Vizi del materiale utilizzato nell’appalto: quali rimedi per l’appaltatore?
La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza del 9 maggio 2023 numero 12337, ha espresso importanti princìpi in materia di appalto privato nelle ipotesi di c.c. “vedita a catena”, in particolare affrontando la questione relativa al soggetto che risponde dei danni per vizi del materiale utilizzato nella costruzione delle opere appaltate, nonché al soggetto sul quale incombe l’onere di fornire la prova della tempestività della denuncia di tali vizi.
Il caso di specie
La vicenda sottoposta alla Corte di Cassazione trae origine dall’opposizione a due decreti ingiuntivi ottenuti da una società (appaltatrice), a favore di altra società (committente), della somma di oltre 38.000 euro, per opere di ristrutturazione edilizia eseguite su un immobile.
Col giudizio di opposizione la committente eccepiva l’infondatezza dell’ingiunzione per il parziale pagamento delle somme ingiunte e chiedeva inoltre di essere risarcita per i danni subiti dall’immobile a causa della presenza di vizi della ristrutturazione, relativi in particolare alla qualità del marmo utilizzato dall’appaltatore, il quale chiedeva la chiamata in causa del fornitore del marmo, chiedendo di essere da quest’ultimo manlevato.
Veniva dunque chiamata in giudizio la società che aveva fornito il materiale di costruzione viziato, la quale a sua volta chiedeva la chiamata in causa del produttore delle lastre di marmo impiegate nell’attività di ristrutturazione, per ottenere anch’essa la manleva.
Nel corso del giudizio, la società produttrice eccepiva, in via preliminare, l’intervenuta decadenza e la prescrizione del diritto di garanzia, ex articolo 1495 c.c.
Si veniva quindi a configurare una fattispecie di responsabilità per c.d. vendita a catena.
Il Tribunale, con sentenza poi parzialmente riformata in appello, accoglieva in parte la domanda di pagamento avanzata dall’appaltatore, accertando altresì un credito di natura risarcitoria in capo al committente, compensando quindi tra le parti i rispettivi crediti e debiti.
Il Tribunale dichiarava inoltre l’obbligo della società fornitrice del marmo di tenere indenne l’appaltatore di quanto questi era stato condannato a versare, a titolo di risarcimento, in favore del committente e dichiarava la società produttrice obbligata a tenere indenne la società fornitrice del marmo delle somme che questa era tenuta a versare in favore dell’appaltatore.
I princìpi espressi dalla Corte di Cassazione
La vicenda è arrivata sino alla Corte di Cassazione, la quale preliminarmente ha configurato la fattispecie nell’alveo delle “vendite a catena”, sul punto rilevando come, nella vendita a catena, ogni successivo acquirente agisce in regresso contro il proprio immediato dante causa in forza del proprio e distinto rapporto contrattuale di compravendita e senza che fra l’azione principale e la successiva domanda di regresso si costituisca alcun vincolo di interdipendenza.
Posta tale premessa, la Suprema Corte ha formulato i seguenti princìpi di diritto:
– secondo un principio consolidato “…in tema di appalto, l’appaltatore si trova, rispetto ai materiali acquistati presso terzi e messi in opera in esecuzione del contratto, in una posizione analoga a quella dell’acquirente successivo nell’ipotesi della cd. “vendita a catena”, potendosi, conseguentemente, configurare, in suo favore, due distinte fattispecie di azioni risarcitorie: quella contrattuale relativa ai danni propriamente connessi all’inadempimento in ragione del vincolo negoziale, deducibili con l’azione contrattuale ex art. 1494, comma 2 c.c. relativa alla compravendita (corrispondente, per l’appalto, a quella ex art.1668 c.c.), e quella extracontrattuale per essere tenuto indenne di quanto versato al committente ex art.1669 c.c., in ragione dei danni sofferti per i vizi dei materiali posti in opera…”;
– il principio dell’autonomia di ciascuna vendita “…non impedisce quindi al rivenditore di proporre, nei confronti del proprio venditore, domanda di rivalsa di quanto versato a titolo di risarcimento del danno all’acquirente, quando l’inadempimento del rivenditore sia direttamente connesso e consequenziale alla violazione degli obblighi contrattuali verso di lui assunti dal primo venditore (Cassazione civile sez. II, 24/01/2020, n. 1631; Cassazione civile sez. II, 05/02/2015, n. 2115)…”;
– inoltre, in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, la tempestiva denuncia dei vizi va provata dal compratore, sicché “…eccepita dal venditore la tardività della denuncia rispetto alla data di consegna della merce, incombe sull’acquirente, trattandosi di condizione necessaria per l’esercizio dell’azione, l’onere della prova di aver denunziato i vizi nel termine di legge ex articolo 1495 c.c.”.