Sulla configurabilità della lottizzazione abusiva “negoziale”

Published On: 2 Novembre 2021Categories: Diritto civile, Edilizia, Urbanistica ed Espropriazioni, Normativa

La Cassazione Civile, sezione II, con la recentissima pronuncia del 22 ottobre 2021, n. 29586, ha affermato un importante principio di diritto in tema di lottizzazione abusiva, specificando quali elementi indiziari – rilevatori dell’intento lottizzatorio – sono da intendersi necessari e sufficienti ai fini della configurabilità della lottizzazione abusiva cosiddetta “negoziale” (o anche detta giuridica o cartolare).

Prima di addentrarsi nella trattazione della decisione in esame, occorre prendere le mosse dalla disposizione di riferimento, contenuta, oggi, nell’art. 30 del D.P.R. del 6 giugno 2001, n. 380 (che ha sostituito l’art. 18 della L. 47/85), il quale prevede, al suo primo comma, che “Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio.

Sulla base della definizione suddetta, dottrina e giurisprudenza hanno classificato, dunque, la lottizzazione abusiva in tre diverse tipologie: materiale, mista e negoziale.

Quanto a quella negoziale – disciplinata nella seconda parte del succitato comma 1 dell’articolo 30 del DPR 380/2001 – essa si configura sulla base di situazioni che la giurisprudenza indica come elementi indiziari, tra i quali: il compimento di un’attività giuridica avente ad oggetto i terreni e consistente nel frazionamento e nella vendita o in atti equivalenti; il frazionamento del terreno agricolo in piccoli lotti non utilizzabili per l’esercizio dell’agricoltura; l’eventuale previsione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria in sede di frazionamento; la vicinanza dei lotti all’aggregato urbano e ad aree già edificate.

Orbene, come anticipato, con la decisione in commento, la Corte di Cassazione ha affermato un importante principio di diritto, cassando, con rinvio, la sentenza gravata.

Per una maggiore chiarezza espositiva si rende, tuttavia, necessario far menzione anche della decisione di prime cure.

L’oggetto della controversia e l’esito del giudizio del giudizio di primo e secondo grado

Gli attori, con l’atto introduttivo del giudizio, hanno in prime cure chiesto al giudice di dichiarare la nullità del contratto di compravendita – stipulato dal loro dante causa per successione ereditaria (convenuto in giudizio) con un terzo – avente ad oggetto una parte del fondo di proprietà del primo.

In particolare, parte attrice ha sostenuto la nullità di tale contratto, per illiceità della causa, attesa la violazione, da parte del loro dante causa, della L. n. 47/1985, articolo 18, “…avendo costituito l’operazione negoziale intervento di lottizzazione abusiva di tipo negoziale o cartolare: l’intero fondo era edificabile in presenza di piani particolareggiati e siffattamente l’area era stata resa immediatamente edificabile in assenza di intervento pubblico di approvazione del piano o di convenzione urbanistica”.

Il giudice adito in primo grado, tuttavia, ha rigettato il ricorso incoato.

Avverso la sentenza, parte attrice ha proposto impugnazione innanzi alla competente Corte d’Appello.

Ebbene, anche il giudice d’Appello ha confermato quanto statuito nella sentenza gravata, atteso che non ha rinvenuto, nella vicenda in esame, “… indici presuntivi univoci a confermare l’assunto degli attori: il contratto non prevedeva la realizzazione di opere d’urbanizzazione; non militava nel senso auspicato dagli appellanti il distacco di altre porzioni del fondo in favore di altri acquirenti, poiché i negozi relativi erano stati stipulati tutti “a distanza di tempo non indifferente dall’atto impugnato”; il mero frazionamento non poteva dirsi prova sufficiente dell’illiceità, costituendo la ipotesi della lottizzazione c. d. negoziale “una difesa avanzata”, occorrendo per conclamarla un’attività diretta allo scopo illecito, che tale apparisse dall’esterno; non era rilevante la previsione di una servitù di presa d’acqua e di passaggio carraio per la sua esiguità e genericità…”.

La decisione della Corte di Cassazione

Avverso la sentenza resa dalla Corte d’Appello, è stato proposto ricorso in Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art.18, della L. n. 1150 del 1942, art. 28, della L. n. 847 del 1964, art. 4 e dell’art. 1418 c.c., nonché difetto di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

Più precisamente, i ricorrenti hanno sostenuto che l‘attività negoziale, compiuta dal loro dante causa, costituiva, fuor di dubbio, lottizzazione abusiva. Ciò, perché:

– gli acquirenti dei lotti di terreno avevano ivi edificato la propria abitazione, impedendo così alla “…alla pubblica amministrazione di prevedere le necessarie opere d’urbanizzazione e regolare l’impatto urbanistico del complessivo intervento...”;

– “…trattavasi di plurimi stacchi di circa 2500 mq., certamente inidonei ad assicurare sfruttamento agricolo e tagliati su misura per l’edificazione, sulla base del minimo costruttivo previsto dalla normativa locale…”;

– “...la servitù di presa d’acqua potabile costituiva senza dubbio opera urbanistica ai sensi della L. n. 847 del 1964 e nello stesso senso militava la previsione di servitù di passaggio fino a costruzione di assetto viario pubblico…”;

– “…la pluralità di alienazioni, alla quale aveva fatto seguito diffusa edificazione dei lotti, aveva significato non equivoco…”;

– “…il tempo trascorso (circa un anno e mezzo) era da reputarsi del tutto confacente allo scopo di programmare la lottizzazione”.

Orbene, la Corte di Cassazione – dopo avere richiamato la disposizione di cui all’art. 18 della L. 47/1985 (il cui contenuto risulta oggi trasfuso, immutato, nel DPR N. 380/2001, all’art. 30) e ricordato la ratio del divieto di legge (ossia “….l’esigenza di permettere l’ordinato, armonico e ragionato assetto urbanistico, nel rispetto di criteri generali, diretti al soddisfacimento del superiore pubblico interesse, sacrificando, ove necessario, il privato interesse al massimo sfruttamento economico della proprietà privata, costituente bene non riconducibile al solo mero dominio del proprietario, ma coinvolgente l’assetto urbano in generale, quanto all’impatto antropico e sociale” ) – ha sottolineato che proprio il menzionato l’articolo 18 individua dettagliatamente quegli elementi sintomatici denuncianti la destinazione a scopo edificatorio del negozio giuridico: quali la dimensione dello stacco alienato, in speciale relazione con la natura del terreno e con la sua destinazione urbanistica, e la previsione di opere di urbanizzazione.

Secondo la Suprema Corte, nel caso in esame, la Corte d’appello ha falsamente applicato la disposizione di cui all’art. 18 della L. 47/85.

La decisione resa in grado d’appello, infatti, “…omette di tener adeguatamente conto dell’estensione e della destinabilità urbanistica degli appezzamenti alienati nel corso di un arco temporale certamente non incompatibile con il perseguimento di un programma di lottizzazione negoziale, il quale ha, per forza di cose, necessita del tempo necessario per la ricerca degli acquirenti, l’accordo negoziale e le indispensabili incombenze successive. Omette di verificare l’effettiva edificazione dei lotti o della gran parte di essi. Svalorizza il significato della previsione della previsione negoziale delle due servitù, senza apprezzarne le eventuali implicazioni. Ma, quel che più rileva, in siffatta maniera, viene meno al dovere, nascente dalla previsione normativa, di verificare se la trasformazione risulti essere stata predisposta (quindi, programmata) attraverso i plurimi frazionamenti e vendite in lotti che, per dimensioni e destinabilità urbanistica, consentivano l’edificazione”.

Conseguentemente, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: “davanti alla vendita di più lotti, di caratteristiche e misure che ne consentano l‘edificabilità, in un lasso di tempo ragionevolmente compatibile col progetto di lottizzazione negoziale, in presenza di previsioni contrattuali dirette a sopperire all’assenza di opere d’urbanizzazione (come nel caso delle servitù di cui si discute), il giudice è tenuto a verificare se sussista l’ipotesi della “lottizzazione negoziale” sulla base del complessivo compendio indiziario, letto nella sua coesione interattiva, al fine di eventualmente coglierne il carattere univoco.

Per contro, il precetto di legge resta insoddisfatto ove l’analisi degli elementi sintomatici, denuncianti “in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio, normativamente estratti dalla congerie fattuale, si risolva in una svalorizzazione mera, frutto di sommaria postulazione congetturale. Parimenti, ove attraverso la parcellizzazione di tali elementi, presi in isolata rassegna, che ne ignori la correlazione fra gli stessi (correlazione normativamente imposta), se ne neghi l’univocità”

La Suprema Corte ha, pertanto, cassato la sentenza impugnata, rinviando al Giudice del rinvio, perché riesamini la questione alla luce del suddetto principio.

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Sulla configurabilità della lottizzazione abusiva “negoziale”

Published On: 2 Novembre 2021

La Cassazione Civile, sezione II, con la recentissima pronuncia del 22 ottobre 2021, n. 29586, ha affermato un importante principio di diritto in tema di lottizzazione abusiva, specificando quali elementi indiziari – rilevatori dell’intento lottizzatorio – sono da intendersi necessari e sufficienti ai fini della configurabilità della lottizzazione abusiva cosiddetta “negoziale” (o anche detta giuridica o cartolare).

Prima di addentrarsi nella trattazione della decisione in esame, occorre prendere le mosse dalla disposizione di riferimento, contenuta, oggi, nell’art. 30 del D.P.R. del 6 giugno 2001, n. 380 (che ha sostituito l’art. 18 della L. 47/85), il quale prevede, al suo primo comma, che “Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio.

Sulla base della definizione suddetta, dottrina e giurisprudenza hanno classificato, dunque, la lottizzazione abusiva in tre diverse tipologie: materiale, mista e negoziale.

Quanto a quella negoziale – disciplinata nella seconda parte del succitato comma 1 dell’articolo 30 del DPR 380/2001 – essa si configura sulla base di situazioni che la giurisprudenza indica come elementi indiziari, tra i quali: il compimento di un’attività giuridica avente ad oggetto i terreni e consistente nel frazionamento e nella vendita o in atti equivalenti; il frazionamento del terreno agricolo in piccoli lotti non utilizzabili per l’esercizio dell’agricoltura; l’eventuale previsione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria in sede di frazionamento; la vicinanza dei lotti all’aggregato urbano e ad aree già edificate.

Orbene, come anticipato, con la decisione in commento, la Corte di Cassazione ha affermato un importante principio di diritto, cassando, con rinvio, la sentenza gravata.

Per una maggiore chiarezza espositiva si rende, tuttavia, necessario far menzione anche della decisione di prime cure.

L’oggetto della controversia e l’esito del giudizio del giudizio di primo e secondo grado

Gli attori, con l’atto introduttivo del giudizio, hanno in prime cure chiesto al giudice di dichiarare la nullità del contratto di compravendita – stipulato dal loro dante causa per successione ereditaria (convenuto in giudizio) con un terzo – avente ad oggetto una parte del fondo di proprietà del primo.

In particolare, parte attrice ha sostenuto la nullità di tale contratto, per illiceità della causa, attesa la violazione, da parte del loro dante causa, della L. n. 47/1985, articolo 18, “…avendo costituito l’operazione negoziale intervento di lottizzazione abusiva di tipo negoziale o cartolare: l’intero fondo era edificabile in presenza di piani particolareggiati e siffattamente l’area era stata resa immediatamente edificabile in assenza di intervento pubblico di approvazione del piano o di convenzione urbanistica”.

Il giudice adito in primo grado, tuttavia, ha rigettato il ricorso incoato.

Avverso la sentenza, parte attrice ha proposto impugnazione innanzi alla competente Corte d’Appello.

Ebbene, anche il giudice d’Appello ha confermato quanto statuito nella sentenza gravata, atteso che non ha rinvenuto, nella vicenda in esame, “… indici presuntivi univoci a confermare l’assunto degli attori: il contratto non prevedeva la realizzazione di opere d’urbanizzazione; non militava nel senso auspicato dagli appellanti il distacco di altre porzioni del fondo in favore di altri acquirenti, poiché i negozi relativi erano stati stipulati tutti “a distanza di tempo non indifferente dall’atto impugnato”; il mero frazionamento non poteva dirsi prova sufficiente dell’illiceità, costituendo la ipotesi della lottizzazione c. d. negoziale “una difesa avanzata”, occorrendo per conclamarla un’attività diretta allo scopo illecito, che tale apparisse dall’esterno; non era rilevante la previsione di una servitù di presa d’acqua e di passaggio carraio per la sua esiguità e genericità…”.

La decisione della Corte di Cassazione

Avverso la sentenza resa dalla Corte d’Appello, è stato proposto ricorso in Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art.18, della L. n. 1150 del 1942, art. 28, della L. n. 847 del 1964, art. 4 e dell’art. 1418 c.c., nonché difetto di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

Più precisamente, i ricorrenti hanno sostenuto che l‘attività negoziale, compiuta dal loro dante causa, costituiva, fuor di dubbio, lottizzazione abusiva. Ciò, perché:

– gli acquirenti dei lotti di terreno avevano ivi edificato la propria abitazione, impedendo così alla “…alla pubblica amministrazione di prevedere le necessarie opere d’urbanizzazione e regolare l’impatto urbanistico del complessivo intervento...”;

– “…trattavasi di plurimi stacchi di circa 2500 mq., certamente inidonei ad assicurare sfruttamento agricolo e tagliati su misura per l’edificazione, sulla base del minimo costruttivo previsto dalla normativa locale…”;

– “...la servitù di presa d’acqua potabile costituiva senza dubbio opera urbanistica ai sensi della L. n. 847 del 1964 e nello stesso senso militava la previsione di servitù di passaggio fino a costruzione di assetto viario pubblico…”;

– “…la pluralità di alienazioni, alla quale aveva fatto seguito diffusa edificazione dei lotti, aveva significato non equivoco…”;

– “…il tempo trascorso (circa un anno e mezzo) era da reputarsi del tutto confacente allo scopo di programmare la lottizzazione”.

Orbene, la Corte di Cassazione – dopo avere richiamato la disposizione di cui all’art. 18 della L. 47/1985 (il cui contenuto risulta oggi trasfuso, immutato, nel DPR N. 380/2001, all’art. 30) e ricordato la ratio del divieto di legge (ossia “….l’esigenza di permettere l’ordinato, armonico e ragionato assetto urbanistico, nel rispetto di criteri generali, diretti al soddisfacimento del superiore pubblico interesse, sacrificando, ove necessario, il privato interesse al massimo sfruttamento economico della proprietà privata, costituente bene non riconducibile al solo mero dominio del proprietario, ma coinvolgente l’assetto urbano in generale, quanto all’impatto antropico e sociale” ) – ha sottolineato che proprio il menzionato l’articolo 18 individua dettagliatamente quegli elementi sintomatici denuncianti la destinazione a scopo edificatorio del negozio giuridico: quali la dimensione dello stacco alienato, in speciale relazione con la natura del terreno e con la sua destinazione urbanistica, e la previsione di opere di urbanizzazione.

Secondo la Suprema Corte, nel caso in esame, la Corte d’appello ha falsamente applicato la disposizione di cui all’art. 18 della L. 47/85.

La decisione resa in grado d’appello, infatti, “…omette di tener adeguatamente conto dell’estensione e della destinabilità urbanistica degli appezzamenti alienati nel corso di un arco temporale certamente non incompatibile con il perseguimento di un programma di lottizzazione negoziale, il quale ha, per forza di cose, necessita del tempo necessario per la ricerca degli acquirenti, l’accordo negoziale e le indispensabili incombenze successive. Omette di verificare l’effettiva edificazione dei lotti o della gran parte di essi. Svalorizza il significato della previsione della previsione negoziale delle due servitù, senza apprezzarne le eventuali implicazioni. Ma, quel che più rileva, in siffatta maniera, viene meno al dovere, nascente dalla previsione normativa, di verificare se la trasformazione risulti essere stata predisposta (quindi, programmata) attraverso i plurimi frazionamenti e vendite in lotti che, per dimensioni e destinabilità urbanistica, consentivano l’edificazione”.

Conseguentemente, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: “davanti alla vendita di più lotti, di caratteristiche e misure che ne consentano l‘edificabilità, in un lasso di tempo ragionevolmente compatibile col progetto di lottizzazione negoziale, in presenza di previsioni contrattuali dirette a sopperire all’assenza di opere d’urbanizzazione (come nel caso delle servitù di cui si discute), il giudice è tenuto a verificare se sussista l’ipotesi della “lottizzazione negoziale” sulla base del complessivo compendio indiziario, letto nella sua coesione interattiva, al fine di eventualmente coglierne il carattere univoco.

Per contro, il precetto di legge resta insoddisfatto ove l’analisi degli elementi sintomatici, denuncianti “in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio, normativamente estratti dalla congerie fattuale, si risolva in una svalorizzazione mera, frutto di sommaria postulazione congetturale. Parimenti, ove attraverso la parcellizzazione di tali elementi, presi in isolata rassegna, che ne ignori la correlazione fra gli stessi (correlazione normativamente imposta), se ne neghi l’univocità”

La Suprema Corte ha, pertanto, cassato la sentenza impugnata, rinviando al Giudice del rinvio, perché riesamini la questione alla luce del suddetto principio.

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