Sanatoria edilizia: i dubbi di costituzionalità sulla norma che prevede il silenzio-rigetto della domanda

La Corte Costituzionale – con la sentenza numero 42 del 16 marzo 2023 – ha dichiarato inammissibile la questione di illegittimità costituzionaledell’art. 36, comma 3 del Testo Unico Edilizia nella parte in cui prevede la formazione del silenzio-rigetto sulla domanda di titolo edilizio in sanatoria decorsi sessanta giorni dalla sua presentazione, sollevata dalla Sezione seconda bis del TAR Lazio per il denunciato contrasto della norma con gli articoli 3, 24, 97, secondo comma, e 113 Cost.

La ragione dell’inammissibilità è che le questioni poste, di cui si sta per dire, non hanno consentito – per i giudici della Consulta – una compiuta ricostruzione della cornice normativa e giurisprudenziale di riferimento sull’istituto, col conseguente difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate.

La pronuncia quindi conferma il valore di tacito diniego all’accertamento di conformità, trascorsi sessanta giorni dall’istanza senza che intervenga una pronuncia con adeguata motivazione del Comune. 

La sentenza – nel ritenere le questioni inammissibili – propone un puntuale inquadramento del permesso in sanatoria, della ratio del meccanismo del silenzio-rigetto, alla luce della lettura della più recente giurisprudenza amministrativa (che si è occupata anche di alcuni rilevanti profili processuali relativamente all’annullamento del silenzio rigetto). 

Il giudizio de quo

Il TAR Lazio, nel giudizio dal quale è derivata la rimessione alla Corte, era adito dai proprietari di un immobile con riscontrate opere abusive per difformità essenziali rispetto al permesso di costruire per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione dei manufatti e dell’atto di irrogazione di sanzione pecuniaria emessi da Roma Capitale. Il giudizio era poi esteso alla domanda di annullamento del silenzio-diniego che si era formato – ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 – sull’istanza di sanatoria edilizia presentata successivamente alla emanazione dei predetti provvedimenti sanzionatori, nonché sulla domanda di declaratoria della sussistenza della doppia conformità urbanistico-edilizia. 

Il TAR ha dubitato, sotto molteplici profili – ritenuti dal Tribunale rilevanti sul piano sostanziale nonché processuale – della legittimità costituzionale del terzo comma dell’articolo 36 appena citato, poiché la previsione del silenzio-rigetto, nella sua lettura, avrebbe leso:

  1. i princìpi di ragionevolezza, imparzialità, buon andamento e trasparenza, di cui agli articoli 3 e 97, secondo comma, Cost. anche in relazione agli artt. 2, 3 e da 7 a 10-bis della legge n. 241 del 1990, laddove la qualificazione legislativa dell’inerzia in termini di rigetto impedisce al cittadino di comprendere le ragioni della reiezione dell’istanza e di dare il suo apporto nella fase istruttoria del relativo procedimento;
  2. l’articolo 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza, riservando solo alle istanze di sanatoria degli abusi edilizi solo formali lo sfavorevole meccanismo del silenzio-rigetto, ed invece il più favorevole meccanismo del silenzio-assenso per la definizione delle istanze di condono degli abusi sostanziali (di cui alle tre leggi di condono la 47 del 1985, la legge n. 724 del 1994 e il d.l. n. 269 del 2003)
  3. gli articoli 24 e 113 Cost., in quanto aggrava la posizione processuale del privato, costretto in tal caso ad un ricorso «al buio», in mancanza di motivazioni espresse da poter confutare con l’onere ulteriore di dover dimostrare la doppia conformità urbanistico-edilizia delle opere;
  4. il principio di separazione dei poteri, riconducibile agli artt. 97 e 113 Cost., in quanto, nel giudizio di impugnazione del silenzio-rigetto, si demanda al giudice di pronunciarsi sull’istanza di sanatoria in prima battuta, sostituendosi all’amministrazione nell’esercizio del potere amministrativo.

Il giudizio della Corte

La Corte ritiene le questioni rilevanti e pur tuttavia inammissibili.

L’ordinanza di rimessione, per i giudici costituzionali, propone infatti una ricostruzione della cornice normativa e giurisprudenziale di riferimento carente per molti versi e in parte anche erronea, compromettendo così l’iter logico-argomentativo posto a fondamento della valutazione di non manifesta infondatezza dei prospettati dubbi di legittimità costituzionale.

Il TAR rimettente, nel giudizio della Corte, non si è soffermato sulla natura del potere di sanatoria e sulla ratio del silenzio-rigetto, né si è confrontato con gli orientamenti giurisprudenziali sulla relativa tutela.

L’inquadramento dell’istituto dell’accertamento di conformità

Per tale ragione, la Corte offre un inquadramento del permesso in sanatoria che ritiene più corretto.

L’istituto di cui all’articolo 36 del Testo Unico edilizia disciplina l’«accertamento di conformità», ovvero il permesso in sanatoria ottenibile per interventi realizzati in difetto del, o in difformità dal, titolo edilizio, alla condizione che le opere siano rispondenti alla disciplina urbanistico-edilizia vigente tanto al momento di realizzazione dell’opera, quanto al momento dell’istanza.

Si tratta quindi della “…regolarizzazione postuma di abusi difettosi nella forma, ma non nella sostanza, in quanto privi di danno urbanistico…”.

Tali tratti distinguono in via netta l’istituto in questione dalle ipotesi del condono edilizio in cui la legge, con disposizioni specifiche ed in via straordinaria, consente di sanare situazioni di abuso perpetrate sino ad una certa data, di natura sostanziale, in quanto difformi dalla disciplina urbanistico-edilizia.

L’errore in cui la Corte ritiene sia incorso il giudice rimettente è invero quello di aver assunto la natura discrezionale del potere di sanatoria.

Natura vincolata della valutazione della Pubblica Amministrazione

Al contrario, “…il relativo provvedimento ha natura vincolata…”, dovendo limitarsi l’amministrazione comunale a riscontrare la doppia conformità dell’opera alle prescrizioni urbanistico-edilizie (senza compiere apprezzamenti discrezionali).

Tale è l’orientamento della giurisprudenza amministrativa largamente prevalente (come acquisito ad esempio dal recente contributo del Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 15 settembre 2022, n. 7993).

La Corte dà atto poi di un altro orientamento, che riferisce quale minoritario pur se sostenuto da recente giurisprudenza anche del Consiglio di Stato, che ritiene che il potere sanante ha natura «solo tendenzialmente vincolata» o natura tecnico-discrezionale, in ragione delle valutazioni richieste nell’accertamento dei presupposti di fatto e di diritto previsti dalla legge e dagli atti di pianificazione urbanistica.

Quanto al procedimento, la pronuncia della Corte precisa che l’onere di dimostrare la cosiddetta doppia conformità delle opere è a carico del richiedente e che l’amministrazione è tenuta a pronunciarsi con adeguata motivazione entro sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta «si intende rifiutata».

La ratio del silenzio-rigetto

Quanto alla natura del silenzio, la Corte riferisce che la giurisprudenza amministrativa, divenuta costante e condivisa, ha interpretato tale fattispecie di silenzio con valore legale di “silenzio-rigetto”, ovvero di diniego della proposta istanza, e non quale “silenzio-inadempimento” corrispondente alla mera inerzia nel provvedere.

Ciò che risponde, secondo le previsione del legislatore, alla necessità della difesa del corretto assetto del territorio dagli abusi edilizi, la cui repressione costituisce attività doverosa per l’amministrazione.

Il che comporta la più logica imposizione al privato – che, violando la legge, ha omesso di chiedere preventivamente il necessario titolo edilizio sottraendosi al previo controllo di conformità alla pianificazione urbanistica – dell’onere di proporre l’istanza di sanatoria e di impugnare il suo eventuale diniego, anche tacito, lasciando all’autorità comunale soltanto di ordinare la demolizione delle opere abusive, senza gravarla della previa verifica della loro sanabilità.

La pronuncia in commento ritiene inoltre che la definizione del procedimento di sanatoria con i tempi certi del silenzio-rigetto si coordini in modo coerente anche con la disposizione dell’articolo del 45 Testo Unico Edilizia relativa alla persecuzione penale degli abusi edilizi. Seppure tale norma prevede la sospensione del procedimento penale sino alla decisione amministrativa sull’istanza di titolo in sanatoria, la detta sospensione richiede al contempo un contenimento temporale, non potendo il processo penale arrestarsi indefinitamente.

Ed ancora, la previsione del silenzio significativo in termini di rigetto è prevista anche nell’interesse del privato, al quale è così consentita una più sollecita tutela giurisdizionale.

L’onere del privato in fase processuale

L’inquadramento del silenzio in termini di “rigetto” sull’istanza di sanatoria comporta in definitiva che il privato, nell’impugnare il provvedimento “tacito”, non potrà far valere difetti formali bensì lamentare il contenuto sostanziale di rigetto.

Ciò comporta soltanto che l’onere che il privato aveva in fase procedimentale si trasla e riporta nel processo, ove questi – divenuto ricorrente – è chiamato a fornire la prova della sussistenza della conformità delle opere.

Qui l’onere probatorio in effetti viene diversamente misurato, in relazione alle diverse impostazioni del potere di sanatoria, che la giurisprudenza amministrativa qualifica alternativamente:

  1. in termini vincolati: nel qual caso è richiesto al ricorrente di fornire “prova piena” della doppia conformità;
  2. in termini tecnico-discrezionali: in tal caso è richiesto al ricorrente di fornire la prova della “non implausibilità” della doppia conformità, in termini idonei a sconfessare la negativa definizione del procedimento.

In ogni caso, assolvendo all’onere probatorio richiesto, deriva in sede processuale l’annullamento del silenzio-rigetto, e il conseguente obbligo dell’amministrazione a provvedere espressamente sull’istanza in modo conforme a quanto accertato con la sentenza resa nella fattispecie concreta.

L’amministrazione a quel punto, chiamata a riesercitare il suo potere, potrà essere, anche qui in via alternativa, o totalmente vincolata dal compiuto riscontro giudiziale della doppia conformità o fortemente condizionata dalle indicazioni giudiziali sui necessari riscontri istruttori o, infine, continuerà a vantare margini di valutazione tecnico-discrezionali.

Conclusioni

In conclusione, inquadrato nel modo più corretto l’istituto dell’accertamento di conformità, la pronuncia ritiene le questioni inammissibili per via del quadro normativo e giurisprudenziale non adeguatamente ricostruito dal TAR Lazio, che non ha considerato – sul piano sostanziale – la ratio del silenzio-rigetto, né la specifica posizione del soggetto richiedente la sanatoria, e nemmeno il complessivo rapporto amministrativo in cui si inseriscono l’istanza di sanatoria e il suo rigetto tacito, ed infine la diversità tra l’ordinario istituto dell’accertamento di conformità e le eccezionali fattispecie di condono previste con leggi ad hoc per il recupero in via straordinaria degli abusi commessi in un determinato momento storico.

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Sanatoria edilizia: i dubbi di costituzionalità sulla norma che prevede il silenzio-rigetto della domanda

Published On: 4 Maggio 2023

La Corte Costituzionale – con la sentenza numero 42 del 16 marzo 2023 – ha dichiarato inammissibile la questione di illegittimità costituzionaledell’art. 36, comma 3 del Testo Unico Edilizia nella parte in cui prevede la formazione del silenzio-rigetto sulla domanda di titolo edilizio in sanatoria decorsi sessanta giorni dalla sua presentazione, sollevata dalla Sezione seconda bis del TAR Lazio per il denunciato contrasto della norma con gli articoli 3, 24, 97, secondo comma, e 113 Cost.

La ragione dell’inammissibilità è che le questioni poste, di cui si sta per dire, non hanno consentito – per i giudici della Consulta – una compiuta ricostruzione della cornice normativa e giurisprudenziale di riferimento sull’istituto, col conseguente difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate.

La pronuncia quindi conferma il valore di tacito diniego all’accertamento di conformità, trascorsi sessanta giorni dall’istanza senza che intervenga una pronuncia con adeguata motivazione del Comune. 

La sentenza – nel ritenere le questioni inammissibili – propone un puntuale inquadramento del permesso in sanatoria, della ratio del meccanismo del silenzio-rigetto, alla luce della lettura della più recente giurisprudenza amministrativa (che si è occupata anche di alcuni rilevanti profili processuali relativamente all’annullamento del silenzio rigetto). 

Il giudizio de quo

Il TAR Lazio, nel giudizio dal quale è derivata la rimessione alla Corte, era adito dai proprietari di un immobile con riscontrate opere abusive per difformità essenziali rispetto al permesso di costruire per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione dei manufatti e dell’atto di irrogazione di sanzione pecuniaria emessi da Roma Capitale. Il giudizio era poi esteso alla domanda di annullamento del silenzio-diniego che si era formato – ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 – sull’istanza di sanatoria edilizia presentata successivamente alla emanazione dei predetti provvedimenti sanzionatori, nonché sulla domanda di declaratoria della sussistenza della doppia conformità urbanistico-edilizia. 

Il TAR ha dubitato, sotto molteplici profili – ritenuti dal Tribunale rilevanti sul piano sostanziale nonché processuale – della legittimità costituzionale del terzo comma dell’articolo 36 appena citato, poiché la previsione del silenzio-rigetto, nella sua lettura, avrebbe leso:

  1. i princìpi di ragionevolezza, imparzialità, buon andamento e trasparenza, di cui agli articoli 3 e 97, secondo comma, Cost. anche in relazione agli artt. 2, 3 e da 7 a 10-bis della legge n. 241 del 1990, laddove la qualificazione legislativa dell’inerzia in termini di rigetto impedisce al cittadino di comprendere le ragioni della reiezione dell’istanza e di dare il suo apporto nella fase istruttoria del relativo procedimento;
  2. l’articolo 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza, riservando solo alle istanze di sanatoria degli abusi edilizi solo formali lo sfavorevole meccanismo del silenzio-rigetto, ed invece il più favorevole meccanismo del silenzio-assenso per la definizione delle istanze di condono degli abusi sostanziali (di cui alle tre leggi di condono la 47 del 1985, la legge n. 724 del 1994 e il d.l. n. 269 del 2003)
  3. gli articoli 24 e 113 Cost., in quanto aggrava la posizione processuale del privato, costretto in tal caso ad un ricorso «al buio», in mancanza di motivazioni espresse da poter confutare con l’onere ulteriore di dover dimostrare la doppia conformità urbanistico-edilizia delle opere;
  4. il principio di separazione dei poteri, riconducibile agli artt. 97 e 113 Cost., in quanto, nel giudizio di impugnazione del silenzio-rigetto, si demanda al giudice di pronunciarsi sull’istanza di sanatoria in prima battuta, sostituendosi all’amministrazione nell’esercizio del potere amministrativo.

Il giudizio della Corte

La Corte ritiene le questioni rilevanti e pur tuttavia inammissibili.

L’ordinanza di rimessione, per i giudici costituzionali, propone infatti una ricostruzione della cornice normativa e giurisprudenziale di riferimento carente per molti versi e in parte anche erronea, compromettendo così l’iter logico-argomentativo posto a fondamento della valutazione di non manifesta infondatezza dei prospettati dubbi di legittimità costituzionale.

Il TAR rimettente, nel giudizio della Corte, non si è soffermato sulla natura del potere di sanatoria e sulla ratio del silenzio-rigetto, né si è confrontato con gli orientamenti giurisprudenziali sulla relativa tutela.

L’inquadramento dell’istituto dell’accertamento di conformità

Per tale ragione, la Corte offre un inquadramento del permesso in sanatoria che ritiene più corretto.

L’istituto di cui all’articolo 36 del Testo Unico edilizia disciplina l’«accertamento di conformità», ovvero il permesso in sanatoria ottenibile per interventi realizzati in difetto del, o in difformità dal, titolo edilizio, alla condizione che le opere siano rispondenti alla disciplina urbanistico-edilizia vigente tanto al momento di realizzazione dell’opera, quanto al momento dell’istanza.

Si tratta quindi della “…regolarizzazione postuma di abusi difettosi nella forma, ma non nella sostanza, in quanto privi di danno urbanistico…”.

Tali tratti distinguono in via netta l’istituto in questione dalle ipotesi del condono edilizio in cui la legge, con disposizioni specifiche ed in via straordinaria, consente di sanare situazioni di abuso perpetrate sino ad una certa data, di natura sostanziale, in quanto difformi dalla disciplina urbanistico-edilizia.

L’errore in cui la Corte ritiene sia incorso il giudice rimettente è invero quello di aver assunto la natura discrezionale del potere di sanatoria.

Natura vincolata della valutazione della Pubblica Amministrazione

Al contrario, “…il relativo provvedimento ha natura vincolata…”, dovendo limitarsi l’amministrazione comunale a riscontrare la doppia conformità dell’opera alle prescrizioni urbanistico-edilizie (senza compiere apprezzamenti discrezionali).

Tale è l’orientamento della giurisprudenza amministrativa largamente prevalente (come acquisito ad esempio dal recente contributo del Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 15 settembre 2022, n. 7993).

La Corte dà atto poi di un altro orientamento, che riferisce quale minoritario pur se sostenuto da recente giurisprudenza anche del Consiglio di Stato, che ritiene che il potere sanante ha natura «solo tendenzialmente vincolata» o natura tecnico-discrezionale, in ragione delle valutazioni richieste nell’accertamento dei presupposti di fatto e di diritto previsti dalla legge e dagli atti di pianificazione urbanistica.

Quanto al procedimento, la pronuncia della Corte precisa che l’onere di dimostrare la cosiddetta doppia conformità delle opere è a carico del richiedente e che l’amministrazione è tenuta a pronunciarsi con adeguata motivazione entro sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta «si intende rifiutata».

La ratio del silenzio-rigetto

Quanto alla natura del silenzio, la Corte riferisce che la giurisprudenza amministrativa, divenuta costante e condivisa, ha interpretato tale fattispecie di silenzio con valore legale di “silenzio-rigetto”, ovvero di diniego della proposta istanza, e non quale “silenzio-inadempimento” corrispondente alla mera inerzia nel provvedere.

Ciò che risponde, secondo le previsione del legislatore, alla necessità della difesa del corretto assetto del territorio dagli abusi edilizi, la cui repressione costituisce attività doverosa per l’amministrazione.

Il che comporta la più logica imposizione al privato – che, violando la legge, ha omesso di chiedere preventivamente il necessario titolo edilizio sottraendosi al previo controllo di conformità alla pianificazione urbanistica – dell’onere di proporre l’istanza di sanatoria e di impugnare il suo eventuale diniego, anche tacito, lasciando all’autorità comunale soltanto di ordinare la demolizione delle opere abusive, senza gravarla della previa verifica della loro sanabilità.

La pronuncia in commento ritiene inoltre che la definizione del procedimento di sanatoria con i tempi certi del silenzio-rigetto si coordini in modo coerente anche con la disposizione dell’articolo del 45 Testo Unico Edilizia relativa alla persecuzione penale degli abusi edilizi. Seppure tale norma prevede la sospensione del procedimento penale sino alla decisione amministrativa sull’istanza di titolo in sanatoria, la detta sospensione richiede al contempo un contenimento temporale, non potendo il processo penale arrestarsi indefinitamente.

Ed ancora, la previsione del silenzio significativo in termini di rigetto è prevista anche nell’interesse del privato, al quale è così consentita una più sollecita tutela giurisdizionale.

L’onere del privato in fase processuale

L’inquadramento del silenzio in termini di “rigetto” sull’istanza di sanatoria comporta in definitiva che il privato, nell’impugnare il provvedimento “tacito”, non potrà far valere difetti formali bensì lamentare il contenuto sostanziale di rigetto.

Ciò comporta soltanto che l’onere che il privato aveva in fase procedimentale si trasla e riporta nel processo, ove questi – divenuto ricorrente – è chiamato a fornire la prova della sussistenza della conformità delle opere.

Qui l’onere probatorio in effetti viene diversamente misurato, in relazione alle diverse impostazioni del potere di sanatoria, che la giurisprudenza amministrativa qualifica alternativamente:

  1. in termini vincolati: nel qual caso è richiesto al ricorrente di fornire “prova piena” della doppia conformità;
  2. in termini tecnico-discrezionali: in tal caso è richiesto al ricorrente di fornire la prova della “non implausibilità” della doppia conformità, in termini idonei a sconfessare la negativa definizione del procedimento.

In ogni caso, assolvendo all’onere probatorio richiesto, deriva in sede processuale l’annullamento del silenzio-rigetto, e il conseguente obbligo dell’amministrazione a provvedere espressamente sull’istanza in modo conforme a quanto accertato con la sentenza resa nella fattispecie concreta.

L’amministrazione a quel punto, chiamata a riesercitare il suo potere, potrà essere, anche qui in via alternativa, o totalmente vincolata dal compiuto riscontro giudiziale della doppia conformità o fortemente condizionata dalle indicazioni giudiziali sui necessari riscontri istruttori o, infine, continuerà a vantare margini di valutazione tecnico-discrezionali.

Conclusioni

In conclusione, inquadrato nel modo più corretto l’istituto dell’accertamento di conformità, la pronuncia ritiene le questioni inammissibili per via del quadro normativo e giurisprudenziale non adeguatamente ricostruito dal TAR Lazio, che non ha considerato – sul piano sostanziale – la ratio del silenzio-rigetto, né la specifica posizione del soggetto richiedente la sanatoria, e nemmeno il complessivo rapporto amministrativo in cui si inseriscono l’istanza di sanatoria e il suo rigetto tacito, ed infine la diversità tra l’ordinario istituto dell’accertamento di conformità e le eccezionali fattispecie di condono previste con leggi ad hoc per il recupero in via straordinaria degli abusi commessi in un determinato momento storico.

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