Assegnazione o trasferimento ex lege 104/1992 alla sede più vicina al familiare assistito

Published On: 11 Marzo 2024Categories: Pubblica Amministrazione, Rapporti di lavoro pubblico e privato

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania – III Sezione interna, con la sentenza numero 614 del 21 febbraio 2024, si è pronunciato in ordine alla possibilità per i lavoratori, del settore sia pubblico che privato, di chiedere e ottenere, ai sensi della Legge numero 104 del 1992, l’assegnazione a una sede di lavoro diversa da quella cui in origine sono stati assegnati.

La fattispecie esaminata

La vicenda sottoposta all’attenzione del TAR ha avuto avvio dalla richiesta d’un dipendente pubblico – militare dell’esercito in servizio permanente – volta a ottenere l’assegnazione a una sede d’impiego diversa rispetto a quella presso cui lo stesso prestava servizio, al fine di usufruire delle agevolazioni previste dalla legge 104/1992 per assistere un familiare disabile.

Il Ministero della Difesa, tuttavia, con provvedimento del Dipartimento per l’impiego del personale dell’esercito cui apparteneva il dipendente, ha respinto la richiesta, tenendo conto delle sole esigenze organizzative (collegate alle competenze del richiedente).

Il ricorso promosso dinanzi al Tar per la Sicilia

Avverso l’atto ministeriale di diniego, il militare ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia di Catania, chiedendone l’annullamento e lamentando, in particolare, la violazione dell’articolo 33, comma 5, della Legge numero 104 del 1992.

La citata disposizione, invero, disciplina il regime delle agevolazioni dei lavoratori pubblici o privati sancendo che il lavoratore, in presenza di condizioni specificamente previste dalla medesima legge, “… ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede…”.

L’iter argomentativo del Collegio

Il Collegio decidente ha, preliminarmente, ritenuto sussistente la sua competenza territoriale, in applicazione del principio di diritto secondo cui “… per le controversie riguardanti pubblici dipendenti rientranti nella giurisdizione amministrativa, è inderogabilmente competente il TAR, nella cui circoscrizione è situata la sede di servizio, in forza dell’art. 13, comma 2, c.p.a., dovendosi fare riferimento, sotto tale profilo, al momento di proposizione della domanda giudiziale (in tal senso cfr. Consiglio di Stato, II, 30 agosto 2021, n. 6070)…”.

Quindi, il Collegio – nel rilevare la fondatezza del ricorso – ha chiarito quale debba essere la corretta interpretazione del quinto comma della disposizione normativa citata, precisando che “…il beneficio dell’assegnazione della sede più vicina all’assistito coinvolge interessi legittimi e, di conseguenza, implica un complessivo bilanciamento fra l’interesse del privato e gli interessi pubblici nell’esercizio del potere discrezionale da parte dell’Amministrazione…”; ciò in quanto la scelta della sede presso cui assegnare il lavoratore è disposta “a vantaggio del disabile e non, invece, nell’interesse esclusivo dell’Amministrazione ovvero del richiedente”.

Con ciò, il trasferimento o l’assegnazione della sede di lavoro hanno “natura strumentale” e sono da considerarsi “intimamente” connesse con la persona assistita dal lavoratore.

Conseguentemente, l’inciso, ove possibilecontenuto nella predetta disposizione normativa, comporta che, avuto riguardo alla qualifica rivestita dal pubblico dipendente, deve risultare sussistente “la disponibilità nella dotazione di organico della sede di destinazione del posto in ruolo per il proficuo utilizzo del dipendente che chiede il trasferimento …”, occorrendo, dunque, che presso la sede richiesta vi sia una occupazione compatibile con la categoria del lavoratore dipendente e che la successiva assegnazione possa avvenire “… nel limite delle posizioni organiche previste per il ruolo e il grado …”.

Il TAR ha poi chiarito come, in tali casi, l’esercizio del potere discrezionale da parte dell’Amministrazione – consistente nella verifica della compatibilità del trasferimento (o dell’assegnazione) con le esigenze generali del servizio – debba “… consistere in una verifica e ponderazione accurate delle esigenze funzionali, le quali devono risultare da una congrua motivazione …”.

Col che, il Collegio ha illustrato come, nell’esprimere il diniego al trasferimento o all’assegnazione, occorre dare atto delle specifiche esigenze di servizio che “… non possono essere né genericamente richiamate, né fondarsi su generiche valutazioni in ordine alle scoperture di organico ovvero alle necessità di servizio da fronteggiare …”.

Sul punto, invero, in richiamo alle norme del Codice dell’ordinamento militare, nonché al consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, il TAR ha stabilito che, nella fattispecie esaminata, tali “esigenze di servizio” sarebbero dovute risultare “da una indicazione concreta di elementi ostativi, riferiti alla sede di servizio in atto, anche rispetto alla sede di servizio richiesta, e dalla considerazione del grado e della posizione di ruolo e specialità propri del richiedente, così come testualmente previsto dall’art. 981, comma 1, lett. b), del codice dell’ordinamento militare (in termini Consiglio di Stato, II, 27 dicembre 2023, n. 11248 con richiamo a sentenze della medesima sezione n. 4003 del 20 aprile 2023 e n. 714 del 2 febbraio 2022)…”.

Tale norma – ha chiarito il Collegio – trova applicazione tanto in caso di trasferimento del dipendente quanto in caso di prima assegnazione, poiché “… nessun discrimine in tal senso è in essa contenuto e non rappresenta un ostacolo il fatto che si tratti di un “interesse legittimo” e non di un “diritto soggettivo”, né tanto meno la necessità di garantire l’avvicendamento del personale, la quale non può costituire valida ragione per ledere il preminente diritto all’assistenza spettante al disabile …”.

A ciò è stato peraltro aggiunto che nemmeno la natura del beneficio riconosciuto al lavoratore/familiare del disabile, in quanto “funzionale e temporanea”, possa rappresentare un “limite invalicabile”: essa deve rispondere alle “esigenze organizzative dell’Amministrazione, cosicché, laddove nel prosieguo del rapporto si rinvengano esigenze contrarie o cessino quelle assistenziali del dipendente trasferito, ben potrebbe essere disposto il suo rientro alla sede originaria (in caso di trasferimento) o la sua destinazione ad altra sede (nel caso di prima assegnazione) (in tal senso Consiglio di Stato, III, 15 febbraio 2021, n. 1331)”.

In proposito, sebbene il TAR abbia rilevato che l’assegnazione del ricorrente alla prima sede sia avvenuta al fine di tenere conto della specificità della specialità del corpo a cui questo apparteneva, nel proseguo della decisione, tuttavia, ha ritenuto che tale esigenza sia recessiva rispetto a quella preminente di assistenza che avrebbe dovuto indurre “alla valutazione della maggiore adeguatezza della stabilizzazione” del diverso impiego presso la nuova sede, al fine di consentire al ricorrente di poter prestare assistenza al soggetto affetto da disabilità.

Con ciò rilevando che il diniego non è stato sorretto da congrua giustificazione e motivazione poiché l’Amministrazione non ha offerto una concreta prevalente ragione per assegnarlo alla sede di provenienza.

Ma di più.

Nell’accogliere il ricorso e annullare il provvedimento impugnato, il Collegio ha ritenuto che il beneficio di cui all’art. 33, comma 5, della l. n. 104 del 1992 “non ingenera nel caso specifico nessun nocumento per l’Amministrazione, in quanto dagli atti di causa emerge che l’interessato presta già servizio, quale … nella sede richiesta e, per espressa ammissione dell’Avvocatura dello Stato, continuerà a farlo fino al persistere della necessità di assistenza”.

Conclusioni

Sulla scorta delle superiori coordinate, il Collegio ha definito il giudizio, accogliendo il ricorso e ritenendo che la mancata assegnazione alla sede che avrebbe consentito al ricorrente di prestare assistenza al soggetto disabile non fosse stata congruamente giustificata e motivata poiché “non è stata offerta dall’Amministrazione una concreta prevalente ragione” per assegnarlo ad altra sede.

Ciò in quanto secondo il consolidato principio di diritto occorre “un’adeguata e specifica oggettiva dimostrazione della prevalenza degli interessi pubblici rispetto a quelli privati” che nel caso in mano non risultano essere emersi.

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Assegnazione o trasferimento ex lege 104/1992 alla sede più vicina al familiare assistito

Published On: 11 Marzo 2024

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania – III Sezione interna, con la sentenza numero 614 del 21 febbraio 2024, si è pronunciato in ordine alla possibilità per i lavoratori, del settore sia pubblico che privato, di chiedere e ottenere, ai sensi della Legge numero 104 del 1992, l’assegnazione a una sede di lavoro diversa da quella cui in origine sono stati assegnati.

La fattispecie esaminata

La vicenda sottoposta all’attenzione del TAR ha avuto avvio dalla richiesta d’un dipendente pubblico – militare dell’esercito in servizio permanente – volta a ottenere l’assegnazione a una sede d’impiego diversa rispetto a quella presso cui lo stesso prestava servizio, al fine di usufruire delle agevolazioni previste dalla legge 104/1992 per assistere un familiare disabile.

Il Ministero della Difesa, tuttavia, con provvedimento del Dipartimento per l’impiego del personale dell’esercito cui apparteneva il dipendente, ha respinto la richiesta, tenendo conto delle sole esigenze organizzative (collegate alle competenze del richiedente).

Il ricorso promosso dinanzi al Tar per la Sicilia

Avverso l’atto ministeriale di diniego, il militare ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia di Catania, chiedendone l’annullamento e lamentando, in particolare, la violazione dell’articolo 33, comma 5, della Legge numero 104 del 1992.

La citata disposizione, invero, disciplina il regime delle agevolazioni dei lavoratori pubblici o privati sancendo che il lavoratore, in presenza di condizioni specificamente previste dalla medesima legge, “… ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede…”.

L’iter argomentativo del Collegio

Il Collegio decidente ha, preliminarmente, ritenuto sussistente la sua competenza territoriale, in applicazione del principio di diritto secondo cui “… per le controversie riguardanti pubblici dipendenti rientranti nella giurisdizione amministrativa, è inderogabilmente competente il TAR, nella cui circoscrizione è situata la sede di servizio, in forza dell’art. 13, comma 2, c.p.a., dovendosi fare riferimento, sotto tale profilo, al momento di proposizione della domanda giudiziale (in tal senso cfr. Consiglio di Stato, II, 30 agosto 2021, n. 6070)…”.

Quindi, il Collegio – nel rilevare la fondatezza del ricorso – ha chiarito quale debba essere la corretta interpretazione del quinto comma della disposizione normativa citata, precisando che “…il beneficio dell’assegnazione della sede più vicina all’assistito coinvolge interessi legittimi e, di conseguenza, implica un complessivo bilanciamento fra l’interesse del privato e gli interessi pubblici nell’esercizio del potere discrezionale da parte dell’Amministrazione…”; ciò in quanto la scelta della sede presso cui assegnare il lavoratore è disposta “a vantaggio del disabile e non, invece, nell’interesse esclusivo dell’Amministrazione ovvero del richiedente”.

Con ciò, il trasferimento o l’assegnazione della sede di lavoro hanno “natura strumentale” e sono da considerarsi “intimamente” connesse con la persona assistita dal lavoratore.

Conseguentemente, l’inciso, ove possibilecontenuto nella predetta disposizione normativa, comporta che, avuto riguardo alla qualifica rivestita dal pubblico dipendente, deve risultare sussistente “la disponibilità nella dotazione di organico della sede di destinazione del posto in ruolo per il proficuo utilizzo del dipendente che chiede il trasferimento …”, occorrendo, dunque, che presso la sede richiesta vi sia una occupazione compatibile con la categoria del lavoratore dipendente e che la successiva assegnazione possa avvenire “… nel limite delle posizioni organiche previste per il ruolo e il grado …”.

Il TAR ha poi chiarito come, in tali casi, l’esercizio del potere discrezionale da parte dell’Amministrazione – consistente nella verifica della compatibilità del trasferimento (o dell’assegnazione) con le esigenze generali del servizio – debba “… consistere in una verifica e ponderazione accurate delle esigenze funzionali, le quali devono risultare da una congrua motivazione …”.

Col che, il Collegio ha illustrato come, nell’esprimere il diniego al trasferimento o all’assegnazione, occorre dare atto delle specifiche esigenze di servizio che “… non possono essere né genericamente richiamate, né fondarsi su generiche valutazioni in ordine alle scoperture di organico ovvero alle necessità di servizio da fronteggiare …”.

Sul punto, invero, in richiamo alle norme del Codice dell’ordinamento militare, nonché al consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, il TAR ha stabilito che, nella fattispecie esaminata, tali “esigenze di servizio” sarebbero dovute risultare “da una indicazione concreta di elementi ostativi, riferiti alla sede di servizio in atto, anche rispetto alla sede di servizio richiesta, e dalla considerazione del grado e della posizione di ruolo e specialità propri del richiedente, così come testualmente previsto dall’art. 981, comma 1, lett. b), del codice dell’ordinamento militare (in termini Consiglio di Stato, II, 27 dicembre 2023, n. 11248 con richiamo a sentenze della medesima sezione n. 4003 del 20 aprile 2023 e n. 714 del 2 febbraio 2022)…”.

Tale norma – ha chiarito il Collegio – trova applicazione tanto in caso di trasferimento del dipendente quanto in caso di prima assegnazione, poiché “… nessun discrimine in tal senso è in essa contenuto e non rappresenta un ostacolo il fatto che si tratti di un “interesse legittimo” e non di un “diritto soggettivo”, né tanto meno la necessità di garantire l’avvicendamento del personale, la quale non può costituire valida ragione per ledere il preminente diritto all’assistenza spettante al disabile …”.

A ciò è stato peraltro aggiunto che nemmeno la natura del beneficio riconosciuto al lavoratore/familiare del disabile, in quanto “funzionale e temporanea”, possa rappresentare un “limite invalicabile”: essa deve rispondere alle “esigenze organizzative dell’Amministrazione, cosicché, laddove nel prosieguo del rapporto si rinvengano esigenze contrarie o cessino quelle assistenziali del dipendente trasferito, ben potrebbe essere disposto il suo rientro alla sede originaria (in caso di trasferimento) o la sua destinazione ad altra sede (nel caso di prima assegnazione) (in tal senso Consiglio di Stato, III, 15 febbraio 2021, n. 1331)”.

In proposito, sebbene il TAR abbia rilevato che l’assegnazione del ricorrente alla prima sede sia avvenuta al fine di tenere conto della specificità della specialità del corpo a cui questo apparteneva, nel proseguo della decisione, tuttavia, ha ritenuto che tale esigenza sia recessiva rispetto a quella preminente di assistenza che avrebbe dovuto indurre “alla valutazione della maggiore adeguatezza della stabilizzazione” del diverso impiego presso la nuova sede, al fine di consentire al ricorrente di poter prestare assistenza al soggetto affetto da disabilità.

Con ciò rilevando che il diniego non è stato sorretto da congrua giustificazione e motivazione poiché l’Amministrazione non ha offerto una concreta prevalente ragione per assegnarlo alla sede di provenienza.

Ma di più.

Nell’accogliere il ricorso e annullare il provvedimento impugnato, il Collegio ha ritenuto che il beneficio di cui all’art. 33, comma 5, della l. n. 104 del 1992 “non ingenera nel caso specifico nessun nocumento per l’Amministrazione, in quanto dagli atti di causa emerge che l’interessato presta già servizio, quale … nella sede richiesta e, per espressa ammissione dell’Avvocatura dello Stato, continuerà a farlo fino al persistere della necessità di assistenza”.

Conclusioni

Sulla scorta delle superiori coordinate, il Collegio ha definito il giudizio, accogliendo il ricorso e ritenendo che la mancata assegnazione alla sede che avrebbe consentito al ricorrente di prestare assistenza al soggetto disabile non fosse stata congruamente giustificata e motivata poiché “non è stata offerta dall’Amministrazione una concreta prevalente ragione” per assegnarlo ad altra sede.

Ciò in quanto secondo il consolidato principio di diritto occorre “un’adeguata e specifica oggettiva dimostrazione della prevalenza degli interessi pubblici rispetto a quelli privati” che nel caso in mano non risultano essere emersi.

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