Difformità delle opere appaltate
La Seconda Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza del 14 febbraio 2024 numero 4077, si è pronunciata in tema di onere probatorio circa la conformità delle opere eseguite rispetto al progetto appaltato, esprimendo un importante principio di diritto circa le corrette modalità di esecuzione dell’appalto e di accordo rispetto alle opere eseguite.
La Suprema Corte, in particolare, ha ritenuto che nel caso in cui il committente abbia tempestivamente eccepito la difformità dell’opera e abbia coltivato tale eccezione ritualmente anche in appello, sarà preciso onere dell’appaltatore eccepire – ma soprattutto provare – che si è trattato di varianti specificamente approvate dal direttore dei lavori.
La vicenda e i giudizi di merito
Nella fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione, solo brevemente tracciata dalla sentenza in rassegna, il Tribunale di Avellino ha rigettato l’opposizione a due decreti ingiuntivi relativi a pretese difformità di un’opera appaltata.
Proposto gravame, la Corte d’Appello di Napoli ha ritenuto di disattendere l’eccezione di inadempimento avanzata dall’opponente, rilevandone l’inammissibilità poiché proposta per la prima volta solo in appello.
In particolare, parte attrice aveva opposto, quale principale motivo di inadempimento del contratto, la realizzazione di un tetto a tre falde piuttosto che a due, rilevando che la variazione non era stata “autorizzata dalla committenza e/o dalla direzione lavori”.
Tale doglianza, in effetti, era stata ribadita anche con i successivi scritti difensivi e gli atti processuali relativi all’appello.
Il giudizio di legittimità e la decisione della Corte di Cassazione
La controversia è giunta sino in Cassazione, ove l’opponente ha denunciato innanzitutto la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. (il quale sancisce il cd. divieto dei nova, cioè che “nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio”).
La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto tale motivo fondato, poiché “la questione non era nuova”.
Si è trattato infatti “di punto controverso sottoposto al Giudice di primo grado e coltivato in appello, rilevante al fine di valutare l’eccezione d’inadempimento”.
La Corte d’Appello aveva pertanto errato affermando che “…solo in appello l’impugnante aveva dedotto che “le variazioni progettuali del tetto non fossero state autorizzate dalla committenza” poiché l’opponente aveva sollevato l’eccezione già dal primo grado.
La Suprema Corte, oltre alla questione meramente processuale, ha in effetti affrontato anche un’interessante questione relativa all’onere probatorio che grava sul committente che abbia tempestivamente eccepito le difformità dell’opera.
Nel caso in cui il committente “…abbia tempestivamente eccepito la difformità dell’opera rispetto al progetto di contratto…”, l’onere di provare il fatto che la variante sia stata invece approvata dal direttore dei lavori deve necessariamente ricadere sull’appaltatore (risultando dunque errata la tesi sostenuta dalle corti di merito con cui era stato addebitato al committente “…che abbia tempestivamente eccepito la difformità dell’opera rispetto al progetto di contratto, l’onere di provare il fatto negativo che la variante non risulti essere stata approvata dal direttore dei lavori, addirittura anche in assenza d’eccezione specifica dell’appaltatore…”).
La Corte di Cassazione, pertanto, ha cassato la sentenza di secondo grado, rinviando al giudice di merito e invitandolo, dopo aver preso atto della tempestività dell’eccezione di inadempimento proposta dal committente, di attenersi al principio di diritto per cui “Nel caso in cui il committente abbia tempestivamente eccepito la difformità dell’opera rispetto al progetto di contratto e abbia coltivato ritualmente l’eccezione anche in grado d’appello, spetterà all’appaltatore eccepire e provare trattarsi di variante approvata dal direttore dei lavori…”.