Trasferimento per incompatibilità ambientale
Il Tar del Lazio con sentenza del 2 gennaio 2019 numero 4 ha affrontato il tema relativo ai limiti di sindacabilità del provvedimento che dispone il cd. trasferimento per incompatibilità ambientale, esprimendosi altresì sulla possibilità di sospendere il giudizio impugnatorio, in pendenza del procedimento penale che ha motivato il provvedimento gravato.
In particolare, il Collegio romano è stato adito da un dipendente del Ministero della Difesa il quale ha proposto azione di annullamento del provvedimento con cui il medesimo Ministero aveva disposto il trasferimento d’autorità del ricorrente in altra sede di servizio, in ragione del coinvolgimento di quest’ultimo in “procedimenti penali per gravi reati” e quindi al fine di rimuovere “condizionamenti ed incompatibilità ambientale”.
Il ricorrente ha formulato in giudizio numerose censure (incentrate sul difetto di motivazione, sul carattere vessatorio e sproporzionato del trasferimento nonché sull’ingiustizia e sull’illogicità della misura in tale modo adottata, anche per carenza di nesso di causalità), proponendo altresì istanza di sospensione del giudizio, giustificata dalla pendenza, dinanzi al Tribunale Penale, del procedimento penale che ha motivato il provvedimento gravato, indicando tra l’altro il carattere pregiudiziale di quest’ultimo rispetto alla decisione del giudizio.
Preliminarmente, il TAR ha ritenuto che non sussistessero i presupposti di legge per accogliere l’istanza della cd. sospensione necessaria del processo, avanzata dal ricorrente.
Ed infatti – dopo aver richiamato l’autorevole orientamento della Corte di Cassazione secondo cui la sospensione del processo di cui all’art. 295 c.p.c. (richiamato dall‘art. 79 del c.p.a.) si basa su un chiaro e inequivoco rapporto di pregiudizialità tra due differenti giudizi e, quindi, costituisce un istituto giuridico la cui precipua funzione è quella di evitare una differente ricostruzione di fatti rivestenti carattere dirimente in entrambi i giudizi, a salvaguardia di esigenze di coerenza e, in termini generali, di giustizia per l’interessato, nel rispetto comunque della sollecita definizione dei giudizi imposta dall’art. 111 Cost. – il Collegio ha rilevato che:
– il presupposto di fatto che giustifica il c.d. trasferimento per incompatibilità ambientale “…non è l’effettiva commissione di un illecito penale da parte del dipendente ma si identifica con l’insorgenza di situazioni di turbativa, atte a minare o, comunque, a svilire il corretto e sereno funzionamento di un ufficio..”;
– il trasferimento per incompatibilità ambientale “..non costituisce una misura di carattere sanzionatorio e/o punitivo, bensì mira semplicemente ad assicurare che l’Amministrazione possa continuare a godere della fiducia dei destinatari della sua azione e possa, quindi, continuare ad assolvere ai propri compiti in maniera proficua, sicché la disposizione di esso si basa essenzialmente su ragioni di tutela dell’interesse pubblico, senza necessità alcuna di procedere ad accertamenti circa la sussistenza o meno di responsabilità in capo all’interessato (cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. VI, 24 aprile 2018, n. 2487; Cass. Civ., Sez. Lav., ord. 26 ottobre 2018, n. 27226; TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 14 novembre 2018, n. 2578)..”;
– pertanto, è da escludere, che “…un giudizio penale – seppure inerente l’accertamento dei medesimi fatti posti all’origine dell’insorgenza della situazione di incompatibilità rilevata dall’Amministrazione – possa essere utilmente configurato in termini di “causa pregiudicante”..”;
– inoltre, “..l’adozione di un provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale risulta del tutto avulsa da indagini sull’origine della situazione venutasi a creare e, anzi, ben si presta ad essere disposta anche nei casi di semplice messa in pericolo del bene giuridico mediante di essa tutelato (ossia il corretto funzionamento dell’ufficio ed il relativo prestigio – cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 28 febbraio 2005, n. 712; TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 8 agosto 2016, n. 1319; TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 14 marzo 2016, n. 518; TAR Roma, Sez. I bis, 23 maggio 2011, n. 4508)..”.
Quanto al merito del ricorso, i Giudici romani lo hanno ritenuto infondato in quanto: a) il provvedimento impugnato offriva una sufficiente rappresentazione dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto che hanno condotto l’Amministrazione ad assumere la decisione in contestazione, in quanto in esso era stata ben delineata la sussistenza oggettiva di una situazione di fatto lesiva del prestigio dell’Amministrazione, riferibile alla presenza del dipendente in una determinata sede e, conseguentemente, rimuovibile con l’assegnazione dello stesso dipendente ad altra sede; b) lo stesso provvedimento rivelava che l’Amministrazione aveva proceduto – nell’interesse pubblico – all’individuazione delle sede di destinazione sulla base della valutazione delle esigenze organizzative di essa e, precipuamente, in ragione del riscontro in un’altra sede di deficienze di unità nel ruolo del ricorrente; c) il ricorrente non aveva comprovato alcun elemento di evidente sproporzionalità, di intento persecutorio o, ancora, di assenza di nesso di causalità.
Sicché, il TAR Lazio ha rigettato il ricorso, ritenendo di dover dare continuità all’orientamento giurisprudenziale, secondo cui:
– “..i provvedimenti di trasferimento assunti per ragioni di incompatibilità ambientale – al pari degli altri provvedimenti con cui l’Amministrazione dispone trasferimenti dei militari – sono qualificabili come ordini (cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. IV, 17 gennaio 2018, n. 239)..”;
– la su indicata configurazione giuridica conduce ad affermare che “..i provvedimenti de quibus – oltre a non necessitare di garanzie di partecipazione preventiva, quale quella discendente dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990 (cfr. TAR Lombardia, n. 2578 del 2018, già cit.; TAR Lazio, Roma, Sez. I bis, 1 ottobre 2018, n. 9654) – sono strettamente connessi alle esigenze organizzative dell’Amministrazione e, pertanto, non abbisognano di una particolare motivazione, risultando indiscussa la prevalenza dell’interesse pubblico al sereno e corretto espletamento delle funzioni sugli eventuali interessi del subordinato, tanto più ove si tenga conto che la permanenza presso una determinata sede di servizio non concretizza una situazione giuridica tutelabile, bensì costituisce una semplice modalità di svolgimento del servizio medesimo (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I bis, n. 9654/2018, già cit.; TAR Lombardia, Milano, 15 giugno 2018, n. 1513; TAR Sicilia, Catania, Sez. III, 31 luglio 2017, n. 1984)..”;
– pertanto “..la valutazione all’uopo effettuata dall’Amministrazione risulta connotata da ampia discrezionalità e, dunque, sindacabile entro i noti ristretti limiti del travisamento dei fatti e della manifesta irragionevolezza o illogicità, identificabili – in sintesi – con il riscontro dell’effettiva sussistenza della situazione di incompatibilità (costituente il presupposto del provvedimento) e della proporzionalità del rimedio adottato dall’Amministrazione per rimuovere quest’ultima (cfr. C.d.S., Sez. III, 25 gennaio 2018, n. 518; C.d.S., Sez. IV, 17 gennaio 2018, n. 239; TAR Lombardia, Milano, 1 agosto 2017, n. 1735; TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 26 luglio 2017, n. 3964)..”.