Dubbi di costituzionalità sulla gravità delle irregolarità fiscali definitivamente accertate

Published On: 27 Settembre 2024Categories: Appalti Pubblici e Concessioni

A distanza di pochi mesi dalla decisione n.7/2024 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, torna alla “ribalta” la tematica delle violazioni tributarie e fiscali “definitivamente accertate” di cui all’art. 80, comma 4, del decreto legislativo 50/2016: la Terza Sezione del Consiglio di Stato, infatti, con la recente ordinanza n.7518 dell’11.09.2024 (Pres.: Dott. G. Pescatore; Relatore ed Estensore: Dott. A. R. Cerroni) ha rimesso alla Corte Costituzionale il vaglio della disposizione, avuto specifico riguardo al congegno normativo della c.d. gravità di tali irregolarità “automaticamente escludenti”.

La vicenda concreta, il precedente dell’Adunanza Plenaria e i diversi scenari oggi prospettati dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato

La vicenda che ha originato l’ordinanza di rimessione in rassegna è, nel suo nucleo sostanziale, pressoché identica a quella su cui l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata, solo pochi mesi fa e sempre su “iniziativa” della Terza Sezione, con la decisione n. 7 del 24.04.2024 (citata in premessa e di cui vi avevamo diffusamente parlato qui). Peraltro, riguarda gli stessi due operatori economici privati, che si erano collocati al primo e al secondo posto di due distinte gare d’appalto indette per l’affidamento di servizi nel settore sanitario da due diverse stazioni appaltanti.

Anche nella vertenza in esame, infatti, la seconda graduata ha impugnato l’aggiudicazione a favore dell’altro operatore economico, contestando la sussistenza ab origine del requisito della regolarità fiscale di cui all’art. 80, comma 4, del decreto legislativo 50/2016. Ciò, in ragione dell’esistenza (già alla data del bando e a quella dell’offerta) d’un debito tributariodefinitivamente accertato” e “grave”, non dichiarato in gara dall’operatore (aggiudicatario) e non risultante dalla certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, ma comunque automaticamente escludente, perché ex lege grave, nello specifico derivante dall’omesso integrale pagamento d’un contributo unificato a suo tempo richiesto dal Consiglio di Stato, con avviso di cancelleria rimasto incontestato (e poi evaso, dall’operatore economico, solo in parte e tardivamente).

Nella prima vertenza, la Terza Sezione, all’esito dell’udienza pubblica fissata per la definizione nel merito, aveva rimesso alcuni quesiti all’Adunanza Plenaria, vertenti sulla latitudine degli oneri dichiaratori dei concorrenti in sede di gara, dei poteri di verifica della Stazione appaltante e degli oneri allegatori in capo al ricorrente, rispetto alle “vicende” incidenti sulla “regolarità fiscale”. E l’Adunanza Plenaria, con la menzionata decisione n.7/2024, nell’enunciare interessanti princìpi ermeneutici, aveva ritenuto di poter definire essa stessa nel merito l’impugnazione della seconda graduata, accogliendola e, dunque, ritenendo in effetti viziata l’aggiudicazione per l’originaria e automaticamente escludente carenza del requisito d’ordine generale, “denunziata” sin dal primo grado.

Analogo esito avrebbe, a tal punto, potuto avere la seconda vertenza, una volta chiamata anch’essa per la decisione nel merito davanti alla stessa Terza Sezione del Consiglio di Stato, risultando invero “pienamente esportabili le rationes decidendi enunciate nell’arresto dell’organo nomofilattico e concernenti la medesima quaestio iuris, ossia la rilevanza escludente della pendenza tributaria di *** per la mancata corresponsione della somma di euro 18 mila a titolo di contributo unificato e relative sanzioni per il deposito del ricorso in appello allibrato al N.R.G. ***”.

Sennonché, la Terza Sezione, all’esito dell’udienza pubblica, svoltasi nel gennaio 2024, con la recente ordinanza in rassegna, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata una delle due questioni di costituzionalità introdotte in giudizio dall’aggiudicataria (già soccombente nella vertenza gemella), e segnatamente quella incentrata sulla “qualificazione di gravità della violazione tributaria al mero superamento della soglia fissa e predeterminata di cinquemila euro, in forza della relatio all’art. 48-bis d.P.R. 602 del 1973”, tacciata di “contrasto con l’art. 3 Cost., sub specie di contrasto coi princìpi di ragionevolezza e proporzionalità, cardinale e ordinale in rapporto al tertium comparationis rappresentato dal più temperato meccanismo di commisurazione della soglia di gravità per le violazioni non definitivamente accertate di cui al settimo periodo del medesimo comma 4 dell’art. 80”.

La ricostruzione del quadro normativo di riferimento

Con l’ordinanza in rassegna, la Terza Sezione, ha dapprima dato atto e argomentato sulla rilevanza della questione, ravvisandola in ragione dell’impossibilità, nella specie, di accogliere e dare ingresso a diverse interpretazioni costituzionalmente orientate.

Quindi, al fine di “motivare” sulla non manifesta infondatezza della questione, in vista della sua rimessione alla Corte Costituzionale, ha in via preliminare operato una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento. Ciò, rammentando in particolare che:

  • il requisito della regolarità fiscale ai fini della partecipazione d’un operatore economico alle procedure evidenziali per l’assegnazione di commesse pubbliche è stato già previsto dall’38, comma 1, lett. g) del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, il quale – in attuazione dell’art. 45 Dir. 2004/18/CE, par. 2, lett. f) – stabiliva, nella sua formulazione originaria, l’esclusione del concorrente che avesse “commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti”;
  • tale disposizione è poi stata modificata dal D.L. n. 70 del 2011, che ha interpolato l’attributo “gravi” dopo “violazioni”;
  • l’avvento della nuova direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici (che ha abrogato la direttiva 2004/18/CE) ha sul punto introdotto un nuovo discrimen tra “violazioni tributarie definitivamente accertate” o meno; ciò, «stabilendo, all’art. 57, par. 2, una dicotomia tra esclusione obbligatoria e facoltativa: da un lato, “un operatore è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se l’amministrazione aggiudicatrice è a conoscenza del fatto che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali e se ciò è stato stabilito da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo e vincolante secondo la legislazione del paese dove è stabilito o dello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice”, e, dall’altro, “le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere o possono essere obbligate dagli Stati membri a escludere dalla partecipazione a una procedura d’appalto un operatore economico se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con qualunque mezzo adeguato che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali”»;
  • il mancato pronto recepimento, da parte del Legislatore nazionale, di tale “impianto dicotomico”, al momento dell’adozione del previgente Codice dei Contratti pubblici di cui al decreto legislativo 50/2016, e in seno al suo art. 80, comma 4, ha fatto sì che (anche) tale questione venisse sollevata dalla Commissione Europea nell’ambito della procedura di infrazione n. 2018/2273, promossa con lettera di costituzione in mora del 24 gennaio 2019;
  • ne sono quindi derivate due modifiche normative “correttive”: la prima, per effetto dell’art. 8, comma 5, lettera b) del D.L. n. 76 del 2020, che ha novellato il comma 4 dell’art. 80, introducendovi (per la prima volta) la fattispecie di esclusione non automatica per gravi violazioni non definitivamente accertate prevista dal diritto unionale (in questa prima fase, “mantenendo” l’uniformità della nozione di “gravità”, sempre calibrata sul rinvio all’art. 48-bis d.P.R. 602/1973, a sua volta introdotto nel testo originario dell’art. 80, comma 4); e la seconda, per effetto della legge europea 2019-2020 (legge 23 dicembre 2021, n. 238), che ha differenziato il “congegno determinativo” della soglia di gravità per le due fattispecie escludenti contemplate dalla disposizione in rassegna, introducendo, per quelle non definitivamente accertate, un rimando ad una successiva e distinta fonte regolamentare, comunque già a livello primario “vincolata” dalla parametrizzazione al valore dell’appalto e dalla soglia non inferiore a 35 mila euro (rimando poi attuato con l’emanazione del D.M. 22 settembre 2022).

All’esito di tale percorso normativo, l’“ordito normativo” dell’art. 80, co. 4 del d.lgs. n. 50 del 2016, applicabile alla vertenza “sub iudice” – peraltro sostanzialmente confermato anche dal Codice degli Appalti pubblici di cui al decreto legislativo n.36 del 2023 (v. artt. 94, comma 6 e 95, comma 2, nonché Allegato II.10) – contempla(va), pertanto, due diverse cause di esclusione collegate alla condizione di regolarità fiscale (o meno) del concorrente, prevedendo che:

i. un operatore economico è (automaticamente) escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti; ciò, con la duplice precisazione che: “costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602” e che “costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione”;

ii. un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso ha commesso gravi violazioni non definitivamente accertate agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o contributi previdenziali; ciò, la precisazione che “costituiscono gravi violazioni non definitivamente accertate in materia fiscale quelle stabilite da un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e previo parere del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente periodo, recante limiti e condizioni per l’operatività della causa di esclusione relativa a violazioni non definitivamente accertate che, in ogni caso, devono essere correlate al valore dell’appalto e comunque di importo non inferiore a 35.000 euro.

La nozione di “gravità” della violazione tributaria

Come si evince anche dal superiore excursus, la nozione di gravità della violazione tributaria ha assunto una valenza progressivamente decisiva nell’impianto della disposizione in rassegna: del tutto assente “nella prima compilazione sistematica del 2006”, essa è stata introdotta nel 2011 (per effetto del D.L. 70/2011), venendo successivamente perpetuata sia nel codice dei contratti pubblici del 2016, che in quello del 2023, tanto per l’originaria causa di esclusione automatica, quanto per quella c.d. facoltativa, introdotta solo nel 2020.

Ma ciò, con una differenza sostanziale: per le “violazioni definitivamente accertate”, infatti, la soglia di “gravità” è ancora oggi individuata ex lege in misura secca, rigida e invariabile, “per relationem” con l’importo di cui all’art. 48-bis d.P.R. n. 602 del 1973 – come noto pari a 5 mila euro (10 mila, sino al 31 dicembre 2017).

Per le violazioni non definitivamente accertate, invece, a far data dal 31 gennaio 2022 (data di entrata in vigore della legge europea 2019-2020 n. 238 del 2021), è stata data rilevanza normativa ad una “soglia mobile” e variabile, rapportata al “valore dell’appalto” e comunque superiore ad una data soglia de minimis, significativamente più elevata di quella idonea ad integrare i presupposti della fattispecie escludente obbligatoria (pari invero a 35 mila euro).

I dubbi di legittimità costituzionale sul meccanismo determinativo della soglia di gravità per le irregolarità fiscali definitivamente accertate

Ad avviso del Collegio remittente, il meccanismo determinativo della soglia di gravità per le irregolarità fiscali a valenza “automaticamente escludente” di cui al primo e secondo periodo dell’art. 80, comma 4 del decreto legislativo n. 50 del 2016, sopra sintetizzato (sub i), si pone in tensione insanabile con l’art. 3 della Costituzione, inteso “quale crogiuolo in cui si fondono secondo un sapiente dosaggio assiologico i princìpi cardinali di proporzionalità e ragionevolezza”.

In particolare, quanto al principio di proporzionalità, l’ordinanza in rassegna ha rammentato come esso – enunciato agli inizi del secolo XX dalla dottrina e dalla giurisprudenza germanica – è nel tempo diventato “uno degli architravi della giurisprudenza europea delle Corti di Lussemburgo e di Strasburgo” e ha finito col permeare anche il diritto amministrativo nazionale, di cui è divenuto uno dei princìpi generali, quale “argine al potere discrezionale quando questo si imbatte in un diritto fondamentale”. Tale principio, nell’elaborazione esegetica ormai consolidatasi, viene declinato secondo due modelli – uno trifasico e uno bifasico.

Secondo il modello trifasico, ha in particolare rammentato il Collegio, “la proporzionalità si compone di tre elementi: idoneità, necessarietà e proporzionalità in senso stretto. È idonea la misura che permette il raggiungimento del fine, il conseguimento del risultato prefissato, mentre essa è necessaria se è l’unica possibile per il raggiungimento del risultato prefissato o è quella che arreca il minor sacrificio di interessi confliggenti laddove vi sia una pluralità di misure perseguibili. La proporzionalità in senso stretto richiede, invece, che la scelta amministrativa ovvero legislativa non rappresenti un sacrificio eccessivo nella sfera giuridica del privato”.

Nel modello bifasico, “prevalentemente adottato dalla Corte di Giustizia UE”, invece, “il requisito della proporzionalità in senso stretto è insito nei parametri di idoneità e di necessità come fine ultimo del principio nonché canone strutturale cui si conformano le scelte di intervento, siano esse legislative ovvero amministrative”.

Quanto al principio di ragionevolezza, il Collegio – dando atto di un perdurante dibatto al riguardo – ha escluso che lo stesso possa ridursi “a mero complemento di un’endiadi col principio di proporzionalità” e ritenuto preferibile l’impostazione per la quale i due princìpi vadano ricostruiti in maniera autonoma, ancorché interdipendente, e dunque quella per cui tale principio risulta in particolare connotato in termini di “coerenza col fine perseguito”: “per essere ragionevole, la norma deve essere coerente con il fine perseguito, ne deve essere deduzione logica, rappresentazione pratica”; col chè, il principio di ragionevolezza “comprende a monte la valutazione dei fatti che hanno determinato la decisione legislativa e che perimetrano il bene della vita che si intende proteggere” [cfr. Corte Europea dei diritti dell’Uomo, sentenza Dudgeon v. the United Kingdom, paragrafi 51-53; Corte Cost. sent. 21 febbraio 2019, n. 20, per la quale “il giudizio di ragionevolezza sulle scelte legislative si avvale del cosiddetto test di proporzionalità, che «richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi» (C. Cost. sentenza n. 1 del 2014, richiamata, da ultimo, dalle sentenze n. 137 del 2018, n. 10 del 2016, n. 272 e n. 23 del 2015 e n. 162 del 2014)”.

Ciò rammentato, il Collegio ha anzitutto dato atto della circostanza che “a rigore, l’odierna materia del contendere si sottrae al dominio dei diritti fondamentali”, pur registrando la contrapposizione tra il diritto alla libera iniziativa economica dei privati (che si estrinseca, nella specie, nella libertà di partecipare al mercato delle commesse pubbliche in condizione di parità con gli altri operatori economici), e “l’interesse dell’Amministrazione nella veste di appaltatrice, quale precipitato del canone costituzionale di buon andamento, di contrattare solo con soggetti integri e affidabili, escludendo, per converso quelli immeritevoli di essere destinatari di risorse pubbliche per la realizzazione di opere o servizi nell’interesse generale”.

Ma non solo.

Nella ratio della norma, per la parte d’interesse, ha infatti e ulteriormente osservato il Collegio, rientrano anche finalità non strettamente inerenti alle logiche del sistema dei contratti pubblici. Ciò in quanto la fattispecie escludente per irregolarità fiscale in rassegna “si è nel tempo prestata agevolmente a fungere da sponda per politiche legislative orientate alla massimizzazione della cd. tax compliance degli operatori economici”, come in definitiva conferma il rimando operato dal secondo periodo dell’art. 80, comma 4, ad una disposizione del Testo Unico sulla riscossione delle imposte sul reddito e cioè appunto, l’art. 48-bis (introdotto nel 2006 e successivamente novellato negli anni, sino all’intervento dell’art. 1, comma 986, della legge 205 del 2017, che ha ridotto l’importo soglia da 10 mila euro a 5 mila euro), il quale risponde a una (diversa) ratiosquisitamente esattiva”.

Tale disposizione, infatti, prescrive la sospensione del pagamento superiore a tale soglia dovuto a qualsiasi titolo da amministrazioni pubbliche o società a prevalente partecipazione pubblica “se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo e, in caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all’agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo”. Con ciò, finendo per emulare “una sorta di compensazione allargata all’intero settore pubblico, sulla falsariga della cd. compensatio lucri cum damno obliqua prevista in materia di danno erariale (v. art. 1, co. 1-bis, legge n. 20 del 1994)”; e tanto, in funzione dell’obiettivo di “assicurare effettività alla pretesa impositiva e preservare gli interessi erariali in fase esattiva”.

In tale specifica ottica, ha osservato ancora il Collegio, “la fissazione di una soglia estremamente bassa, come quella individuata dapprima a 10 mila euro (sino al 31 dicembre 2017) e, successivamente, ribassata all’importo pressoché bagatellare di 5 mila euro rappresenta una opzione regolatoria estremamente razionale, dal momento che realizza, al pari della compensazione civilistica, una semplificazione istantanea dei rapporti di dare e avere e riduce l’attività solutoria a quanto strettamente dovuto alla luce dell’apprezzamento omnicomprensivo delle partite creditorie e debitorie tra settore pubblico e creditore privato”.

Non altrettanto, però, può ritenersi ad avviso del Collegio rispetto all’esportazione, sic et simpliciter, d’un tale valore-soglia nel settore delle cause automaticamente escludenti per irregolarità fiscali (come in effetti attuata mediante la disposizione in rassegna).

E ciò, in quanto “mentre il meccanismo compensativo-esattivo dell’art. 48-bis ha un funzionamento sostanzialmente lineare in quanto inibisce il pagamento dell’amministrazione solo sino a concorrenza del debitum risultante dalle cartelle esattoriali insolute, dunque senza pregiudizio delle ulteriori ragioni creditorie dell’operatore economico”, il congegno escludente contemplato dall’art. 80, comma 4, per come eterointegrato dal valore-soglia di 5 mila euro, “scolpisce un vero e proprio automatismo legale che esclude dal mercato delle commesse pubbliche l’operatore economico, indipendentemente dal valore dell’appalto, con risultati paradossali come avvenuto nel caso di specie in cui, a fronte di un appalto di importo complessivo quinquennale a base d’asta pari ad euro 9.543.000,00, un operatore economicodovrebbe essere escluso per un debitum fiscale definitivamente accertato pari a soli 18 mila euro, dunque 530 volte inferiore a quello dell’appalto in causa”.

Né, ad avviso del Collegio, un tale esito pare trovare giustificazione nella “ratio legis intrinseca” della disposizione in rassegna (ossia, nel “perseguimento dell’integrità e affidabilità dell’operatore economico con cui la P.A. si ritrova a contrattare”) o in quella estrinseca, di indole fiscale, tesa a perseguire la c.d. compliance impo-esattiva.

Per un verso e quanto al primo profilo, invero, “è lo stesso diritto unionale a rivolgere un preciso monito ai legislatori nazionali onde scongiurare ciechi rigorismi forieri di risultati applicativi sbilanciati”, contrastanti col principio di proporzionalità (cfr. considerando 101 della Direttiva 24/2014/UE, ove si osserva che “nell’applicare motivi di esclusione facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prestare particolare attenzione al principio di proporzionalità. Lievi irregolarità dovrebbero comportare l’esclusione di un operatore economico solo in circostanze eccezionali. Tuttavia, casi ripetuti di lievi irregolarità possono far nascere dubbi sull’affidabilità di un operatore economico che potrebbero giustificarne l’esclusione”; ma anche art. 57, par. 3, il quale delinea nitidamente una ipotesi derogatoria alle esclusioni, anche automatiche, “nei casi in cui un’esclusione sarebbe chiaramente sproporzionata, in particolare qualora non siano stati pagati solo piccoli importi di imposte o contributi previdenziali”).

Ciechi rigorismi e risultati applicativi sbilanciati che, ad avviso del Collegio, possono predicarsi rispetto all’automatismo legale in rassegna il quale finisce per eccedere lo stesso scopo intrinseco per cui è stato concepito, non costituendo peraltro neanche l’unica misura possibile (per il suo raggiungimento) né e tanto meno quella che arreca il minor sacrificio possibile agli interessi confliggenti.

Per altro e correlato verso e sotto il secondo aspetto, poi, “l’automatismo non appare necessario neanche per il raggiungimento dello scopo fiscale di integrità esattiva, dacché, indipendentemente dalla relatio normativa operata dalla disciplina dei contratti pubblici, il meccanismo compensativo di cui all’art. 48-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 opererebbe autonomamente, a valle dell’integrale esecuzione contrattuale della commessa pubblica, al momento della solutio e assicurerebbe l’integrale soddisfazione della pretesa erariale, inclusiva di aggi e accessori”.

Deponendo peraltro e sempre nel senso della ritenuta sproporzione e irragionevolezza del congegno escludente “eccessivamente grezzo e drastico” contemplato dall’art. 80, comma 4, avuto riguardo alle violazioni fiscali e tributarie definitivamente accertate, anche due ulteriori dati normativi: a) in primo luogo, il confronto fra tale fattispecie escludente obbligatoria e quella facoltativa, introdotta dal 2021, relativamente alle violazioni “non definitivamente accertate”, in relazione alla quale il Legislatore ha prefigurato un dissimile congegno determinativo della c.d. soglia di gravità, assai meglio bilanciato, siccome commisurato tanto al valore della commessa, quanto a(l superamento di) una soglia de minimis (ciò, fermo restando che il discrimen ontologico fra tali due fattispecie pure “potrebbe giustificare la disparità regolatoria tra i due plessi normativi”); b) in secondo luogo, l’analisi di altre disposizioni di legge che fissano ben superiori soglie di rilevanza penal-tributaria (si fa in particolare l’esempio dell’art.9, comma 2, lettera c del decreto legislativo n.231 del 2001, in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche).

I “termini” della questione di costituzionalità rimessa alla Consulta

Sulla scorta delle superiori considerazioni, il Collegio, nel rimettersi alla Corte Costituzionale, ha infine precisato di ravvisare l’opportunità d’un intervento correttivo/additivo, volto a “ricondurre l’automatismo legale a effetto escludente di cui all’art. 80, co. 4 primo e secondo periodo nei binari dei canoni di proporzionalità e ragionevolezza”, auspicabilmente “consiste(nte), a parere del Collegio, nell’inserzione di una chiara previsione di principio che àncori la determinazione della soglia escludente al valore dell’appalto, sulla falsariga del congegno divisato dal settimo periodo e inverato, infine, dal D.M. 28 settembre 2022”.

Il tutto, formulando la questione di costituzionalità sottoposta alla Consulta in relazione all’art. 80, comma 4, secondo periodo del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 “per violazione dell’art. 3 Cost.”, “nella parte in cui non prevede che costituiscono gravi violazioni rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e, in ogni caso, correlato al valore dell’appalto”.

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Sennonché, la Terza Sezione, all’esito dell’udienza pubblica, svoltasi nel gennaio 2024, con la recente ordinanza in rassegna, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata una delle due questioni di costituzionalità introdotte in giudizio dall’aggiudicataria (già soccombente nella vertenza gemella), e segnatamente quella incentrata sulla “qualificazione di gravità della violazione tributaria al mero superamento della soglia fissa e predeterminata di cinquemila euro, in forza della relatio all’art. 48-bis d.P.R. 602 del 1973”, tacciata di “contrasto con l’art. 3 Cost., sub specie di contrasto coi princìpi di ragionevolezza e proporzionalità, cardinale e ordinale in rapporto al tertium comparationis rappresentato dal più temperato meccanismo di commisurazione della soglia di gravità per le violazioni non definitivamente accertate di cui al settimo periodo del medesimo comma 4 dell’art. 80”.

La ricostruzione del quadro normativo di riferimento

Con l’ordinanza in rassegna, la Terza Sezione, ha dapprima dato atto e argomentato sulla rilevanza della questione, ravvisandola in ragione dell’impossibilità, nella specie, di accogliere e dare ingresso a diverse interpretazioni costituzionalmente orientate.

Quindi, al fine di “motivare” sulla non manifesta infondatezza della questione, in vista della sua rimessione alla Corte Costituzionale, ha in via preliminare operato una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento. Ciò, rammentando in particolare che:

  • il requisito della regolarità fiscale ai fini della partecipazione d’un operatore economico alle procedure evidenziali per l’assegnazione di commesse pubbliche è stato già previsto dall’38, comma 1, lett. g) del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, il quale – in attuazione dell’art. 45 Dir. 2004/18/CE, par. 2, lett. f) – stabiliva, nella sua formulazione originaria, l’esclusione del concorrente che avesse “commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti”;
  • tale disposizione è poi stata modificata dal D.L. n. 70 del 2011, che ha interpolato l’attributo “gravi” dopo “violazioni”;
  • l’avvento della nuova direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici (che ha abrogato la direttiva 2004/18/CE) ha sul punto introdotto un nuovo discrimen tra “violazioni tributarie definitivamente accertate” o meno; ciò, «stabilendo, all’art. 57, par. 2, una dicotomia tra esclusione obbligatoria e facoltativa: da un lato, “un operatore è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se l’amministrazione aggiudicatrice è a conoscenza del fatto che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali e se ciò è stato stabilito da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo e vincolante secondo la legislazione del paese dove è stabilito o dello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice”, e, dall’altro, “le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere o possono essere obbligate dagli Stati membri a escludere dalla partecipazione a una procedura d’appalto un operatore economico se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con qualunque mezzo adeguato che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali”»;
  • il mancato pronto recepimento, da parte del Legislatore nazionale, di tale “impianto dicotomico”, al momento dell’adozione del previgente Codice dei Contratti pubblici di cui al decreto legislativo 50/2016, e in seno al suo art. 80, comma 4, ha fatto sì che (anche) tale questione venisse sollevata dalla Commissione Europea nell’ambito della procedura di infrazione n. 2018/2273, promossa con lettera di costituzione in mora del 24 gennaio 2019;
  • ne sono quindi derivate due modifiche normative “correttive”: la prima, per effetto dell’art. 8, comma 5, lettera b) del D.L. n. 76 del 2020, che ha novellato il comma 4 dell’art. 80, introducendovi (per la prima volta) la fattispecie di esclusione non automatica per gravi violazioni non definitivamente accertate prevista dal diritto unionale (in questa prima fase, “mantenendo” l’uniformità della nozione di “gravità”, sempre calibrata sul rinvio all’art. 48-bis d.P.R. 602/1973, a sua volta introdotto nel testo originario dell’art. 80, comma 4); e la seconda, per effetto della legge europea 2019-2020 (legge 23 dicembre 2021, n. 238), che ha differenziato il “congegno determinativo” della soglia di gravità per le due fattispecie escludenti contemplate dalla disposizione in rassegna, introducendo, per quelle non definitivamente accertate, un rimando ad una successiva e distinta fonte regolamentare, comunque già a livello primario “vincolata” dalla parametrizzazione al valore dell’appalto e dalla soglia non inferiore a 35 mila euro (rimando poi attuato con l’emanazione del D.M. 22 settembre 2022).

All’esito di tale percorso normativo, l’“ordito normativo” dell’art. 80, co. 4 del d.lgs. n. 50 del 2016, applicabile alla vertenza “sub iudice” – peraltro sostanzialmente confermato anche dal Codice degli Appalti pubblici di cui al decreto legislativo n.36 del 2023 (v. artt. 94, comma 6 e 95, comma 2, nonché Allegato II.10) – contempla(va), pertanto, due diverse cause di esclusione collegate alla condizione di regolarità fiscale (o meno) del concorrente, prevedendo che:

i. un operatore economico è (automaticamente) escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti; ciò, con la duplice precisazione che: “costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602” e che “costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione”;

ii. un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso ha commesso gravi violazioni non definitivamente accertate agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o contributi previdenziali; ciò, la precisazione che “costituiscono gravi violazioni non definitivamente accertate in materia fiscale quelle stabilite da un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e previo parere del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente periodo, recante limiti e condizioni per l’operatività della causa di esclusione relativa a violazioni non definitivamente accertate che, in ogni caso, devono essere correlate al valore dell’appalto e comunque di importo non inferiore a 35.000 euro.

La nozione di “gravità” della violazione tributaria

Come si evince anche dal superiore excursus, la nozione di gravità della violazione tributaria ha assunto una valenza progressivamente decisiva nell’impianto della disposizione in rassegna: del tutto assente “nella prima compilazione sistematica del 2006”, essa è stata introdotta nel 2011 (per effetto del D.L. 70/2011), venendo successivamente perpetuata sia nel codice dei contratti pubblici del 2016, che in quello del 2023, tanto per l’originaria causa di esclusione automatica, quanto per quella c.d. facoltativa, introdotta solo nel 2020.

Ma ciò, con una differenza sostanziale: per le “violazioni definitivamente accertate”, infatti, la soglia di “gravità” è ancora oggi individuata ex lege in misura secca, rigida e invariabile, “per relationem” con l’importo di cui all’art. 48-bis d.P.R. n. 602 del 1973 – come noto pari a 5 mila euro (10 mila, sino al 31 dicembre 2017).

Per le violazioni non definitivamente accertate, invece, a far data dal 31 gennaio 2022 (data di entrata in vigore della legge europea 2019-2020 n. 238 del 2021), è stata data rilevanza normativa ad una “soglia mobile” e variabile, rapportata al “valore dell’appalto” e comunque superiore ad una data soglia de minimis, significativamente più elevata di quella idonea ad integrare i presupposti della fattispecie escludente obbligatoria (pari invero a 35 mila euro).

I dubbi di legittimità costituzionale sul meccanismo determinativo della soglia di gravità per le irregolarità fiscali definitivamente accertate

Ad avviso del Collegio remittente, il meccanismo determinativo della soglia di gravità per le irregolarità fiscali a valenza “automaticamente escludente” di cui al primo e secondo periodo dell’art. 80, comma 4 del decreto legislativo n. 50 del 2016, sopra sintetizzato (sub i), si pone in tensione insanabile con l’art. 3 della Costituzione, inteso “quale crogiuolo in cui si fondono secondo un sapiente dosaggio assiologico i princìpi cardinali di proporzionalità e ragionevolezza”.

In particolare, quanto al principio di proporzionalità, l’ordinanza in rassegna ha rammentato come esso – enunciato agli inizi del secolo XX dalla dottrina e dalla giurisprudenza germanica – è nel tempo diventato “uno degli architravi della giurisprudenza europea delle Corti di Lussemburgo e di Strasburgo” e ha finito col permeare anche il diritto amministrativo nazionale, di cui è divenuto uno dei princìpi generali, quale “argine al potere discrezionale quando questo si imbatte in un diritto fondamentale”. Tale principio, nell’elaborazione esegetica ormai consolidatasi, viene declinato secondo due modelli – uno trifasico e uno bifasico.

Secondo il modello trifasico, ha in particolare rammentato il Collegio, “la proporzionalità si compone di tre elementi: idoneità, necessarietà e proporzionalità in senso stretto. È idonea la misura che permette il raggiungimento del fine, il conseguimento del risultato prefissato, mentre essa è necessaria se è l’unica possibile per il raggiungimento del risultato prefissato o è quella che arreca il minor sacrificio di interessi confliggenti laddove vi sia una pluralità di misure perseguibili. La proporzionalità in senso stretto richiede, invece, che la scelta amministrativa ovvero legislativa non rappresenti un sacrificio eccessivo nella sfera giuridica del privato”.

Nel modello bifasico, “prevalentemente adottato dalla Corte di Giustizia UE”, invece, “il requisito della proporzionalità in senso stretto è insito nei parametri di idoneità e di necessità come fine ultimo del principio nonché canone strutturale cui si conformano le scelte di intervento, siano esse legislative ovvero amministrative”.

Quanto al principio di ragionevolezza, il Collegio – dando atto di un perdurante dibatto al riguardo – ha escluso che lo stesso possa ridursi “a mero complemento di un’endiadi col principio di proporzionalità” e ritenuto preferibile l’impostazione per la quale i due princìpi vadano ricostruiti in maniera autonoma, ancorché interdipendente, e dunque quella per cui tale principio risulta in particolare connotato in termini di “coerenza col fine perseguito”: “per essere ragionevole, la norma deve essere coerente con il fine perseguito, ne deve essere deduzione logica, rappresentazione pratica”; col chè, il principio di ragionevolezza “comprende a monte la valutazione dei fatti che hanno determinato la decisione legislativa e che perimetrano il bene della vita che si intende proteggere” [cfr. Corte Europea dei diritti dell’Uomo, sentenza Dudgeon v. the United Kingdom, paragrafi 51-53; Corte Cost. sent. 21 febbraio 2019, n. 20, per la quale “il giudizio di ragionevolezza sulle scelte legislative si avvale del cosiddetto test di proporzionalità, che «richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi» (C. Cost. sentenza n. 1 del 2014, richiamata, da ultimo, dalle sentenze n. 137 del 2018, n. 10 del 2016, n. 272 e n. 23 del 2015 e n. 162 del 2014)”.

Ciò rammentato, il Collegio ha anzitutto dato atto della circostanza che “a rigore, l’odierna materia del contendere si sottrae al dominio dei diritti fondamentali”, pur registrando la contrapposizione tra il diritto alla libera iniziativa economica dei privati (che si estrinseca, nella specie, nella libertà di partecipare al mercato delle commesse pubbliche in condizione di parità con gli altri operatori economici), e “l’interesse dell’Amministrazione nella veste di appaltatrice, quale precipitato del canone costituzionale di buon andamento, di contrattare solo con soggetti integri e affidabili, escludendo, per converso quelli immeritevoli di essere destinatari di risorse pubbliche per la realizzazione di opere o servizi nell’interesse generale”.

Ma non solo.

Nella ratio della norma, per la parte d’interesse, ha infatti e ulteriormente osservato il Collegio, rientrano anche finalità non strettamente inerenti alle logiche del sistema dei contratti pubblici. Ciò in quanto la fattispecie escludente per irregolarità fiscale in rassegna “si è nel tempo prestata agevolmente a fungere da sponda per politiche legislative orientate alla massimizzazione della cd. tax compliance degli operatori economici”, come in definitiva conferma il rimando operato dal secondo periodo dell’art. 80, comma 4, ad una disposizione del Testo Unico sulla riscossione delle imposte sul reddito e cioè appunto, l’art. 48-bis (introdotto nel 2006 e successivamente novellato negli anni, sino all’intervento dell’art. 1, comma 986, della legge 205 del 2017, che ha ridotto l’importo soglia da 10 mila euro a 5 mila euro), il quale risponde a una (diversa) ratiosquisitamente esattiva”.

Tale disposizione, infatti, prescrive la sospensione del pagamento superiore a tale soglia dovuto a qualsiasi titolo da amministrazioni pubbliche o società a prevalente partecipazione pubblica “se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo e, in caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all’agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo”. Con ciò, finendo per emulare “una sorta di compensazione allargata all’intero settore pubblico, sulla falsariga della cd. compensatio lucri cum damno obliqua prevista in materia di danno erariale (v. art. 1, co. 1-bis, legge n. 20 del 1994)”; e tanto, in funzione dell’obiettivo di “assicurare effettività alla pretesa impositiva e preservare gli interessi erariali in fase esattiva”.

In tale specifica ottica, ha osservato ancora il Collegio, “la fissazione di una soglia estremamente bassa, come quella individuata dapprima a 10 mila euro (sino al 31 dicembre 2017) e, successivamente, ribassata all’importo pressoché bagatellare di 5 mila euro rappresenta una opzione regolatoria estremamente razionale, dal momento che realizza, al pari della compensazione civilistica, una semplificazione istantanea dei rapporti di dare e avere e riduce l’attività solutoria a quanto strettamente dovuto alla luce dell’apprezzamento omnicomprensivo delle partite creditorie e debitorie tra settore pubblico e creditore privato”.

Non altrettanto, però, può ritenersi ad avviso del Collegio rispetto all’esportazione, sic et simpliciter, d’un tale valore-soglia nel settore delle cause automaticamente escludenti per irregolarità fiscali (come in effetti attuata mediante la disposizione in rassegna).

E ciò, in quanto “mentre il meccanismo compensativo-esattivo dell’art. 48-bis ha un funzionamento sostanzialmente lineare in quanto inibisce il pagamento dell’amministrazione solo sino a concorrenza del debitum risultante dalle cartelle esattoriali insolute, dunque senza pregiudizio delle ulteriori ragioni creditorie dell’operatore economico”, il congegno escludente contemplato dall’art. 80, comma 4, per come eterointegrato dal valore-soglia di 5 mila euro, “scolpisce un vero e proprio automatismo legale che esclude dal mercato delle commesse pubbliche l’operatore economico, indipendentemente dal valore dell’appalto, con risultati paradossali come avvenuto nel caso di specie in cui, a fronte di un appalto di importo complessivo quinquennale a base d’asta pari ad euro 9.543.000,00, un operatore economicodovrebbe essere escluso per un debitum fiscale definitivamente accertato pari a soli 18 mila euro, dunque 530 volte inferiore a quello dell’appalto in causa”.

Né, ad avviso del Collegio, un tale esito pare trovare giustificazione nella “ratio legis intrinseca” della disposizione in rassegna (ossia, nel “perseguimento dell’integrità e affidabilità dell’operatore economico con cui la P.A. si ritrova a contrattare”) o in quella estrinseca, di indole fiscale, tesa a perseguire la c.d. compliance impo-esattiva.

Per un verso e quanto al primo profilo, invero, “è lo stesso diritto unionale a rivolgere un preciso monito ai legislatori nazionali onde scongiurare ciechi rigorismi forieri di risultati applicativi sbilanciati”, contrastanti col principio di proporzionalità (cfr. considerando 101 della Direttiva 24/2014/UE, ove si osserva che “nell’applicare motivi di esclusione facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prestare particolare attenzione al principio di proporzionalità. Lievi irregolarità dovrebbero comportare l’esclusione di un operatore economico solo in circostanze eccezionali. Tuttavia, casi ripetuti di lievi irregolarità possono far nascere dubbi sull’affidabilità di un operatore economico che potrebbero giustificarne l’esclusione”; ma anche art. 57, par. 3, il quale delinea nitidamente una ipotesi derogatoria alle esclusioni, anche automatiche, “nei casi in cui un’esclusione sarebbe chiaramente sproporzionata, in particolare qualora non siano stati pagati solo piccoli importi di imposte o contributi previdenziali”).

Ciechi rigorismi e risultati applicativi sbilanciati che, ad avviso del Collegio, possono predicarsi rispetto all’automatismo legale in rassegna il quale finisce per eccedere lo stesso scopo intrinseco per cui è stato concepito, non costituendo peraltro neanche l’unica misura possibile (per il suo raggiungimento) né e tanto meno quella che arreca il minor sacrificio possibile agli interessi confliggenti.

Per altro e correlato verso e sotto il secondo aspetto, poi, “l’automatismo non appare necessario neanche per il raggiungimento dello scopo fiscale di integrità esattiva, dacché, indipendentemente dalla relatio normativa operata dalla disciplina dei contratti pubblici, il meccanismo compensativo di cui all’art. 48-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 opererebbe autonomamente, a valle dell’integrale esecuzione contrattuale della commessa pubblica, al momento della solutio e assicurerebbe l’integrale soddisfazione della pretesa erariale, inclusiva di aggi e accessori”.

Deponendo peraltro e sempre nel senso della ritenuta sproporzione e irragionevolezza del congegno escludente “eccessivamente grezzo e drastico” contemplato dall’art. 80, comma 4, avuto riguardo alle violazioni fiscali e tributarie definitivamente accertate, anche due ulteriori dati normativi: a) in primo luogo, il confronto fra tale fattispecie escludente obbligatoria e quella facoltativa, introdotta dal 2021, relativamente alle violazioni “non definitivamente accertate”, in relazione alla quale il Legislatore ha prefigurato un dissimile congegno determinativo della c.d. soglia di gravità, assai meglio bilanciato, siccome commisurato tanto al valore della commessa, quanto a(l superamento di) una soglia de minimis (ciò, fermo restando che il discrimen ontologico fra tali due fattispecie pure “potrebbe giustificare la disparità regolatoria tra i due plessi normativi”); b) in secondo luogo, l’analisi di altre disposizioni di legge che fissano ben superiori soglie di rilevanza penal-tributaria (si fa in particolare l’esempio dell’art.9, comma 2, lettera c del decreto legislativo n.231 del 2001, in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche).

I “termini” della questione di costituzionalità rimessa alla Consulta

Sulla scorta delle superiori considerazioni, il Collegio, nel rimettersi alla Corte Costituzionale, ha infine precisato di ravvisare l’opportunità d’un intervento correttivo/additivo, volto a “ricondurre l’automatismo legale a effetto escludente di cui all’art. 80, co. 4 primo e secondo periodo nei binari dei canoni di proporzionalità e ragionevolezza”, auspicabilmente “consiste(nte), a parere del Collegio, nell’inserzione di una chiara previsione di principio che àncori la determinazione della soglia escludente al valore dell’appalto, sulla falsariga del congegno divisato dal settimo periodo e inverato, infine, dal D.M. 28 settembre 2022”.

Il tutto, formulando la questione di costituzionalità sottoposta alla Consulta in relazione all’art. 80, comma 4, secondo periodo del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 “per violazione dell’art. 3 Cost.”, “nella parte in cui non prevede che costituiscono gravi violazioni rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e, in ogni caso, correlato al valore dell’appalto”.

About the Author: Valentina Magnano S. Lio