Limiti e condizioni del potere di revoca della PA

Published On: 16 Luglio 2018Categories: Tutele, Varie

La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, con la decisione n.4206 del 10 luglio 2018, ha riaffermato alcuni importanti principi in materia di revoca degli atti amministrativi ex art. 21 quinquies della legge n. 241/1990.
La revoca – rammenta la Quarta Sezione – “… si configura come lo strumento dell’autotutela decisoria preordinato alla rimozione, con efficacia ex nunc (quindi, non retroattiva), di un atto ad efficacia durevole, in esito ad una nuova (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico alla conservazione della sua efficacia. I presupposti del valido esercizio dello ius poenitendi sono definiti dall’art. 21 quinquies, come modificato dall’art. 25, comma 1, lett. b ter, d.l. n. 133 del 2014, con formule lessicali (volutamente) generiche e consistono nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico, nel mutamento della situazione di fatto (imprevedibile al momento dell’adozione del provvedimento) e in una rinnovata (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico originario (tranne che per i provvedimenti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici)…”.
“Ancorché l’innovazione del 2014 abbia inteso accrescere la tutela del privato da un arbitrario e sproporzionato esercizio del potere di autotutela in questione”, continua il Supremo Consesso , “.. il potere di revoca resta connotato da un’ampia (e forse eccessiva) discrezionalità. A differenza del potere di annullamento d’ufficio, che postula l’illegittimità dell’atto rimosso d’ufficio, quello di revoca esige, infatti, solo una valutazione di opportunità, seppur ancorata alle condizioni legittimanti dettagliate all’art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990 (che, nondimeno, sono descritte con clausole di ampia latitudine semantica), sicché il valido esercizio dello stesso resta, comunque, rimesso a un apprezzamento ampiamente discrezionale dell’Amministrazione procedente. La configurazione normativa del potere di autotutela in esame si presta quindi ad essere criticata, nella misura in cui omette una adeguata considerazione e una appropriata protezione delle esigenze, sempre più avvertite come ineludibili, connesse alla tutela del legittimo affidamento (qualificato come « principio fondamentale » dell’Unione Europea dalla stessa Corte di Giustizia UE), ingenerato nel privato danneggiato dalla revoca e all’interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici costituiti dall’atto originario, nonché più in generale alla stabilità dei provvedimenti amministrativi. E non vale, di per sé, la previsione della debenza di un indennizzo ai privati danneggiati dalla revoca a compensare gli squilibri regolativi sopra segnalati…”.
In un tale contesto, pertanto, ad avviso della Quarta Sezione, “..un’esegesi e un’applicazione della disposizione in esame che siano coerenti con i principi generali dell’ordinamento della tutela della buona fede, della lealtà nei rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione e del buon andamento dell’azione amministrativa (che ne implica, a sua volta, l’imparzialità e la proporzionalità) impongono, allora, la lettura e l’attuazione della norma secondo i canoni stringenti di seguito enunciati: a) la revisione dell’assetto di interessi recato dall’atto originario deve essere preceduta da un confronto procedimentale con il destinatario dell’atto che si intende revocare; b) non è sufficiente, per legittimare la revoca, un ripensamento tardivo e generico circa la convenienza dell’emanazione dell’atto originario; c) le ragioni addotte a sostegno della revoca devono rivelare la consistenza e l’intensità dell’interesse pubblico che si intende perseguire con il ritiro dell’atto originario; d) la motivazione della revoca deve essere profonda e convincente, nell’esplicitare, non solo i contenuti della nuova valutazione dell’interesse pubblico, ma anche la sua prevalenza su quello del privato che aveva ricevuto vantaggi dal provvedimento originario a lui favorevole” (cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, Sez. III, 29 novembre 2016, n. 5026).

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About the Author: Valentina Magnano S. Lio

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Limiti e condizioni del potere di revoca della PA

Published On: 16 Luglio 2018

La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, con la decisione n.4206 del 10 luglio 2018, ha riaffermato alcuni importanti principi in materia di revoca degli atti amministrativi ex art. 21 quinquies della legge n. 241/1990.
La revoca – rammenta la Quarta Sezione – “… si configura come lo strumento dell’autotutela decisoria preordinato alla rimozione, con efficacia ex nunc (quindi, non retroattiva), di un atto ad efficacia durevole, in esito ad una nuova (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico alla conservazione della sua efficacia. I presupposti del valido esercizio dello ius poenitendi sono definiti dall’art. 21 quinquies, come modificato dall’art. 25, comma 1, lett. b ter, d.l. n. 133 del 2014, con formule lessicali (volutamente) generiche e consistono nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico, nel mutamento della situazione di fatto (imprevedibile al momento dell’adozione del provvedimento) e in una rinnovata (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico originario (tranne che per i provvedimenti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici)…”.
“Ancorché l’innovazione del 2014 abbia inteso accrescere la tutela del privato da un arbitrario e sproporzionato esercizio del potere di autotutela in questione”, continua il Supremo Consesso , “.. il potere di revoca resta connotato da un’ampia (e forse eccessiva) discrezionalità. A differenza del potere di annullamento d’ufficio, che postula l’illegittimità dell’atto rimosso d’ufficio, quello di revoca esige, infatti, solo una valutazione di opportunità, seppur ancorata alle condizioni legittimanti dettagliate all’art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990 (che, nondimeno, sono descritte con clausole di ampia latitudine semantica), sicché il valido esercizio dello stesso resta, comunque, rimesso a un apprezzamento ampiamente discrezionale dell’Amministrazione procedente. La configurazione normativa del potere di autotutela in esame si presta quindi ad essere criticata, nella misura in cui omette una adeguata considerazione e una appropriata protezione delle esigenze, sempre più avvertite come ineludibili, connesse alla tutela del legittimo affidamento (qualificato come « principio fondamentale » dell’Unione Europea dalla stessa Corte di Giustizia UE), ingenerato nel privato danneggiato dalla revoca e all’interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici costituiti dall’atto originario, nonché più in generale alla stabilità dei provvedimenti amministrativi. E non vale, di per sé, la previsione della debenza di un indennizzo ai privati danneggiati dalla revoca a compensare gli squilibri regolativi sopra segnalati…”.
In un tale contesto, pertanto, ad avviso della Quarta Sezione, “..un’esegesi e un’applicazione della disposizione in esame che siano coerenti con i principi generali dell’ordinamento della tutela della buona fede, della lealtà nei rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione e del buon andamento dell’azione amministrativa (che ne implica, a sua volta, l’imparzialità e la proporzionalità) impongono, allora, la lettura e l’attuazione della norma secondo i canoni stringenti di seguito enunciati: a) la revisione dell’assetto di interessi recato dall’atto originario deve essere preceduta da un confronto procedimentale con il destinatario dell’atto che si intende revocare; b) non è sufficiente, per legittimare la revoca, un ripensamento tardivo e generico circa la convenienza dell’emanazione dell’atto originario; c) le ragioni addotte a sostegno della revoca devono rivelare la consistenza e l’intensità dell’interesse pubblico che si intende perseguire con il ritiro dell’atto originario; d) la motivazione della revoca deve essere profonda e convincente, nell’esplicitare, non solo i contenuti della nuova valutazione dell’interesse pubblico, ma anche la sua prevalenza su quello del privato che aveva ricevuto vantaggi dal provvedimento originario a lui favorevole” (cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, Sez. III, 29 novembre 2016, n. 5026).

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