Relazioni e osservazioni sul nuovo “Codice dei Contratti Pubblici”
Formulato da una Commissione speciale costituita presso il Consiglio di Stato, approvato dal Consiglio dei Ministri e trasmesso alle Camere lo scorso 5 gennaio 2023, il testo-schema del decreto legislativo recante il nuovo “codice dei contratti pubblici” – attuativo della norma di delega contenuta nella legge 21 giugno 2022, n. 78 e di una delle principali riforme previste dal PNRR e dal “Next Generation UE” – risulta essere ancora all’esame delle commissioni parlamentari (come si evince dalla relativa scheda che si rinviene on line, sul sito web della Camera dei Deputati).
Queste ultime, infatti, non hanno sin qui reso i pareri di competenza, essendo comunque e proprio da ultimo trascorso il termine di 30 giorni a tal fine previsto dalla stessa norma di delega; termine decorso il quale il Governo potrà, almeno in linea teorica, procedere verso la formale adozione, anche prescindendo da detti pareri, nel rispetto del termine ultimo e prorogato di validità ed efficacia della delega, che verrà a scadere il prossimo 9 aprile 2023.
Nel frattanto, proseguono le audizioni degli “stakeholders” e non solo.
Le osservazioni di Confindustria
All’esito dell’audizione del 30 gennaio 2023, Confindustria ha “diramato” una breve relazione nella quale ha ritenuto di sottolineare alcuni “pregi” del nuovo testo normativo (anche in termini di semplificazione, concentrazione, chiarezza e autosufficienza della disciplina e dei suoi princìpi generali, in vista degli obiettivi perseguiti), evidenziandone al contempo “limiti” e “criticità”.
In estrema sintesi, di questi ultimi, alcuni hanno carattere più propriamente “sistematico”: è stata in particolare e fra l’altro criticata la mancata introduzione di una legislazione, anche applicativa, “ad hoc” e differenziata per gli appalti di servizi e forniture, a fronte di un impianto che resta “ancora orientato verso il mondo dei lavori pubblici”.
Altri (limiti e criticità) sono riferiti ad alcuni più puntuali aspetti e cioè a singoli istituti per come positivamente normati dal nuovo codice. Fra questi, spiccano: il paventato rischio di “annacquamento” della tanto attesa riforma in tema di “qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza” (di cui all’art. 49); la generalizzazione, anche “a regime”, di talune disposizioni di carattere emergenziale, come quella relativa all’innalzamento delle soglie per gli “affidamenti diretti” (di cui all’art. 50), ritenute pregiudizievoli per le piccole e medie imprese e per il principio di trasparenza; la ritenuta inadeguatezza del pur fondamentale meccanismo di “revisione prezzi” (re)introdotto dall’art. 60; la sostanziale e tendenziale conferma agli artt. 94 e 95, delle “cause di esclusione”, già oggi previste dall’art. 80 del decreto legislativo 50/2016, relative alla “regolarità fiscale” e agli “illeciti professionali”; l’eliminazione del limite del tetto del 30% per l’attribuzione del punteggio economico nel contesto dell’art. 108, dedicato ai “criteri di aggiudicazione”.
Meritano inoltre di essere qui segnalati i “quattro profili” che, ad avviso di Confindustria, andrebbero considerati con particolare attenzione, nel percorso in atto di revisione e attuazione della riforma.
In particolare, ad avviso di Confindustria: (1) è necessario che le stazioni appaltanti e gli operatori economici possano disporre di un sistema di norme completo e di “pronta ed immediata” attuazione; (2) è auspicabile che si preveda un periodo congruo di stabilità del quadro normativo degli appalti (sul punto, si è notato come le innumerevoli e frequenti modifiche apportate al decreto legislativo 50/2016, dalla sua adozione ad oggi, non abbiano fatto altro che “rallentare e rendere più complessa l’attività delle Stazioni Appaltanti e delle imprese e depotenziare la leva della domanda pubblica per il rilancio dell’economia italiana”); (3) sarebbe “quanto mai” opportuno prevedere un differimento dell’entrata in vigore del nuovo Codice, ad oggi scadenzata al 31.03.2023, per evitare uno “shock regolatorio” o, comunque, un’eccessiva discontinuità rispetto al PNRR, “nel momento peraltro di sua massima attuazione, che rischierebbe di rallentare, se non addirittura bloccare l’esecuzione delle opere”, proponendosi una “vacatio legis di 12 mesi, opportunamente negoziata con le Istituzioni europee”; (4) occorrerebbe inoltre “disegnare e soprattutto attuare un vero modello di Governance del Codice Appalti che sia in grado di effettuare una costante ricognizione sullo stato di attuazione delle norme e sulle eventuali difficoltà che potranno riscontrare le stazioni appaltanti nella fase di applicazione”, anche al fine di poter poi “proporre soluzioni correttive e di miglioramento” che siano efficaci.
Le osservazioni di ANCE
Anche l’ANCE, ascoltata in audizione dalle commissioni parlamentari Ambiente di Camera e Senato il 26 e il 31 gennaio 2023, ha “diramato” le sue osservazioni sullo schema del decreto legislativo presentato dal Governo.
L’Associazione Nazionale dei Costruttori Edili ha, dal canto suo, rilevato come il nuovo impianto normativo, accanto ad alcune innovazioni ritenute “senz’altro condivisibili”, presenti contraddizioni e criticità, in parte coincidenti con quelle evidenziate da Confindustria (generalizzato innalzamento della soglia degli affidamenti diretti, con pregiudizio dei princìpi di trasparenza e pubblicità; eliminazione del tetto massimo al punteggio da attribuire al prezzo in sede di offerta economicamente più vantaggiosa; conferma e ampliamento della definizione normativa “aperta” della figura dell’illecito professionale; complessità del sistema di revisione dei prezzi, a detrimento del principio dell’equilibrio negoziale).
In particolare, poi, ANCE ha segnalato alcuni profili di possibile contrasto col diritto eurounitario delle norme contenute nello schema del nuovo codice, avuto riguardo ai seguenti profili:
- illecito professionale – decorrenza periodo di esclusione: la Direttiva 2014/24/UE prevede all’art. 57, par. 7, che il triennio di rilevanza temporale della causa di esclusione facoltativa decorra dalla data del fatto. L’art. 96, comma 10, della bozza di nuovo Codice fa, invece, decorrere tale periodo di esclusione dalla richiesta di rinvio a giudizio o dall’adozione di misure cautelari, ove l’illecito abbia rilievo penale, ovvero ancora dalla data del provvedimento sanzionatorio irrogato dall’AGCM o da altra autorità di settore;
- ritardati pagamenti: la bozza di nuovo codice non riproduce, all’art. 125, la disposizione – oggi contenuta al comma 1-sexies dell’art. 113-bis del decreto legislativo 50/2016 – che consente all’esecutore di emettere fattura anche in assenza del rilascio del certificato di pagamento, da parte del RUP. Norma, questa di diretta derivazione comunitaria, recentemente introdotta dalla l. n. 238/2021 (c.d. legge europea 2019/2020), a fronte delle censure della Corte di Giustizia (sentenza del 28 gennaio 2020, causa C-122/18);
- affidamenti dei concessionari: l’art.186 della bozza di nuovo Codice introduce una regola “ad hoc” per gli affidamenti dei concessionari “senza gara” di importo superiore alle soglie UE, che saranno tenuti a esternalizzare una quota compresa tra il 50 e il 60% dei contratti oggetto di convenzione. L’obbligo di esternalizzazione, inoltre, non si applica ai concessionari di lavori e servizi operanti nei settori speciali. Ciò appare in contrasto con i princìpi comunitari. Trattasi di quei princìpi che, in caso di concessioni assentite o prorogate senza gara, obbligano il concessionario ad affidare a terzi il 100% dei lavori di propria competenza, al fine di sanare l’assenza di concorrenza verificatasi “a monte” dell’affidamento;
- avvalimento dei soggetti istituzionali: gli artt. 193 e 198 della bozza prevedono che gli investitori istituzionali, nel partecipare alle procedure di affidamento di PPP (Partenariato Pubblico Privato) e PF (Project Financing), possano utilizzare l’avvalimento al 100% per coprire tutti i requisiti che non hanno, subappaltando anche integralmente le prestazioni oggetto del contratto. Laddove all’investitore istituzionale venisse concesso di partecipare alla gara per l’affidamento dei lavori utilizzando al 100% l’avvalimento, anche una banca d’investimento potrebbe partecipare e risultare affidataria della gara. La direttiva 2014/24/UE, invece, specifica, al considerando 24, che la nozione di “operatore economico” deve comprendere qualunque persona e/o ente che offre sul mercato la realizzazione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi.
Le osservazioni di ANAC
Quanto mai corpose e approfondite sono le osservazioni di ANAC, il cui Presidente è stato ascoltato in audizione dalla VIII Commissione ambiente, transizione ecologica, energia, lavori pubblici, comunicazioni, innovazione tecnologica, lo scorso 1 febbraio 2023.
Manifestato, anche in questo caso, il proprio “convinto apprezzamento per il lavoro finora svolto da tutti gli organi istituzionali preposti, a partire dalla Commissione speciale nominata dal Consiglio di Stato”, e sottolineata la “proficua collaborazione” con ANAC già in tale prima fase, ANAC – anche per il tramite del suo Presidente – ha precisato anzitutto di condividere “molte parti dell’odierno testo”, sottolineando al contempo l’opportunità di ulteriori suoi miglioramenti, per non mancare gli importanti obiettivi strategici perseguiti dalla riforma.
Quattro sono le questioni di “particolare rilievo” su cui ANAC si sofferma, prima di procedere con una più puntuale analisi di alcune disposizioni contenute nella bozza.
- Il ripristino dell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società “in house”
ANAC, sotto tale aspetto, “plaude” all’espressa introduzione, nella prima parte del nuovo Codice dedicata ai “princìpi generali”, del c.d. principio di autoorganizzazione amministrativa, riportato nell’articolo 7 e a norma del quale, tra le varie modalità organizzative che le pubbliche amministrazioni possono adottare per l’esecuzione di lavori o la prestazione di beni e servizi, v’è anche l’affidamento diretto a società cosiddette “in house”.
Tuttavia e al contempo critica e auspica un ripensamento sulla prevista soppressione della competenza ad oggi assegnatale dall’art. 192 del decreto legislativo 50/2016, quanto alla tenuta dell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società “in house”.
Tale elenco – sottolinea ANAC – costituisce un “fondamentale strumento propedeutico al corretto espletamento degli affidamenti in house”, già peraltro positivamente valutato anche dalla Corte di Giustizia Europea, il quale andrebbe mantenuto anche nel futuro assetto normativo. Ciò, in quanto tale elenco, senza indurre alcun tipo di aggravamento istruttorio e/o interferenza nelle decisioni delle amministrazioni, “svolge una importante funzione di supporto per le stesse” e “ha un indiscutibile effetto deflattivo del contenzioso”, “contribuendo ad aumentare la fondamentale funzione di pubblicità e trasparenza nel settore degli affidamenti pubblici”.
- Necessità di non depotenziare la disciplina del conflitto di interessi
ANAC, sotto tale aspetto, reputa di precisare come la nuova disciplina del conflitto di interessi posta dall’art. 16 della bozza, rispetto a quella contenuta all’art. 42 del decreto legislativo 50/2016, costituisca in buona sostanza un “passo indietro” e presenti dei profili di possibile anticomunitarietà, laddove: (a) se ne prevede un ambito applicativo più ristretto di quello previsto per i procedimenti amministrativi ordinari; (b) s’introduce una sorta di “inversione di onere della prova” a carico di chi invochi il conflitto, che lo renderebbe “particolarmente gravoso” e contrastante coi princìpi sanciti dalla Corte di Giustizia UE nella decisione del 12 marzo 2015, causa C538/13; (c) si elimina l’onere delle stazioni appaltanti idi attivarsi al fine di prevenire i possibili conflitti di interessi; e (d) non si prevede alcuno specifico onere dichiaratorio al riguardo (onere dichiaratorio che – sottolinea ANAC – costituirebbe “il principale strumento di emersione/gestione dei conflitti”).
- Criticità degli affidamenti diretti, o con procedura negoziata senza bando, dei contratti di importo inferiore alle soglie comunitarie
Anche ANAC stigmatizza la nuova disciplina dell’affidamento degli appalti c.d. sotto-soglia, contenuta all’art. 50 dello schema, laddove stabilisce un notevole innalzamento sia delle soglie per l’affidamento diretto che di quelle per la procedura negoziata senza bando, “nell’ottica di attuare la massima semplificazione delle procedure”.
In particolare, ad avviso di ANAC, “soprattutto con riferimento agli affidamenti diretti di servizi e forniture, bisogna evidenziare come la soglia di 140.000 euro sia idonea ad assorbire la maggior parte degli acquisti posti in essere soprattutto dai piccoli comuni, che potranno verosimilmente programmare più affidamenti sotto la predetta soglia, per la maggior parte dei propri acquisti, senza dunque dover ricorrere – se non in casi residuali – a procedure di evidenza pubblica”.
Avendo ANAC, “nell’ambito della propria esperienza di vigilanza”, già avuto modo di “constatare l’inefficienza di affidamenti diretti eseguiti senza il minimo confronto concorrenziale, ciò che nelle piccole realtà spesso significa l’affidamento a ditte conosciute, non sempre le più efficienti”, l’Autorità ha sul punto e in particolare manifestato il proprio timore che una tale situazione possa “peggiorare nel caso in cui divenissero definitive le modifiche alla disciplina sul conflitto di interesse, sopra evidenziate, che “sollevano” la stazione appaltante dalla predisposizione di serie misure di prevenzione del conflitto d’interessi, facendo ricadere sugli eventuali interessati l’onere di dimostrarne la sussistenza”.
Pertanto, l’Autorità – sottolineato di non aver mai visto con favore l’innalzamento delle soglie che esentano la stazione appaltante dal confronto con la concorrenza – ha, a chiare lettere, auspicato che le suddette soglie vengano ridimensionate. Ovvero e quanto meno che siano introdotti alcuni importanti correttivi, quali ad esempio:
(a) almeno per l’ipotesi degli affidamenti diretti di importo superiore alla soglia di 40.000 euro, si suggerisce l’introduzione dell’obbligo per la stazione appaltante di pubblicare sul proprio sito istituzionale, la determina a contrarre – o atto equivalente – ove dare conto delle “ragioni della scelta dell’affidatario” e “introducendo qualche minimo riferimento al confronto competitivo, almeno sotto il profilo della comparazione dei prezzi” (la quale, sottolinea ANAC, anche grazie alla crescente diffusione sui siti web delle caratteristiche di molti prodotti standard, nonché all’efficienza delle piattaforme telematiche di acquisto delle pubbliche amministrazioni, può essere agevolmente assicurata, senza alcun aggravio al procedimento);
(b) quanto alle procedure negoziate senza bando, ANAC ritiene che, “a fronte del notevole innalzamento delle soglie – soprattutto in relazione all’affidamento di lavori – sarebbe opportuno, anche in questo caso, compensare l’ampliamento della discrezionalità dell’amministrazione nella scelta dei contraenti con una maggiore trasparenza, tramite l’introduzione dell’obbligo di pubblicazione sul sito della stazione appaltante dell’avviso dell’avvio della procedura negoziata”;
(c) considerato poi che il ricorso alle indagini di mercato o alla consultazione di elenchi di operatori economici “favorisc(e) l’applicazione dei princìpi di trasparenza ed efficacia dell’azione amministrativa”, ANAC suggerisce di prevederne “il riferimento in tutte le ipotesi di procedura negoziata elencate dall’articolo in esame”;
(d) quanto alla norma consente alla stazione appaltante di ricorrere alle procedure ordinarie nel solo caso di cui al comma 1, lett. d) (procedura negoziata senza bando, previa consultazione di almeno 10 operatori economici, ove esistenti, per lavori di importo pari o superiore a 1 milione di euro e fino alle soglie comunitarie), ANAC ritiene che, “in applicazione del principio di auto-organizzazione amministrativa (esplicitato dall’articolo 7 dello schema di codice), alla stazione appaltante, nell’esercizio della sua discrezionalità, debba essere sempre consentito di ricorrere alle procedure ordinarie anche sotto soglia, qualora le caratteristiche del mercato di riferimento inducano a ritenere preferibile un ampio confronto concorrenziale e che sia, pertanto, opportuno prevedere la possibilità generalizzata di indire una procedura ordinaria (es. aperta) in luogo della procedura negoziata, qualora tale soluzione appaia la più idonea a soddisfare le esigenze dell’amministrazione”;
(e) infine, ANAC evidenzia come “l’articolo 50, come molte altre disposizioni dello schema di codice, fa espresso riferimento all’importo delle soglie attualmente vigenti, di rilievo europeo, per l’affidamento dei contratti pubblici”, ciò che appare inopportuno in quanto “le suddette soglie sono fisiologicamente soggette a revisione in sede europea”, sicché, “al fine di evitare possibili disallineamenti, si potrebbe utilizzare lo strumento di un rinvio mobile alle soglie comunitarie”.
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Soglia per la qualificazione delle stazioni appaltanti
Ribadita l’importanza e la centralità, anche nel nuovo impianto normativo e alla luce degli obiettivi di semplificazione ed efficienza perseguiti, della tematica della “qualificazione delle stazioni appaltanti” e della loro “aggregazione” – già peraltro prevista dall’art. 30 del decreto legislativo 50/2016, ma rimasta inattuata – ANAC si sofferma sulla disciplina inserita nella parte III, del libro II, dello schema di codice, agli artt. 62 e 63 (ed all’allegato II.4).
Ciò, criticando – in primo luogo – il previsto innalzamento fino a 500.000 euro dell’obbligo della qualificazione delle stazioni appaltanti per l’affidamento di contratti di lavori pubblici (art. 62). Tale modifica, infatti, ad avviso di ANAC, finisce per “sottra(rre) dall’obbligo di qualificazione una fetta importante degli enti aggiudicatori” (secondo le stime effettuate sui dati relativi al quinquennio 2017-2021, e richiamate da ANAC, invero, “l’innalzamento della soglia di qualificazione per i lavori da 150.000 euro a 500.000 euro comporterebbe una riduzione del numero di gare eseguite da enti qualificati di circa il 65% corrispondente ad una diminuzione di circa il 45% del numero di amministrazioni aggiudicatrici qualificate”). Pertanto, si è al riguardo proposto di “mantenere la soglia vigente di 150.000 euro, al di sopra della quale imporre l’obbligo di qualificazione per l’affidamento dei contratti di lavori pubblici” ovvero e in ogni caso di introdurre un regime transitorio, della durata di un anno, che possa consentire “il progressivo adeguamento da parte delle stazioni appaltanti al sistema di qualificazione”.
In secondo luogo, secondo ANAC, dovrebbe essere implementato o emendato il comma 10 dell’art. 62, laddove – con riguardo alla facoltà comunque prevista per le stazioni appaltanti di rivolgersi a centrali di committenza, fuori dai casi obbligatori – si limita a prevedere che la richiesta della stazione appaltante non qualificata si intende accolta qualora, nei successivi 10 giorni, non sia pervenuta risposta negativa e che, laddove tre centrali di committenza abbiano respinto la richiesta, la stazione appaltante non qualificata dovrà rivolgersi ad ANAC, la quale nei successivi 15 giorni assegnerà d’ufficio la richiesta a una centrale di committenza. Al riguardo, in particolare, ad avviso di ANAC, andrebbe disciplinata espressamente anche l’ipotesi in cui pure la centrale di committenza “supplente”, individuata dalla stessa Autorità, non proceda allo svolgimento della procedura di gara, prevedendosi sanzioni a carico della centrale “rimasta inerte senza giustificato motivo”, che vadano ad incidere sulla qualificazione della centrale di committenza stessa.