Sull’accertamento, in sede di gara e giurisdizionale, del requisito d’ordine generale relativo alla regolarità fiscale

Published On: 13 Maggio 2024Categories: Appalti Pubblici e Concessioni

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7 del 24 aprile 2024, pronunciandosi in ordine ai requisiti necessari di partecipazione ad una gara pubblica, ha affermato importanti princìpi di diritto in tema di accertamento, in sede di gara e giudiziale, del requisito d’ordine generale della regolarità fiscale di cui all’art. 80, comma 4, del Decreto Legislativo 50/2016.

La fattispecie

A seguito di gara pubblica è stato affidato ad una Società, secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il servizio di pulizia e disinfezione di ambienti sanitari.

La seconda classificata, ritenendo l’aggiudicazione illegittima e lamentando la mancanza del requisito della regolarità fiscale in capo all’affidataria, ai sensi dell’art. 80 del D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ha impugnato gli atti di gara chiedendone l’annullamento.

Tale irregolarità fiscale – imputabile all’aggiudicataria già al momento della partecipazione alla gara – era in particolare dovuta al mancato pagamento della sanzione pecuniaria irrogata alla medesima per ritardato versamento del contributo unificato, dovuto per un precedente giudizio.

Il giudizio di primo grado e l’avvio del giudizio di secondo grado

Il TAR Lombardia – Sede di Milano, adito in prime cure, con sentenza del 5 giugno 2023, n.1403, ha rigettato il ricorso principale, rilevando “…con riguardo alla dedotta assenza del requisito della regolarità fiscale, che l’importo del contributo unificato non sarebbe “stato notificato all’impresa” e che lo stesso sarebbe stato da quest’ultima “conosciuto a gara avviata e puntualmente corrisposto”…”, e conseguentemente dichiarato improcedibile quello incidentale proposto dalla Società resistente.

Sicché, avverso la citata sentenza, la ricorrente principale rimasta soccombente ha proposto appello davanti al Consiglio di Stato.

L’appellante in particolare, col primo motivo, ha censurato “…l’errore commesso dal giudice di prime cure nel disconoscere la sussistenza della prospettata causa di esclusione dalla gara e nell’aver ignorato la mancata sua dichiarazione da parte dell’aggiudicataria…”.

Ancor più nel dettaglio: a) l’appellante principale, invocando la generale regola della necessaria continuità nel possesso dei requisiti di partecipazione per tutta la durata della procedura di gara, ha sostenuto che l’aggiudicataria avesse conclamatamente perduto il requisito della regolarità fiscale in corso di gara”, senza che la stazione appaltante ne avesse preso atto e assunto le necessarie determinazioni (di esclusione dalla procedura selettiva); b) dal canto loro, l’aggiudicataria e la stazione appaltante, richiamandosi in prima battuta al consolidato indirizzo giurisprudenziale che esclude ogni facoltà per la stazione appaltante di sindacare le risultanze delle certificazioni rilasciate dalle autorità competenti (nella specie, quelle dell’Agenzia delle Entrate relative alla regolarità contributiva e tributaria delle imprese partecipanti), hanno sostenuto come, nella specie, l’assenza di irregolarità rilevanti” sarebbe stata accertata attraverso plurime certificazioni, acquisite in sede di gara; ciò, in un contesto nel quale, in base appunto a tale consolidata giurisprudenza, la stazione appaltante non disporrebbe di alcun potere di autonomo apprezzamento del contenuto delle certificazioni di regolarità tributaria (cfr. Cons. Stato, A.P., 4 maggio 2012, n. 8; Sez. III, 18 dicembre 2020, n. 8148; Sez. V, 17 maggio 2013, n. 2682).

I quesiti rimessi all’Adunanza Plenaria

La Terza Sezione di questo Consiglio di Stato, presso cui pendeva il gravame, ha tuttavia ravvisato un possibile contrasto giurisprudenziale fra la consolidata giurisprudenza richiamata in atti dalla aggiudicataria e dalla Stazione appaltante e l’ulteriore e parimenti consolidato principio” (in particolare espresso dall’Adunanza Plenaria, nella sentenza del 20 luglio 2015, n. 8), secondo cui, “proprio perché la verifica può avvenire in tutti i momenti della procedura (a tutela dell’interesse costante dell’Amministrazione ad interloquire con operatori in via permanente affidabili, capaci e qualificati), allora in qualsiasi momento della stessa deve ritenersi richiesto il costante possesso dei detti requisiti di ammissione (…) a garanzia della permanenza della serietà e della volontà dell’impresa di presentare un’offerta credibile”, laddove  un “tale specifico onere di continuità in corso di gara del possesso dei requisiti… non solo è del tutto ragionevole, siccome posto a presidio dell’esigenza della stazione appaltante di conoscere in ogni tempo dell’affidabilità del suo interlocutore “operatore economico” …ma è altresì non sproporzionato, essendo assolvibile da quest’ultimo in modo del tutto agevole, mediante ricorso all’ordinaria diligenza”.

Di talché, con l’ordinanza 4 gennaio 2024, n. 161, il Collegio ha ritenuto di dover rimettere all’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:

i) se, fermo restando il principio della insussistenza di un potere della stazione appaltante di sindacare le risultanze delle certificazioni dell’Agenzia delle Entrate attestanti l’assenza di irregolarità fiscali a carico dei partecipanti a una gara pubblica, le quali si impongono alla stessa amministrazione, il principio della necessaria continuità del possesso in capo ai concorrenti dei requisiti di ordine generale per la partecipazione alle procedure selettive comporti sempre il dovere di ciascun concorrente di informare tempestivamente la stazione appaltante di qualsiasi irregolarità che dovesse sopravvenire in corso di gara;

ii) se, correlativamente, sussista a carico della stazione appaltante, ferma restando la richiamata regola della sufficienza delle certificazioni rilasciate dalle Autorità competenti, il dovere di estendere la verifica circa l’assenza di irregolarità in capo all’aggiudicatario della procedura in relazione all’intera durata di essa, se del caso attraverso l’acquisizione di certificazioni estese all’intero periodo dalla presentazione dell’offerta fino all’aggiudicazione;

iii) se, in ogni caso e a prescindere dalla sufficienza o meno delle verifiche condotte dalla stazione appaltante, il concorrente che impugni l’aggiudicazione possa dimostrare, e con quali mezzi, che in un qualsiasi momento della procedura di gara l’aggiudicataria ha perso il requisito dell’assenza di irregolarità con il conseguente obbligo dell’amministrazione di escluderlo dalla procedura stessa…”.

I princìpi di diritto enunciati

L’Adunanza Plenaria, con la recente sentenza in rassegna, ha preliminarmente escluso che in merito al primo quesito ci sia un contrasto giurisprudenziale, piuttosto ribadendo l’orientamento prevalente secondo cui “…i certificati rilasciati dalle autorità competenti, in ordine alla regolarità fiscale o contributiva del concorrente, hanno natura di dichiarazioni di scienza e si collocano fra gli atti di certificazione o di attestazione facenti prova fino a querela di falso, per cui si impongono alla stazione appaltante, esonerandola da ulteriori accertamenti: tale orientamento riguarda, unicamente, il profilo della prova circa la sussistenza del requisito e degli accertamenti richiesti al fine di verificare la veridicità delle dichiarazioni all’uopo rese dal concorrente in sede di gara, come si desume dall’art. 86, comma 2, del D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 80, applicabile alla fattispecie ratione temporis (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 maggio 2016, n. 10; 4 maggio 2012, n. 8; Sez. III, 18 dicembre 2020 n. 8148; Sez. V, 17 maggio 2013, n. 2682)”.

Difatti, l’ulteriore orientamento richiamato nell’ordinanza di rimessione, in asserita contrapposizione, “…fa, invece, riferimento al regime sostanziale dei requisiti di ammissione previsti dalla lex specialis, affermando la necessità che gli stessi siano posseduti dal concorrente a partire dal momento della presentazione dell’offerta e sino alla stipula del contratto…”.

In altre parole, il concorrente che partecipa ad una gara pubblica “…deve possedere, continuativamente, i necessari requisiti di ammissione e ha l’onere di dichiarare, sin dalla presentazione dell’offerta, l’eventuale carenza…” dovendo dichiarare ai sensi dell’art. 85, co. 1, del D. Lgs. n. 50/2016 “…attraverso il documento di gara unico europeo (DGUE), l’assenza di cause di esclusione di cui al precedente art. 80…”.

E nonostante tale disposizione “…non prevede espressamente il dovere di comunicare alla stazione appaltante le eventuali cause di esclusione dalla gara verificatesi in un momento successivo…”, tale onere dichiarativo “…deve ricollegarsi, alla necessità, sancita dall’art. 1, comma 2-bis, della L. 7 agosto 1990, n. 241, che: “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione (siano) improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”…”.

Pertanto “…poiché i requisiti di partecipazione devono sussistere per tutta la durata della gara e sino alla stipula del contratto …discende, de plano, il dovere della stazione appaltante di compiere i relativi accertamenti con riguardo all’intero periodo…” (desumendosi tale regola anche dall’art. 80, comma 6, del D. Lgs. n. 50 del 2016).

In conclusione “…con specifico riguardo al requisito concernente l’assenza di debiti tributari, la certificazione rilasciata dall’amministrazione fiscale competente (Agenzie delle Entrate o eventualmente altra amministrazione titolare di poteri impositivi), ai sensi dell’art. 86, comma 2, lett. b), del D. Lgs. n.50/2016, deve coprire l’intero lasso temporale rilevante, ovvero quello che va dal momento di presentazione dell’offerta sino alla stipula del contratto…”.

In tal senso, dunque, si è espressa l’Adunanza in risposta ai primi due quesiti posti con l’ordinanza di rimessione.

In merito al terzo quesito, ha invece “…puntualizzato che, indipendentemente dalle verifiche compiute dalla stazione appaltante, il concorrente che impugna l’aggiudicazione può sempre dimostrare, con qualunque mezzo idoneo allo scopo, sia che l’aggiudicatario fosse privo, ab origine, della regolarità fiscale, sia che egli abbia perso quest’ultima in corso di gara…”.

In particolare, relativamente alla certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, ovvero dagli enti previdenziali e assistenziali (DURC), afferma che “…per la consolidata giurisprudenza compete al giudice amministrativo accertare, in via incidentale …la idoneità e la completezza della certificazione presa in considerazione, quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal concorrente (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 maggio 2016, n. 10; Sez. V, 9 febbraio 2024, n. 1339; 26 aprile 2021, n. 3366; 14 giugno 2019, n. 4023)”.

Sulle questioni oggetto del contendere 

Alla luce dei suddetti princìpi di diritto, l’Adunanza ha pertanto affrontato la materia del contendere e – nel trattare congiuntamente sia il primo motivo dell’appello principale sia di quello incidentale – ha affermato che “…il contributo unificato va ascritto alla categoria delle entrate tributarie, delle quali condivide tutte le caratteristiche essenziali…” (cfr. Corte Cost., 7 febbraio 2005, n. 73; Cons. Stato, Sez. V, 4 maggio 2020, n. 2785; Cass. Civ., Sez. Un., 5 maggio 2011, n. 9840), al pari delle “…sanzioni pecuniarie conseguenti al mancato o al ritardato pagamento del contributo unificato, trattandosi di obbligazioni accessorie, che hanno fondamento in un rapporto di tipo tributario”.

Di talché, il loro mancato pagamento integra “…la causa di esclusione prevista dall’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50 del 2016, laddove la violazione sia grave e definitivamente accertata…”.

Nella fattispecie, era avvenuto che l’aggiudicataria, non avendo versato tempestivamente il contributo unificato, era risultata priva del requisito della regolarità fiscale, sussistendo una violazione d’una obbligazione tributaria “…‘grave’, in quanto superiore alla soglia di 5.000 euro, fissata dall’art.48-bis, commi 1 e 2-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, espressamente richiamato dall’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50/2016, nonché ‘definitivamente accertata’, poiché, l’invito di pagamento, valevole quale atto di accertamento della debenza …era stato, correttamente, notificato… all’indirizzo del difensore presso il quale aveva eletto domicilio… così come, espressamente, previsto dall’art. 248, comma 2, del D.P.R. n. 115 del 2002…”.

E ciò, conformemente anche a quanto ritenuto dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 29 marzo 2019, n. 67, secondo cui la notifica al domicilio eletto non viola il “fondamentale diritto del destinatario della notificazione ad essere posto in condizione di conoscere, con l’ordinaria diligenza e senza necessità di effettuare ricerche di particolare complessità, il contenuto dell’atto e l’oggetto della procedura instauratache si concretizza “…nell’onere di acquisire informazioni dal domiciliatario in ordine al processo e alle incombenze ad esso connesse (compreso dunque l’obbligo di pagare il contributo)”…”.

In mancanza d’una impugnazione dell’invito al pagamento, ne era quindi derivata “…una cristallizzazione della obbligazione concernente tanto il contributo unificato, quanto la sanzione pecuniaria...”, essendo stata ritenuta in concreto ininfluente la circostanza che il difensore “…non …avesse comunicato l’avvenuta notifica dell’invito di pagamento…”.

Inoltre, ad avviso del Collegio, neanche risultava rilevante il fatto che al momento della presentazione dell’offerta”, nel “cassetto fiscale” della aggiudicataria, non risultassero pendenze tributarie o che la regolarità fiscale fosse stata accertata dall’Agenzia delle Entrate e dall’ANAC tramite l’AVCPASS…” posto che: a) “...il contributo unificato non rientra tra le imposte amministrate dall’Agenzia delle Entrate, per cui i debiti a esso relativi non vengono iscritti nel ‘cassetto fiscale’…”; b) “…irrilevante, ai fini di causa, deve ritenersi il documento acquisito tramite il sistema AVCPASS” il quale non reca alcuna indicazione in ordine a eventuali debiti derivanti dal mancato o ritardato pagamento del contributo unificato e delle relative sanzioni…”.

Il tutto, affermando altresì come in ogni caso”, nell’ambito del giudizio contro il provvedimento di aggiudicazione di una gara, “il giudice ha sempre il potere di accertare la idoneità e la completezza delle certificazioni rilasciate dalle competenti amministrazioni in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione”.

Conclusioni

Sulla scorta di tali considerazioni quindi l’Adunanza Plenaria, riformando la sentenza di prime cure impugnata, ha accolto l’appello principale (e respinto quello incidentale), annullando l’atto di ammissione alla gara dell’aggiudicataria e conseguente aggiudicazione e per l’effetto ha dichiarato inefficace il contratto stipulato, ai sensi dell’art. 122 CPA.

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Sull’accertamento, in sede di gara e giurisdizionale, del requisito d’ordine generale relativo alla regolarità fiscale

Published On: 13 Maggio 2024

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7 del 24 aprile 2024, pronunciandosi in ordine ai requisiti necessari di partecipazione ad una gara pubblica, ha affermato importanti princìpi di diritto in tema di accertamento, in sede di gara e giudiziale, del requisito d’ordine generale della regolarità fiscale di cui all’art. 80, comma 4, del Decreto Legislativo 50/2016.

La fattispecie

A seguito di gara pubblica è stato affidato ad una Società, secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il servizio di pulizia e disinfezione di ambienti sanitari.

La seconda classificata, ritenendo l’aggiudicazione illegittima e lamentando la mancanza del requisito della regolarità fiscale in capo all’affidataria, ai sensi dell’art. 80 del D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ha impugnato gli atti di gara chiedendone l’annullamento.

Tale irregolarità fiscale – imputabile all’aggiudicataria già al momento della partecipazione alla gara – era in particolare dovuta al mancato pagamento della sanzione pecuniaria irrogata alla medesima per ritardato versamento del contributo unificato, dovuto per un precedente giudizio.

Il giudizio di primo grado e l’avvio del giudizio di secondo grado

Il TAR Lombardia – Sede di Milano, adito in prime cure, con sentenza del 5 giugno 2023, n.1403, ha rigettato il ricorso principale, rilevando “…con riguardo alla dedotta assenza del requisito della regolarità fiscale, che l’importo del contributo unificato non sarebbe “stato notificato all’impresa” e che lo stesso sarebbe stato da quest’ultima “conosciuto a gara avviata e puntualmente corrisposto”…”, e conseguentemente dichiarato improcedibile quello incidentale proposto dalla Società resistente.

Sicché, avverso la citata sentenza, la ricorrente principale rimasta soccombente ha proposto appello davanti al Consiglio di Stato.

L’appellante in particolare, col primo motivo, ha censurato “…l’errore commesso dal giudice di prime cure nel disconoscere la sussistenza della prospettata causa di esclusione dalla gara e nell’aver ignorato la mancata sua dichiarazione da parte dell’aggiudicataria…”.

Ancor più nel dettaglio: a) l’appellante principale, invocando la generale regola della necessaria continuità nel possesso dei requisiti di partecipazione per tutta la durata della procedura di gara, ha sostenuto che l’aggiudicataria avesse conclamatamente perduto il requisito della regolarità fiscale in corso di gara”, senza che la stazione appaltante ne avesse preso atto e assunto le necessarie determinazioni (di esclusione dalla procedura selettiva); b) dal canto loro, l’aggiudicataria e la stazione appaltante, richiamandosi in prima battuta al consolidato indirizzo giurisprudenziale che esclude ogni facoltà per la stazione appaltante di sindacare le risultanze delle certificazioni rilasciate dalle autorità competenti (nella specie, quelle dell’Agenzia delle Entrate relative alla regolarità contributiva e tributaria delle imprese partecipanti), hanno sostenuto come, nella specie, l’assenza di irregolarità rilevanti” sarebbe stata accertata attraverso plurime certificazioni, acquisite in sede di gara; ciò, in un contesto nel quale, in base appunto a tale consolidata giurisprudenza, la stazione appaltante non disporrebbe di alcun potere di autonomo apprezzamento del contenuto delle certificazioni di regolarità tributaria (cfr. Cons. Stato, A.P., 4 maggio 2012, n. 8; Sez. III, 18 dicembre 2020, n. 8148; Sez. V, 17 maggio 2013, n. 2682).

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La Terza Sezione di questo Consiglio di Stato, presso cui pendeva il gravame, ha tuttavia ravvisato un possibile contrasto giurisprudenziale fra la consolidata giurisprudenza richiamata in atti dalla aggiudicataria e dalla Stazione appaltante e l’ulteriore e parimenti consolidato principio” (in particolare espresso dall’Adunanza Plenaria, nella sentenza del 20 luglio 2015, n. 8), secondo cui, “proprio perché la verifica può avvenire in tutti i momenti della procedura (a tutela dell’interesse costante dell’Amministrazione ad interloquire con operatori in via permanente affidabili, capaci e qualificati), allora in qualsiasi momento della stessa deve ritenersi richiesto il costante possesso dei detti requisiti di ammissione (…) a garanzia della permanenza della serietà e della volontà dell’impresa di presentare un’offerta credibile”, laddove  un “tale specifico onere di continuità in corso di gara del possesso dei requisiti… non solo è del tutto ragionevole, siccome posto a presidio dell’esigenza della stazione appaltante di conoscere in ogni tempo dell’affidabilità del suo interlocutore “operatore economico” …ma è altresì non sproporzionato, essendo assolvibile da quest’ultimo in modo del tutto agevole, mediante ricorso all’ordinaria diligenza”.

Di talché, con l’ordinanza 4 gennaio 2024, n. 161, il Collegio ha ritenuto di dover rimettere all’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:

i) se, fermo restando il principio della insussistenza di un potere della stazione appaltante di sindacare le risultanze delle certificazioni dell’Agenzia delle Entrate attestanti l’assenza di irregolarità fiscali a carico dei partecipanti a una gara pubblica, le quali si impongono alla stessa amministrazione, il principio della necessaria continuità del possesso in capo ai concorrenti dei requisiti di ordine generale per la partecipazione alle procedure selettive comporti sempre il dovere di ciascun concorrente di informare tempestivamente la stazione appaltante di qualsiasi irregolarità che dovesse sopravvenire in corso di gara;

ii) se, correlativamente, sussista a carico della stazione appaltante, ferma restando la richiamata regola della sufficienza delle certificazioni rilasciate dalle Autorità competenti, il dovere di estendere la verifica circa l’assenza di irregolarità in capo all’aggiudicatario della procedura in relazione all’intera durata di essa, se del caso attraverso l’acquisizione di certificazioni estese all’intero periodo dalla presentazione dell’offerta fino all’aggiudicazione;

iii) se, in ogni caso e a prescindere dalla sufficienza o meno delle verifiche condotte dalla stazione appaltante, il concorrente che impugni l’aggiudicazione possa dimostrare, e con quali mezzi, che in un qualsiasi momento della procedura di gara l’aggiudicataria ha perso il requisito dell’assenza di irregolarità con il conseguente obbligo dell’amministrazione di escluderlo dalla procedura stessa…”.

I princìpi di diritto enunciati

L’Adunanza Plenaria, con la recente sentenza in rassegna, ha preliminarmente escluso che in merito al primo quesito ci sia un contrasto giurisprudenziale, piuttosto ribadendo l’orientamento prevalente secondo cui “…i certificati rilasciati dalle autorità competenti, in ordine alla regolarità fiscale o contributiva del concorrente, hanno natura di dichiarazioni di scienza e si collocano fra gli atti di certificazione o di attestazione facenti prova fino a querela di falso, per cui si impongono alla stazione appaltante, esonerandola da ulteriori accertamenti: tale orientamento riguarda, unicamente, il profilo della prova circa la sussistenza del requisito e degli accertamenti richiesti al fine di verificare la veridicità delle dichiarazioni all’uopo rese dal concorrente in sede di gara, come si desume dall’art. 86, comma 2, del D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 80, applicabile alla fattispecie ratione temporis (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 maggio 2016, n. 10; 4 maggio 2012, n. 8; Sez. III, 18 dicembre 2020 n. 8148; Sez. V, 17 maggio 2013, n. 2682)”.

Difatti, l’ulteriore orientamento richiamato nell’ordinanza di rimessione, in asserita contrapposizione, “…fa, invece, riferimento al regime sostanziale dei requisiti di ammissione previsti dalla lex specialis, affermando la necessità che gli stessi siano posseduti dal concorrente a partire dal momento della presentazione dell’offerta e sino alla stipula del contratto…”.

In altre parole, il concorrente che partecipa ad una gara pubblica “…deve possedere, continuativamente, i necessari requisiti di ammissione e ha l’onere di dichiarare, sin dalla presentazione dell’offerta, l’eventuale carenza…” dovendo dichiarare ai sensi dell’art. 85, co. 1, del D. Lgs. n. 50/2016 “…attraverso il documento di gara unico europeo (DGUE), l’assenza di cause di esclusione di cui al precedente art. 80…”.

E nonostante tale disposizione “…non prevede espressamente il dovere di comunicare alla stazione appaltante le eventuali cause di esclusione dalla gara verificatesi in un momento successivo…”, tale onere dichiarativo “…deve ricollegarsi, alla necessità, sancita dall’art. 1, comma 2-bis, della L. 7 agosto 1990, n. 241, che: “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione (siano) improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”…”.

Pertanto “…poiché i requisiti di partecipazione devono sussistere per tutta la durata della gara e sino alla stipula del contratto …discende, de plano, il dovere della stazione appaltante di compiere i relativi accertamenti con riguardo all’intero periodo…” (desumendosi tale regola anche dall’art. 80, comma 6, del D. Lgs. n. 50 del 2016).

In conclusione “…con specifico riguardo al requisito concernente l’assenza di debiti tributari, la certificazione rilasciata dall’amministrazione fiscale competente (Agenzie delle Entrate o eventualmente altra amministrazione titolare di poteri impositivi), ai sensi dell’art. 86, comma 2, lett. b), del D. Lgs. n.50/2016, deve coprire l’intero lasso temporale rilevante, ovvero quello che va dal momento di presentazione dell’offerta sino alla stipula del contratto…”.

In tal senso, dunque, si è espressa l’Adunanza in risposta ai primi due quesiti posti con l’ordinanza di rimessione.

In merito al terzo quesito, ha invece “…puntualizzato che, indipendentemente dalle verifiche compiute dalla stazione appaltante, il concorrente che impugna l’aggiudicazione può sempre dimostrare, con qualunque mezzo idoneo allo scopo, sia che l’aggiudicatario fosse privo, ab origine, della regolarità fiscale, sia che egli abbia perso quest’ultima in corso di gara…”.

In particolare, relativamente alla certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, ovvero dagli enti previdenziali e assistenziali (DURC), afferma che “…per la consolidata giurisprudenza compete al giudice amministrativo accertare, in via incidentale …la idoneità e la completezza della certificazione presa in considerazione, quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal concorrente (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 maggio 2016, n. 10; Sez. V, 9 febbraio 2024, n. 1339; 26 aprile 2021, n. 3366; 14 giugno 2019, n. 4023)”.

Sulle questioni oggetto del contendere 

Alla luce dei suddetti princìpi di diritto, l’Adunanza ha pertanto affrontato la materia del contendere e – nel trattare congiuntamente sia il primo motivo dell’appello principale sia di quello incidentale – ha affermato che “…il contributo unificato va ascritto alla categoria delle entrate tributarie, delle quali condivide tutte le caratteristiche essenziali…” (cfr. Corte Cost., 7 febbraio 2005, n. 73; Cons. Stato, Sez. V, 4 maggio 2020, n. 2785; Cass. Civ., Sez. Un., 5 maggio 2011, n. 9840), al pari delle “…sanzioni pecuniarie conseguenti al mancato o al ritardato pagamento del contributo unificato, trattandosi di obbligazioni accessorie, che hanno fondamento in un rapporto di tipo tributario”.

Di talché, il loro mancato pagamento integra “…la causa di esclusione prevista dall’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50 del 2016, laddove la violazione sia grave e definitivamente accertata…”.

Nella fattispecie, era avvenuto che l’aggiudicataria, non avendo versato tempestivamente il contributo unificato, era risultata priva del requisito della regolarità fiscale, sussistendo una violazione d’una obbligazione tributaria “…‘grave’, in quanto superiore alla soglia di 5.000 euro, fissata dall’art.48-bis, commi 1 e 2-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, espressamente richiamato dall’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50/2016, nonché ‘definitivamente accertata’, poiché, l’invito di pagamento, valevole quale atto di accertamento della debenza …era stato, correttamente, notificato… all’indirizzo del difensore presso il quale aveva eletto domicilio… così come, espressamente, previsto dall’art. 248, comma 2, del D.P.R. n. 115 del 2002…”.

E ciò, conformemente anche a quanto ritenuto dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 29 marzo 2019, n. 67, secondo cui la notifica al domicilio eletto non viola il “fondamentale diritto del destinatario della notificazione ad essere posto in condizione di conoscere, con l’ordinaria diligenza e senza necessità di effettuare ricerche di particolare complessità, il contenuto dell’atto e l’oggetto della procedura instauratache si concretizza “…nell’onere di acquisire informazioni dal domiciliatario in ordine al processo e alle incombenze ad esso connesse (compreso dunque l’obbligo di pagare il contributo)”…”.

In mancanza d’una impugnazione dell’invito al pagamento, ne era quindi derivata “…una cristallizzazione della obbligazione concernente tanto il contributo unificato, quanto la sanzione pecuniaria...”, essendo stata ritenuta in concreto ininfluente la circostanza che il difensore “…non …avesse comunicato l’avvenuta notifica dell’invito di pagamento…”.

Inoltre, ad avviso del Collegio, neanche risultava rilevante il fatto che al momento della presentazione dell’offerta”, nel “cassetto fiscale” della aggiudicataria, non risultassero pendenze tributarie o che la regolarità fiscale fosse stata accertata dall’Agenzia delle Entrate e dall’ANAC tramite l’AVCPASS…” posto che: a) “...il contributo unificato non rientra tra le imposte amministrate dall’Agenzia delle Entrate, per cui i debiti a esso relativi non vengono iscritti nel ‘cassetto fiscale’…”; b) “…irrilevante, ai fini di causa, deve ritenersi il documento acquisito tramite il sistema AVCPASS” il quale non reca alcuna indicazione in ordine a eventuali debiti derivanti dal mancato o ritardato pagamento del contributo unificato e delle relative sanzioni…”.

Il tutto, affermando altresì come in ogni caso”, nell’ambito del giudizio contro il provvedimento di aggiudicazione di una gara, “il giudice ha sempre il potere di accertare la idoneità e la completezza delle certificazioni rilasciate dalle competenti amministrazioni in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione”.

Conclusioni

Sulla scorta di tali considerazioni quindi l’Adunanza Plenaria, riformando la sentenza di prime cure impugnata, ha accolto l’appello principale (e respinto quello incidentale), annullando l’atto di ammissione alla gara dell’aggiudicataria e conseguente aggiudicazione e per l’effetto ha dichiarato inefficace il contratto stipulato, ai sensi dell’art. 122 CPA.

About the Author: Elisa Alessandro