programma di esame) ” (cfr. C.d.S., Sezione IV, n. 37/2018; TAR Emilia Romagna, Bologna, n. 291/2018)…”