Riesame del divieto di detenzione di armi

Published On: 20 Febbraio 2019Categories: Pubblica Amministrazione, Tutele, Varie

Il TAR Sicilia di Palermo, con la decisione del 20 febbraio 2019 n.508 che qui si segnala, ha ritenuto illegittimo il silenzio serbato dalla amministrazione prefettizia nei confronti dell’istanza presentata dal privato per la revoca d’un precedente decreto di divieto di detenzione armi, a suo tempo motivato ai sensi dell’art. 39 del T.U.L.P.S., per il venir meno del requisito dell’affidabilità dell’intestatario (siccome tratto in arresto poiché colto in flagranza del reato di porto abusivo di pistola).
Il Collegio, ha anzitutto premesso di “..non ignora(re) il consolidato orientamento giurisprudenziale … secondo cui va esclusa la sussistenza in capo alla Pubblica amministrazione dell’obbligo di provvedere in ordine alle istanze del privato volte all’esercizio del potere di riesame, stante il carattere discrezionale della potestà di autotutela, talchè l’atto di diffida o messa in mora del privato, volto ad ottenere provvedimenti di revoca o annullamento di precedenti atti amministrativi, è di regola considerato alla stregua di una mera sollecitazione del potere amministrativo, non essendovi un obbligo giuridico di provvedere sull’istanza…”, rammentando anche come tale principio, “…al quale consegue come corollario l’impossibilità di fare ricorso alla procedura del silenzio-rifiuto, trova il proprio fondamento nell’esigenza di evitare il superamento della regola della necessaria impugnazione dell’atto amministrativo nel termine di decadenza (cfr., ex multis, Consiglio di Stato sez. VI, 9.7.2013, n. 3634)…”.
Tuttavia, prosegue il Collegio, il superiore principio non trova applicazione nel caso di specie, giacchè “…l’art. 39 del R.D. n. 773 del 18 giugno 1931, a differenza di altre fattispecie normative che prevedono un termine di efficacia alle misure amministrative limitative della sfera giuridica dei destinatari, non stabilisce una durata limitata nel tempo al divieto imponibile dal Prefetto. Tuttavia, considerato che la potestà attribuita dalla norma all’autorità di p.s. è giustificata, sotto il profilo funzionale, dalle esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, anche con finalità di prevenzione della commissione di illeciti da parte di soggetti che non diano affidamento di non abusare delle armi, il provvedimento inibitorio adottato non può avere efficacia sine die. Invero, un’interpretazione di segno contrario farebbe sorgere seri dubbi sulla legittimità costituzionale della disciplina in argomento, in relazione al principio di buon andamento dell’amministrazione pubblica (art. 97 C.) ed ai connessi canoni di ragionevolezza e proporzionalità, non rispondendo ad alcun interesse pubblico la protrazione a tempo indeterminato del divieto laddove sia venuta meno l’attualità del giudizio di pericolosità in precedenza espresso…”.
Nella fattispecie, pertanto s’impone ad avviso del Collegio “…un’interpretazione costituzionalmente orientata del sistema normativo, sicché, a fronte della mancanza di un limite temporale di efficacia del provvedimento de quo, come contrappeso, deve riconoscersi in capo al destinatario un interesse giuridicamente protetto ad ottenere, dopo il decorso di un termine ragionevole ed in presenza di positive sopravvenienze che abbiano mutato il quadro indiziario posto a base della pregressa valutazione di inaffidabilità, un aggiornamento della propria posizione e, in caso di esito positivo, la revoca dell’atto inibitorio…”.
E ciò tanto più laddove, come nella specie, “…l’istante non intenda rimettere in discussione i presupposti sulla cui base era stato emesso il divieto di cui al citato art. 39 T.U.L.P.S…”, di talchè “.. non risulta in alcun modo intaccata la ratio sottesa alla regola della necessaria impugnazione dell’atto amministrativo nel termine di decadenza, che pertanto resta ferma, non essendo evidentemente consentito, attraverso il rimedio del giudizio sul silenzio, introdurre contestazioni concernenti l’originario esercizio del potere…”.
In conclusione, pertanto, ad avviso del Collegio “…fermo restando l’ampia discrezionalità riservata in materia all’autorità prefettizia, cui è rimesso il prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti segnalate dall’interessato nonchè di quelle acquisibili d’ufficio dalle forze di polizia (cfr. Consiglio di Stato sez. III, 10 ottobre 2014, n. 5039 e 31 marzo 2014, n. 1521), nella fattispecie considerata trova piena riespansione il generale obbligo di pronunciarsi sull’istanza di revisione del privato, ai sensi dell’art. 2 della L. n. 241 del 1990 (v. in esatti termini, TAR Campania, Napoli, V, 21/5/2015, n.2859)…”.
Da ciò, la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato sulla domanda di riesame di parte ricorrente “…sussistendo l’obbligo dell’autorità prefettizia di provvedere in merito, concludendo il relativo procedimento mediante un provvedimento espresso e motivato, in applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 241 del 1990…”.

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Riesame del divieto di detenzione di armi

Published On: 20 Febbraio 2019

Il TAR Sicilia di Palermo, con la decisione del 20 febbraio 2019 n.508 che qui si segnala, ha ritenuto illegittimo il silenzio serbato dalla amministrazione prefettizia nei confronti dell’istanza presentata dal privato per la revoca d’un precedente decreto di divieto di detenzione armi, a suo tempo motivato ai sensi dell’art. 39 del T.U.L.P.S., per il venir meno del requisito dell’affidabilità dell’intestatario (siccome tratto in arresto poiché colto in flagranza del reato di porto abusivo di pistola).
Il Collegio, ha anzitutto premesso di “..non ignora(re) il consolidato orientamento giurisprudenziale … secondo cui va esclusa la sussistenza in capo alla Pubblica amministrazione dell’obbligo di provvedere in ordine alle istanze del privato volte all’esercizio del potere di riesame, stante il carattere discrezionale della potestà di autotutela, talchè l’atto di diffida o messa in mora del privato, volto ad ottenere provvedimenti di revoca o annullamento di precedenti atti amministrativi, è di regola considerato alla stregua di una mera sollecitazione del potere amministrativo, non essendovi un obbligo giuridico di provvedere sull’istanza…”, rammentando anche come tale principio, “…al quale consegue come corollario l’impossibilità di fare ricorso alla procedura del silenzio-rifiuto, trova il proprio fondamento nell’esigenza di evitare il superamento della regola della necessaria impugnazione dell’atto amministrativo nel termine di decadenza (cfr., ex multis, Consiglio di Stato sez. VI, 9.7.2013, n. 3634)…”.
Tuttavia, prosegue il Collegio, il superiore principio non trova applicazione nel caso di specie, giacchè “…l’art. 39 del R.D. n. 773 del 18 giugno 1931, a differenza di altre fattispecie normative che prevedono un termine di efficacia alle misure amministrative limitative della sfera giuridica dei destinatari, non stabilisce una durata limitata nel tempo al divieto imponibile dal Prefetto. Tuttavia, considerato che la potestà attribuita dalla norma all’autorità di p.s. è giustificata, sotto il profilo funzionale, dalle esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, anche con finalità di prevenzione della commissione di illeciti da parte di soggetti che non diano affidamento di non abusare delle armi, il provvedimento inibitorio adottato non può avere efficacia sine die. Invero, un’interpretazione di segno contrario farebbe sorgere seri dubbi sulla legittimità costituzionale della disciplina in argomento, in relazione al principio di buon andamento dell’amministrazione pubblica (art. 97 C.) ed ai connessi canoni di ragionevolezza e proporzionalità, non rispondendo ad alcun interesse pubblico la protrazione a tempo indeterminato del divieto laddove sia venuta meno l’attualità del giudizio di pericolosità in precedenza espresso…”.
Nella fattispecie, pertanto s’impone ad avviso del Collegio “…un’interpretazione costituzionalmente orientata del sistema normativo, sicché, a fronte della mancanza di un limite temporale di efficacia del provvedimento de quo, come contrappeso, deve riconoscersi in capo al destinatario un interesse giuridicamente protetto ad ottenere, dopo il decorso di un termine ragionevole ed in presenza di positive sopravvenienze che abbiano mutato il quadro indiziario posto a base della pregressa valutazione di inaffidabilità, un aggiornamento della propria posizione e, in caso di esito positivo, la revoca dell’atto inibitorio…”.
E ciò tanto più laddove, come nella specie, “…l’istante non intenda rimettere in discussione i presupposti sulla cui base era stato emesso il divieto di cui al citato art. 39 T.U.L.P.S…”, di talchè “.. non risulta in alcun modo intaccata la ratio sottesa alla regola della necessaria impugnazione dell’atto amministrativo nel termine di decadenza, che pertanto resta ferma, non essendo evidentemente consentito, attraverso il rimedio del giudizio sul silenzio, introdurre contestazioni concernenti l’originario esercizio del potere…”.
In conclusione, pertanto, ad avviso del Collegio “…fermo restando l’ampia discrezionalità riservata in materia all’autorità prefettizia, cui è rimesso il prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti segnalate dall’interessato nonchè di quelle acquisibili d’ufficio dalle forze di polizia (cfr. Consiglio di Stato sez. III, 10 ottobre 2014, n. 5039 e 31 marzo 2014, n. 1521), nella fattispecie considerata trova piena riespansione il generale obbligo di pronunciarsi sull’istanza di revisione del privato, ai sensi dell’art. 2 della L. n. 241 del 1990 (v. in esatti termini, TAR Campania, Napoli, V, 21/5/2015, n.2859)…”.
Da ciò, la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato sulla domanda di riesame di parte ricorrente “…sussistendo l’obbligo dell’autorità prefettizia di provvedere in merito, concludendo il relativo procedimento mediante un provvedimento espresso e motivato, in applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 241 del 1990…”.

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