Accesso agli atti della fase esecutiva di appalto pubblico
La seconda graduata non vanta alcuna legittimazione e quindi alcun diritto di accedere agli atti della fase di esecuzione del contratto d’appalto stipulato con l’aggiudicataria, prima ed a prescindere da una eventuale risoluzione, con interpello per scorrimento, neanche ai sensi dell’art. 140 d.lgs. 163/2006 (applicabile ratione temporis ed in base al quale, in caso di fallimento o di liquidazione coatta e concordato preventivo, ovvero in caso di risoluzione del contratto, le stazioni appaltanti potranno interpellare i soggetti che hanno partecipato alla originaria procedura di gara, al fine di stipulare un nuovo contratto).
In tal senso si è espresso il TAR Toscana – Firenze il quale, con la decisione del 17 aprile 2019 n. 577 che qui si segnala, ha anzitutto ritenuto che, non sussistendo nello specifico caso concreto alcuna ipotesi di risoluzione per inadempimento o di recesso dal contratto d’appalto che potesse giustificare il ricorso all’interpello previsto dalla norma, invocata da parte ricorrente a conferma della propria legittimazione all’accesso documentale, l’istanza dalla stessa formulata ai sensi e per gli effetti di cui alla legge 241/1990, si fosse tradotta “…in un’indagine esplorativa tesa alla ricerca di una qualche condotta inadempiente dell’attuale aggiudicataria, di per sé inammissibile, non risultando da alcuna fonte di provenienza delle amministrazioni interessate, né avendo la ricorrente altrimenti fornito alcun elemento o indicato concrete circostanze in tal senso, la sussistenza di qualsivoglia inadempimento … nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali…” (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, III, 7.12.2018 n. 11875; T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, 4.4.2016 n. 366).
Né – osserva ancora il Tribunale – può convenirsi con la diversa prospettazione introdotta dalla ricorrente in sede di ricorso avverso il diniego impugnato, “…con la quale essa qualifica la propria domanda come istanza di accesso generalizzato ai sensi dell’art. 3 d.lgs. n. 33/2013 (come modificato con d.lgs. 97/2016)..”.
Tralasciando il rilievo formale della differente qualificazione normativa dell’istanza rispetto alla formulazione prescelta in sede amministrativa alla quale soltanto si riferisce la determinazione impugnata, il Tribunale ha ritenuto al riguardo e preliminarmente di osservare come “…il legislatore, pur introducendo nel 2016 (l. 25 maggio 2016, n. 97) il nuovo istituto dell’accesso civico “generalizzato”, espressamente volto a consentire l’accesso di chiunque a documenti e dati detenuti dai soggetti indicati nel neo-introdotto art. 2-bis d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 e quindi permettendo per la prima volta l’accesso (ai fini di un controllo) diffuso alla documentazione in possesso delle amministrazioni (e degli altri soggetti indicati nella norma appena citata) e privo di un manifesto interesse da parte dell’accedente, ha però voluto tutelare interessi pubblici ed interessi privati che potessero esser messi in pericolo dall’accesso indiscriminato. Il legislatore ha quindi operato per un verso mitigando la possibilità di conoscenza integrale ed indistinta dei documenti detenuti dall’ente introducendo dei limiti all’ampio accesso (art. 5-bis, commi 1 e 2, d.lgs. 33/2013) e, per altro verso, mantenendo in vita l’istituto dell’accesso ai documenti amministrativi e la propria disciplina speciale dettata dalla l. 241/1990 (evitando accuratamente di novellare la benché minima previsione contenuta nelle disposizioni da essa recate), anche con riferimento ai rigorosi presupposti dell’ostensione, sia sotto il versante della dimostrazione della legittimazione e dell’interesse in capo al richiedente sia sotto il versante dell’inammissibilità delle richieste volte ad ottenere un accesso diffuso” (cfr. Cons. Stato, VI, n. 651/2018)…”.
Quindi, il Tribunale, pur consapevole dell’oscillante giurisprudenza formatasi circa l’ambito di operatività dell’istituto dell’accesso civico ed in particolare sulla sua applicabilità nella materia degli appalti pubblici (T.A.R. Campania, Napoli, VI, n. 6028/17; T.A.R. Marche, I, n. 677/18; T.A.R. Lazio, Roma, II, n. 425/19; da ultimo, anche T.A.R. Toscana, I, n. 422/19; nonchè ed in particolare: T.A.R. Emilia- Romagna, Parma, n. 197/18; T.A.R. Lombardia, Milano, I, n. 630/19, che ne escludono l’applicabilità e T.A.R. Lombardia – Milano, sez. IV, n.45/2019 che l’ammette, avuto però riguardo “alle offerte tecniche ed economiche e al piano finanziario” dell’aggiudicataria, e cioè ad atti che si collocano nella fase pubblicistica della procedura di affidamento), ha ritenuto che:
Ne consegue, chiosa il Tribunale, “.. una disciplina complessa, risultante dall’applicazione dei diversi istituti dell’accesso ordinario e di quello c.d. civico, che hanno un diverso ambito di operatività e grado di profondità con effetti diversificati con riferimento al settore speciale dei pubblici appalti…” e nell’ambito della quale, “…per quanto riguarda gli atti e documenti della fase pubblicistica del procedimento , oltre all’accesso ordinario è consentito anche l’accesso civico generalizzato, “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”; per quanto riguarda atti e documenti della fase esecutiva del rapporto contrattuale tra stazione appaltante ed aggiudicataria, l’accesso ordinario è consentito ai sensi degli artt. 22 e seguenti della legge n. 241 e nel rispetto delle condizioni e dei limiti individuati dalla giurisprudenza…”, limiti e condizioni che nella fattispecie non risultano osservati.