Sulla concorrenza in Sanità

Published On: 7 Marzo 2024Categories: Normativa, Salute e sanità

L’art. 15 della L. n. 118/2022 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021) ha apportato alcune modifiche all’attuale sistema di accreditamento e convenzionamento delle strutture private, introducendo il principio del previo esperimento di procedure selettive, che spetterà alle singole Regioni declinare in concreto.

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 8-quinquies del d.lgs. 502/1992, introdotto dal citato art. 15 della l. 118/2022, mira a dare vita a un mercato, prevedendo che le Regioni debbano individuare i soggetti privati accreditati ai fini della stipula degli accordi contrattuali, “… mediante procedure trasparenti, eque e non discriminatorie, previa pubblicazione da parte delle regioni di un avviso contenente criteri oggettivi di selezione, che valorizzino prioritariamente la qualità delle specifiche prestazioni sanitarie da erogare. La selezione di tali soggetti deve essere effettuata periodicamente, tenuto conto della programmazione sanitaria e sulla base di verifiche delle eventuali esigenze di razionalizzazione della rete in convenzionamento e, per i soggetti già titolari di accordi contrattuali, dell’attività svolta.

In sostanza è prevista una vera e propria gara pubblica che, fuori dalla discrezionalità, impone anche alle strutture già accreditate la necessità di sottoporsi «periodicamente» (non viene stabilito un criterio temporale) a delle selezioni con le Regioni, che dovranno tener conto della «programmazione sanitaria regionale» e di «verifiche delle eventuali esigenze di razionalizzazione della rete in convenzionamento». Insomma, una serie di requisiti innovativi, ma piuttosto generici, che sembrano lasciar mano libera alle regioni.

Il Decreto del Ministro della salute 19 dicembre 2022, in attuazione della citata disposizione, ha dettato le modalità di valutazione in termini di qualità, sicurezza e appropriatezza delle attività erogate, da applicarsi, in caso di richiesta di accreditamento di nuove strutture pubbliche e private o per l’avvio di nuove attività in strutture preesistenti (art. 2) e per la selezione dei soggetti privati ai fini della stipula degli accordi contrattuali (art. 3).

Le valutazioni relative agli articoli 2 e 3 verranno effettuate, tra l’altro, sulla base di elementi definiti dall’allegato A (art. 2 – rilascio di nuovi accreditamenti) e dall’allegato B (art. 3 – stipula accordi contrattuali).

A tal proposito, il Decreto del Ministro della salute 26 settembre 2023 aveva già prorogato al 31 marzo 2024 il termine per l’adeguamento dell’ordinamento regionale alle disposizioni normative di cui all’articolo 5, comma 1 del DM 19 dicembre 2022; mentre l’articolo 4, comma 7 bis del D.L. Milleproroghe, convertito con modificazioni dalla L. 23 febbraio 2024, n. 18 lo ha ulteriormente rinviato al 31 dicembre 2024.

Nella disciplina vigente non si rinvengono richiami espliciti alla concorrenza nel settore dei servizi sanitari, poiché il d.lgs. 502/1992, così come modificato dal d.lgs. 517/1993 e dalla l. 724/1994 era improntato sul diritto dell’assistito alla libera scelta dell’erogatore e sul rilascio dell’accreditamento agli operatori economici privati, previo accertamento del mero possesso dei requisiti minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie e accettazione del sistema della remunerazione, avendo delineato inizialmente un sistema aperto e concorrenziale (detto di “quasi-mercato”).

Questo sistema è stato poi abbandonato con l’entrata in vigore del d.lgs. 229/1999, che ha ridimensionato l’ambito di esercizio della libera scelta dell’utente e il diritto di libertà di iniziativa economica tutelandoli, esclusivamente, nei limiti della programmazione sanitaria.

Le superiori considerazioni portano a ritenere che l’interesse sotteso alla promozione della concorrenza all’interno del servizio sanitario pubblico è, da un lato, estraneo al contenuto essenziale del diritto alla salute e, dall’altro, recessivo in presenza di interessi confliggenti con l’obiettivo di preservare la sostenibilità nel tempo di tale servizio (Corte Cost. 26 maggio 2005, n. 200; 2 aprile 2009, n. 94; 27 luglio 2011, n. 248; 26 ottobre 2012, n. 236).

La stessa Corte di Giustizia UE, a tal proposito, ha ritenuto che l’introduzione di limitazioni alla libera prestazione dei servizi può risultare giustificata e compatibile con l’ordinamento euro unitario, se sorretta da una ragione imperativa di pubblico interesse qual è “l’obiettivo di mantenere, per ragioni di sanità pubblica, un servizio medico e ospedaliero equilibrato e accessibile a tutti” che “può rientrare parimenti in una delle deroghe giustificate da motivi di sanità pubblica, se un siffatto obiettivo contribuisce al conseguimento di un livello elevato di tutela della salute” (in tal senso CGUE, 5 dicembre 2013, C-159/12 e C-162/12; 17 giugno 1997, C-70/95. 76 CGUE, 11 settembre 2008, C-141/07; Id., 1 giugno 2010, C-570/07 e C-571/07.77 CGUE, 11 dicembre 2014, C-113/13).

L’accreditamento disciplinato dall’art. 8-quater e il successivo accordo contrattuale ex art. 8-quinquies del d. lgs. 502/1992 configurano uno schema concessorio, che implica l’esercizio di un potere discrezionale, consistente in un duplice vaglio di natura tecnica e di carattere politico programmatorio, vincolato sia al fabbisogno sanitario che alle risorse disponibili, per effetto del quale si configura un nesso di collegamento organico e funzionale della struttura accreditata con il servizio pubblico. (Cons. Stato, Sez. III, 27 giugno 2022, n. 5230; Cons. Stato, Sez. III, 21 ottobre 2020, n. 6372).

Sicché, ai fini dell’introduzione di meccanismi competitivi tali da permettere la contendibilità dei budget regionali tra soggetti accreditati, occorre verificare l’autonomia di tali atti e, dunque, la loro scindibilità.

Gli atti in questione, tuttavia, non sono scindibili a causa dello stretto collegamento intercorrente tra l’accreditamento istituzionale e l’accordo contrattuale, ribadito dalla Giurisprudenza secondo cui «… una volta individuati i soggetti accreditati, tali operatori devono essere messi in condizione di stipulare contratti con l’amministrazione non potendo la Regione rivolgersi a tempo indefinito solo ai soggetti che per anni hanno avuto accesso al mercato e fare riferimento solo al criterio della spesa storica che evidentemente avvantaggia solo coloro che operano in un mercato chiuso all’accesso di nuovi operatori…; dovendo la ripartizione dei budget tra i soggetti accreditati operare, in base ad appositi criteri idonei a garantire condizioni di parità tra i soggetti...» (CGARS, 5 giugno 2019, n. 520; più recentemente ripresa da CGARS, 23 luglio 2021, n. 745; ed inoltre tra le tante Cons. di Stato n. 4574/2013).

Ciò comporta, da un lato che le Amministrazioni regionali non possono accreditare un numero maggiore di erogatori privati rispetto alla programmazione dei fabbisogni e alle risorse destinate alla loro copertura; dall’altro, l’impossibilità di individuare gli erogatori privati con cui stipulare gli accordi contrattuali, attraverso una selezione competitiva tra più soggetti accreditati (posto che ciascuno di essi, per il solo fatto di avere ottenuto l’accreditamento, vanta una aspettativa giuridicamente tutelata alla stipula del contratto).

Principio della concorrenzialità nel SSN e situazioni giuridiche correlate al sistema di accreditamento e convenzionamento

Il legislatore, con l’articolo 15 della l. n. 118/2022, non ha affatto considerato la natura delle situazioni giuridiche vantate dai soggetti titolari dell’accreditamento rispetto alla successiva stipula degli accordi contrattuali, né ha tenuto conto del nesso di accessorietà e interdipendenza esistente fra tale provvedimento e l’accordo ex art. 8-quinquies del d. lgs. 502/1992.

Tale omissione rischia di compromettere la compatibilità del nuovo testo del comma 1-bis dell’art. 8-quinquies del d.lgs. 502/1992, con la peculiare fattispecie concessoria rinvenibile nel nostro ordinamento amministrativo sanitario, che non è affatto riconducibile, neppure in linea di principio, alle fattispecie disciplinate dalla Direttiva 23/2014 e dalla normativa di recepimento (d.lgs. 50/2016).

Il sistema di accreditamento e convenzionamento, delineando un rapporto contrattuale conformato da finalità pubblicistiche, in virtù del quale mediante l’accreditamento l’offerta di prestazioni sanitarie da parte della struttura privata viene inserita nell’ambito della programmazione sanitaria pubblica, si sostanzia in una deroga alla disciplina concernente l’acquisto dei servizi da parte della pubblica amministrazione secondo le regole dell’evidenza pubblica, che si giustifica in parte con ragioni di natura strutturale connesse all’operatività nell’ambito del servizio pubblico del principio di libera scelta dell’utente (e dunque, alla diversa dinamica attraverso cui si realizza l’erogazione delle prestazioni a carico del SSN) e in parte con la non equiparabilità di tale fattispecie concessoria con la concessione di servizi disciplinata dalla Direttiva 23/2014.

Sul piano del diritto positivo occorre evidenziare che il paragrafo 13 delle premesse della Direttiva 23/2014, al paragrafo 22 e all’art. 2, comma 2, lett. f), esclude dal proprio ambito di applicazione «i regimi in cui tutti gli operatori che soddisfano determinate condizioni sono autorizzati a svolgere un determinato compito, senza selettività, come i sistemi basati sulla libera scelta del cliente e i sistemi di buoni servizio […] compresi quelli fondati su accordi giuridici tra l’autorità pubblica e gli operatori economici. Tali sistemi si basano generalmente su una decisione dell’autorità pubblica che definisce le condizioni trasparenti e non discriminatorie applicabili all’accesso continuo da parte degli operatori economici alla fornitura di servizi specifici, quali i servizi sociali, consentendo ai clienti di scegliere tra tali operatori».

L’esclusione del concorso dei privati all’erogazione delle prestazioni a carico del SSN, dall’ambito di applicabilità del d.lgs. 50/2016 è stata più volte confermata dalla Giurisprudenza, sulla base: a) del fatto che “… gli operatori economici interessati non sono selezionati dal “mercato” ma sono comunque quelli, e solo quelli, già destinatari di un provvedimento di natura concessoria, qual è l’accreditamento istituzionale, in forza del fabbisogno sanitario stabilito secondo le funzioni sanitarie individuate dal Piano sanitario regionale per garantire i livelli essenziali e uniformi di assistenza …” (Cons. di Stato Sez. III, 26 aprile 2022, n. 3183; Cons. Stato, Sez. III, 19 marzo 2018, n. 1739); b) dalla peculiare natura pubblicistica della fattispecie concessoria in parola, che sebbene astrattamente riconducibile alla concessione di pubblico servizio si distanzia da quest’ultima, in quanto il relativo provvedimento “… non comporta l’attribuzione in sé e per sé di un vantaggio economico, dato che l’obbligo di erogare prestazioni sanitarie per conto del SSR, e il correlativo diritto di esigerne la remunerazione, discende solo dal successivo contratto con il quale l’Amministrazione, previa definizione del budget, vincola il privato a concorrere ad assicurare i livelli di assistenza sul territorio”) (in tal senso TAR Lazio, Latina, Sez. I, 25 novembre 2020, n. 432).

A tal proposito, peraltro, neppure l’accordo ex art. 8-quinquies sembra suscettibile di applicazione del d.lgs. 50/2016 e della Direttiva 24/2014, in quanto funzionale non a configurare una relazione contrattuale a prestazioni corrispettive, bensì a fissare, unilateralmente, il tetto di spesa assegnato all’erogatore privato, imprimendo un vincolo di destinazione sulle risorse pubbliche senza l’obbligo di erogare prestazioni eccedenti il tetto negozialmente stabilito (Cass., Sez. I, 19 marzo 2020, n. 7469; Cass., Sez. III, 29 ottobre, 2019, n. 27608).

Nel contesto normativo descritto si pone il nuovo comma 1-bis dell’art. 8-quinquies del d.lgs. 502/1992, introdotto dall’art. 15 della l. 118/2022, che si fonda su di una visione meramente utilitaristica della concorrenza, secondo cui la contendibilità delle risorse del SSN tra soggetti accreditati risulterebbe funzionale al conseguimento, da parte del settore pubblico acquirente, delle prestazioni erogate dai privati, del cosiddetto surplus del consumatore, che non è compatibile con l’art. 32 Cost.

Le previsioni della l. 118/2022, inoltre, se erroneamente interpretate dalle Regioni in sede applicativa, potrebbero determinare il rischio di concentrazioni in favore di pochi gruppi, a discapito degli operatori privati di dimensioni più contenute e del cosiddetto privato sociale, riducendo piuttosto che aumentare la qualità dell’offerta dei servizi.

Altri profili di criticità

Altri profili di criticità che emergono dal citato articolo 15 della l. 118/2022 afferiscono ai rischi di seguito indicati.

Un primo rischio è di scivolare verso una sorta di disciplina speciale degli accordi contrattuali ex art. 8-quinquies d.lgs. 502/1992 e dell’erogazione delle prestazioni a carico del servizio pubblico che, pur non richiesta dalle direttive europee, segna i presupposti per una fuoriuscita di tali accordi e dello stesso accreditamento istituzionale, dall’alveo pubblicistico della concessione amministrativa e della sovvenzione pubblica, nell’ottica di una ricostruzione che colloca il rapporto giuridico che lega il privato erogatore all’amministrazione sul binario della sinallagmaticità delle reciproche prestazioni con effetti nient’affatto trascurabili (basti a tal proposito considerare la possibilità per i privati di invocare, sulla base di tale binario, l’applicazione dei princìpi civilistici in materia di rapporti negoziali a prestazioni corrispettive, per esempio in relazione alla mancata remunerazione delle prestazioni c.d. “extra budget”).

Un secondo rischio è riconducibile alla scelta del legislatore di collocare la “concorrenza” in sanità nella sola dimensione della “concorrenza per il mercato”, preservando l’assetto monopolistico del settore pubblico e rinunciando – per evidenti ragioni connesse alle esigenze di bilancio – a dar seguito a quel disegno iniziale, tracciato dal d.lgs. 502/1992 e dalla l. 724/1994, che vedeva gli operatori privati – purché in possesso di determinati standard qualitativi – operare in regime di libero concorso con le strutture pubbliche e di libera scelta degli utenti.

Tale disegno già in passato aveva dovuto cedere il passo ad un modello di concorrenza amministrata dettato dalla crescente esigenza di contenimento della spesa sanitaria, senza però mai giungere a porre in discussione l’assunto secondo cui tale sistema – benché riconducibile ad una fattispecie concessoria alla stregua del modello suppletivo di intervento dei privati nell’erogazione delle prestazioni introdotto dalla l. 833/1978 – fosse comunque da ritenersi un’eccezione alla disciplina dell’evidenza pubblica e, in particolare, del d.lgs. 50/2016.

Un terzo rischio è quello di negare, se non in tutto almeno in parte, il carattere peculiare del servizio pubblico in questione e dei rapporti giuridici di natura certamente pubblicistica che legano gli operatori privati a quest’ultimo.

Come si è già evidenziato, diversamente dallo schema contrattuale della concessione di servizi, l’offerta di prestazioni sanitarie, rientrando nell’ambito di una programmazione sanitaria, risulta inscindibilmente connessa al preventivo accreditamento istituzionale delle strutture private (reggendosi su un rapporto di circolarità tra accreditamento e accordo contrattuale che, da un lato, è assoggettata a tariffe definite in base a criteri predeterminati dal legislatore statale e poi specificati a livello regionale e, dall’altro, risulta soggetta a un tetto massimo di spesa al superamento del quale – a conferma dell’assenza di sinallagmaticità nell’ambito del suddetto rapporto giuridico – non è prevista alcuna remunerazione in favore del privato, neanche a titolo di arricchimento senza causa).

La portata di tali criticità si coglie dal fatto che le previsioni della l. 118/2022 si inquadrano in un contesto di tendenziale stagnazione del finanziamento del ssn e sono destinate a impattare sugli attuali assetti dell’organizzazione del servizio sanitario, rimodulando i rapporti tra pubblico e privato nella direzione di un definitivo abbandono del modello del servizio pubblico oggettivo nel quale pubblico e privato compartecipano all’erogazione di quest’ultimo sulla base di una dinamica concorrenziale che vede pur sempre l’utente come decisore ultimo; in favore di un modello fondato sul rafforzamento dei profili soggettivamente pubblici del servizio, a cui fa da corollario la contestuale apertura alle logiche di mercato sul fronte della selezione degli erogatori privati, che sono chiamati a supplire alle carenze degli erogatori pubblici (laddove però la scelta di tali operatori non è più rimessa in capo all’utente bensì in larga parte soggetta al filtro dell’amministrazione regionale, alla stregua di una comune stazione appaltante).

Tale tendenza rappresenta un deciso passo indietro sul fronte della sussidiarietà orizzontale stante che, sulla base del peculiare sistema di remunerazione delle prestazioni sanitarie, non pare che l’introduzione di elementi di contendibilità degli accordi ex art. 8-quinquies che gli erogatori privati concludono con gli enti del SSN, possa condurre a risparmi di spesa strutturali per l’erario (ciò, ovviamente, laddove non venga messo in discussione l’attuale sistema amministrato di remunerazione delle prestazioni sanitarie a favore di un meccanismo di formazione dei prezzi sul nuovo mercato creato dalla disposizione in commento).

Il superamento dell’attuale regime amministrato della remunerazione delle prestazioni erogate dai privati accreditati a carico del SSN, con un meccanismo di formazione dei prezzi strutturato sulla base del modello della concorrenza per il mercato, avrebbe quale conseguenza quella di innescare dinamiche anticoncorrenziali che, anziché ampliare la libertà di scelta dell’utente, la libertà di iniziativa economica nel settore sanitario e promuovere la sussidiarietà orizzontale, condurrebbero a una concentrazione dell’offerta privatistica dei servizi sanitari a vantaggio degli operatori più grandi, in grado cioè di realizzare quelle economie di scala necessarie a rendere sostenibile la contrazione delle tariffe e o il loro mancato adeguamento all’inflazione reale, nonché una potenziale riduzione della qualità dei servizi offerti a diretto vantaggio degli erogatori pubblici che potrebbero così consolidare la propria posizione privilegiata di erogatore nell’ambito del servizio pubblico.

Le attuali limitazioni alla libertà di scelta dell’erogatore sono giustificate dall’esigenza di programmazione su cui si regge l’intero sistema, con la conseguenza che solo attraverso un allentamento di tali vincoli e una piena equiparazione tra operatori pubblici e privati.

Al contrario, l’introduzione di regole volte a rendere periodicamente contendibili i budget assegnati ai singoli erogatori privati, laddove non corrispondente, alternativamente, ad una riperimetrazione dell’offerta pubblica esistente o ad un maggiore fabbisogno e dunque ad un ampliamento delle risorse disponibili, pare del tutto ininfluente ai fini dell’esercizio del diritto in parola e anzi tale da ridurre progressivamente il pluralismo degli erogatori privati nell’ambito del servizio pubblico e, con esso, gli spazi riservati all’esercizio della sovranità della persona.

Conclusioni

Le considerazioni sin qui svolte portano a ritenere che la soluzione recepita non è in linea né con i cardini dell’impianto normativo vigente, né con la giurisprudenza amministrativa, secondo cui il sistema delineato dal d.lgs. 502/1992 configura una fattispecie concessoria peculiare, che resta impermeabile ai princìpi e alle regole europee a tutela della concorrenza.

L’esigenza di promuovere la concorrenza nel settore sanitario evitando blocchi anticoncorrenziali implica la necessità di rimodellare l’organizzazione dei servizi sanitari in funzione del massimo godimento possibile del diritto alla salute, attraverso la rivalutazione periodica del fabbisogno, concedendo nuovi accreditamenti solo sulla base di eventuali maggiori esigenze, non coperte dall’attuale offerta pubblico-privata e nei limiti delle risorse disponibili (evitando la saturazione della maggiore domanda sanitaria ad opera dei soli operatori già accreditati, tali da determinare concentrazioni).

La promozione della concorrenza in funzione esclusivamente della riduzione dei costi sostenuti dagli operatori privati al fine di assorbire le inefficienze del settore pubblico, pertanto, non appare affatto coerente con la segnalata natura multiforme della tutela della concorrenza poiché risponde, esclusivamente, a logiche di efficienza della spesa senza considerare l’esistenza di ulteriori valori e interessi che lo stesso principio concorrenziale dovrebbe essere in grado di promuovere nell’ambito del SSN (dovendosi piuttosto riperimetrare all’interno del SSN, il ruolo degli erogatori pubblici e di quelli privati in un’ottica di una piena concorrenza imperniata sul diritto di scelta degli utenti, tale da innescare dinamiche che aumentino il pluralismo all’interno della componente privata al fine di promuovere la sussidiarietà orizzontale).

L’affidamento ai privati dell’erogazione dei servizi sanitari in convenzione con il SSN secondo le logiche degli appalti pubblici o delle concessioni di servizi non pare rappresentare una soluzione a tale problema, determinando piuttosto dinamiche competitive in grado di indebolire sia la componente privatistica sia il servizio pubblico nel suo complesso.

Tale soluzione, come si è detto, non la impone il diritto europeo che, anzi, pone un’esplicita eccezione con riferimento al settore sanitario.

In questa prospettiva emerge l’esigenza di ridisegnare il sistema, privilegiando un modello di amministrazione oggettivata che permetta, da un lato, alle istituzioni pubbliche di governare l’offerta dei servizi sanitari in funzione della reale evoluzione dei fabbisogni, allocando in modo efficiente le risorse e preservando l’universalità del servizio; dall’altro, a tutti gli erogatori di sviluppare un’offerta sinergica, qualitativamente e tecnologicamente adeguata, in grado di cogliere le opportunità derivanti non solo dal collegamento tra ricerca accademica e assistenza clinica, ma anche dalle potenzialità offerte dal perseguimento di una strategia di sviluppo integrato dei servizi di prevenzione, di riabilitazione e per la terza età secondo i migliori standard internazionali.

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Sulla concorrenza in Sanità

Published On: 7 Marzo 2024

L’art. 15 della L. n. 118/2022 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021) ha apportato alcune modifiche all’attuale sistema di accreditamento e convenzionamento delle strutture private, introducendo il principio del previo esperimento di procedure selettive, che spetterà alle singole Regioni declinare in concreto.

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 8-quinquies del d.lgs. 502/1992, introdotto dal citato art. 15 della l. 118/2022, mira a dare vita a un mercato, prevedendo che le Regioni debbano individuare i soggetti privati accreditati ai fini della stipula degli accordi contrattuali, “… mediante procedure trasparenti, eque e non discriminatorie, previa pubblicazione da parte delle regioni di un avviso contenente criteri oggettivi di selezione, che valorizzino prioritariamente la qualità delle specifiche prestazioni sanitarie da erogare. La selezione di tali soggetti deve essere effettuata periodicamente, tenuto conto della programmazione sanitaria e sulla base di verifiche delle eventuali esigenze di razionalizzazione della rete in convenzionamento e, per i soggetti già titolari di accordi contrattuali, dell’attività svolta.

In sostanza è prevista una vera e propria gara pubblica che, fuori dalla discrezionalità, impone anche alle strutture già accreditate la necessità di sottoporsi «periodicamente» (non viene stabilito un criterio temporale) a delle selezioni con le Regioni, che dovranno tener conto della «programmazione sanitaria regionale» e di «verifiche delle eventuali esigenze di razionalizzazione della rete in convenzionamento». Insomma, una serie di requisiti innovativi, ma piuttosto generici, che sembrano lasciar mano libera alle regioni.

Il Decreto del Ministro della salute 19 dicembre 2022, in attuazione della citata disposizione, ha dettato le modalità di valutazione in termini di qualità, sicurezza e appropriatezza delle attività erogate, da applicarsi, in caso di richiesta di accreditamento di nuove strutture pubbliche e private o per l’avvio di nuove attività in strutture preesistenti (art. 2) e per la selezione dei soggetti privati ai fini della stipula degli accordi contrattuali (art. 3).

Le valutazioni relative agli articoli 2 e 3 verranno effettuate, tra l’altro, sulla base di elementi definiti dall’allegato A (art. 2 – rilascio di nuovi accreditamenti) e dall’allegato B (art. 3 – stipula accordi contrattuali).

A tal proposito, il Decreto del Ministro della salute 26 settembre 2023 aveva già prorogato al 31 marzo 2024 il termine per l’adeguamento dell’ordinamento regionale alle disposizioni normative di cui all’articolo 5, comma 1 del DM 19 dicembre 2022; mentre l’articolo 4, comma 7 bis del D.L. Milleproroghe, convertito con modificazioni dalla L. 23 febbraio 2024, n. 18 lo ha ulteriormente rinviato al 31 dicembre 2024.

Nella disciplina vigente non si rinvengono richiami espliciti alla concorrenza nel settore dei servizi sanitari, poiché il d.lgs. 502/1992, così come modificato dal d.lgs. 517/1993 e dalla l. 724/1994 era improntato sul diritto dell’assistito alla libera scelta dell’erogatore e sul rilascio dell’accreditamento agli operatori economici privati, previo accertamento del mero possesso dei requisiti minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie e accettazione del sistema della remunerazione, avendo delineato inizialmente un sistema aperto e concorrenziale (detto di “quasi-mercato”).

Questo sistema è stato poi abbandonato con l’entrata in vigore del d.lgs. 229/1999, che ha ridimensionato l’ambito di esercizio della libera scelta dell’utente e il diritto di libertà di iniziativa economica tutelandoli, esclusivamente, nei limiti della programmazione sanitaria.

Le superiori considerazioni portano a ritenere che l’interesse sotteso alla promozione della concorrenza all’interno del servizio sanitario pubblico è, da un lato, estraneo al contenuto essenziale del diritto alla salute e, dall’altro, recessivo in presenza di interessi confliggenti con l’obiettivo di preservare la sostenibilità nel tempo di tale servizio (Corte Cost. 26 maggio 2005, n. 200; 2 aprile 2009, n. 94; 27 luglio 2011, n. 248; 26 ottobre 2012, n. 236).

La stessa Corte di Giustizia UE, a tal proposito, ha ritenuto che l’introduzione di limitazioni alla libera prestazione dei servizi può risultare giustificata e compatibile con l’ordinamento euro unitario, se sorretta da una ragione imperativa di pubblico interesse qual è “l’obiettivo di mantenere, per ragioni di sanità pubblica, un servizio medico e ospedaliero equilibrato e accessibile a tutti” che “può rientrare parimenti in una delle deroghe giustificate da motivi di sanità pubblica, se un siffatto obiettivo contribuisce al conseguimento di un livello elevato di tutela della salute” (in tal senso CGUE, 5 dicembre 2013, C-159/12 e C-162/12; 17 giugno 1997, C-70/95. 76 CGUE, 11 settembre 2008, C-141/07; Id., 1 giugno 2010, C-570/07 e C-571/07.77 CGUE, 11 dicembre 2014, C-113/13).

L’accreditamento disciplinato dall’art. 8-quater e il successivo accordo contrattuale ex art. 8-quinquies del d. lgs. 502/1992 configurano uno schema concessorio, che implica l’esercizio di un potere discrezionale, consistente in un duplice vaglio di natura tecnica e di carattere politico programmatorio, vincolato sia al fabbisogno sanitario che alle risorse disponibili, per effetto del quale si configura un nesso di collegamento organico e funzionale della struttura accreditata con il servizio pubblico. (Cons. Stato, Sez. III, 27 giugno 2022, n. 5230; Cons. Stato, Sez. III, 21 ottobre 2020, n. 6372).

Sicché, ai fini dell’introduzione di meccanismi competitivi tali da permettere la contendibilità dei budget regionali tra soggetti accreditati, occorre verificare l’autonomia di tali atti e, dunque, la loro scindibilità.

Gli atti in questione, tuttavia, non sono scindibili a causa dello stretto collegamento intercorrente tra l’accreditamento istituzionale e l’accordo contrattuale, ribadito dalla Giurisprudenza secondo cui «… una volta individuati i soggetti accreditati, tali operatori devono essere messi in condizione di stipulare contratti con l’amministrazione non potendo la Regione rivolgersi a tempo indefinito solo ai soggetti che per anni hanno avuto accesso al mercato e fare riferimento solo al criterio della spesa storica che evidentemente avvantaggia solo coloro che operano in un mercato chiuso all’accesso di nuovi operatori…; dovendo la ripartizione dei budget tra i soggetti accreditati operare, in base ad appositi criteri idonei a garantire condizioni di parità tra i soggetti...» (CGARS, 5 giugno 2019, n. 520; più recentemente ripresa da CGARS, 23 luglio 2021, n. 745; ed inoltre tra le tante Cons. di Stato n. 4574/2013).

Ciò comporta, da un lato che le Amministrazioni regionali non possono accreditare un numero maggiore di erogatori privati rispetto alla programmazione dei fabbisogni e alle risorse destinate alla loro copertura; dall’altro, l’impossibilità di individuare gli erogatori privati con cui stipulare gli accordi contrattuali, attraverso una selezione competitiva tra più soggetti accreditati (posto che ciascuno di essi, per il solo fatto di avere ottenuto l’accreditamento, vanta una aspettativa giuridicamente tutelata alla stipula del contratto).

Principio della concorrenzialità nel SSN e situazioni giuridiche correlate al sistema di accreditamento e convenzionamento

Il legislatore, con l’articolo 15 della l. n. 118/2022, non ha affatto considerato la natura delle situazioni giuridiche vantate dai soggetti titolari dell’accreditamento rispetto alla successiva stipula degli accordi contrattuali, né ha tenuto conto del nesso di accessorietà e interdipendenza esistente fra tale provvedimento e l’accordo ex art. 8-quinquies del d. lgs. 502/1992.

Tale omissione rischia di compromettere la compatibilità del nuovo testo del comma 1-bis dell’art. 8-quinquies del d.lgs. 502/1992, con la peculiare fattispecie concessoria rinvenibile nel nostro ordinamento amministrativo sanitario, che non è affatto riconducibile, neppure in linea di principio, alle fattispecie disciplinate dalla Direttiva 23/2014 e dalla normativa di recepimento (d.lgs. 50/2016).

Il sistema di accreditamento e convenzionamento, delineando un rapporto contrattuale conformato da finalità pubblicistiche, in virtù del quale mediante l’accreditamento l’offerta di prestazioni sanitarie da parte della struttura privata viene inserita nell’ambito della programmazione sanitaria pubblica, si sostanzia in una deroga alla disciplina concernente l’acquisto dei servizi da parte della pubblica amministrazione secondo le regole dell’evidenza pubblica, che si giustifica in parte con ragioni di natura strutturale connesse all’operatività nell’ambito del servizio pubblico del principio di libera scelta dell’utente (e dunque, alla diversa dinamica attraverso cui si realizza l’erogazione delle prestazioni a carico del SSN) e in parte con la non equiparabilità di tale fattispecie concessoria con la concessione di servizi disciplinata dalla Direttiva 23/2014.

Sul piano del diritto positivo occorre evidenziare che il paragrafo 13 delle premesse della Direttiva 23/2014, al paragrafo 22 e all’art. 2, comma 2, lett. f), esclude dal proprio ambito di applicazione «i regimi in cui tutti gli operatori che soddisfano determinate condizioni sono autorizzati a svolgere un determinato compito, senza selettività, come i sistemi basati sulla libera scelta del cliente e i sistemi di buoni servizio […] compresi quelli fondati su accordi giuridici tra l’autorità pubblica e gli operatori economici. Tali sistemi si basano generalmente su una decisione dell’autorità pubblica che definisce le condizioni trasparenti e non discriminatorie applicabili all’accesso continuo da parte degli operatori economici alla fornitura di servizi specifici, quali i servizi sociali, consentendo ai clienti di scegliere tra tali operatori».

L’esclusione del concorso dei privati all’erogazione delle prestazioni a carico del SSN, dall’ambito di applicabilità del d.lgs. 50/2016 è stata più volte confermata dalla Giurisprudenza, sulla base: a) del fatto che “… gli operatori economici interessati non sono selezionati dal “mercato” ma sono comunque quelli, e solo quelli, già destinatari di un provvedimento di natura concessoria, qual è l’accreditamento istituzionale, in forza del fabbisogno sanitario stabilito secondo le funzioni sanitarie individuate dal Piano sanitario regionale per garantire i livelli essenziali e uniformi di assistenza …” (Cons. di Stato Sez. III, 26 aprile 2022, n. 3183; Cons. Stato, Sez. III, 19 marzo 2018, n. 1739); b) dalla peculiare natura pubblicistica della fattispecie concessoria in parola, che sebbene astrattamente riconducibile alla concessione di pubblico servizio si distanzia da quest’ultima, in quanto il relativo provvedimento “… non comporta l’attribuzione in sé e per sé di un vantaggio economico, dato che l’obbligo di erogare prestazioni sanitarie per conto del SSR, e il correlativo diritto di esigerne la remunerazione, discende solo dal successivo contratto con il quale l’Amministrazione, previa definizione del budget, vincola il privato a concorrere ad assicurare i livelli di assistenza sul territorio”) (in tal senso TAR Lazio, Latina, Sez. I, 25 novembre 2020, n. 432).

A tal proposito, peraltro, neppure l’accordo ex art. 8-quinquies sembra suscettibile di applicazione del d.lgs. 50/2016 e della Direttiva 24/2014, in quanto funzionale non a configurare una relazione contrattuale a prestazioni corrispettive, bensì a fissare, unilateralmente, il tetto di spesa assegnato all’erogatore privato, imprimendo un vincolo di destinazione sulle risorse pubbliche senza l’obbligo di erogare prestazioni eccedenti il tetto negozialmente stabilito (Cass., Sez. I, 19 marzo 2020, n. 7469; Cass., Sez. III, 29 ottobre, 2019, n. 27608).

Nel contesto normativo descritto si pone il nuovo comma 1-bis dell’art. 8-quinquies del d.lgs. 502/1992, introdotto dall’art. 15 della l. 118/2022, che si fonda su di una visione meramente utilitaristica della concorrenza, secondo cui la contendibilità delle risorse del SSN tra soggetti accreditati risulterebbe funzionale al conseguimento, da parte del settore pubblico acquirente, delle prestazioni erogate dai privati, del cosiddetto surplus del consumatore, che non è compatibile con l’art. 32 Cost.

Le previsioni della l. 118/2022, inoltre, se erroneamente interpretate dalle Regioni in sede applicativa, potrebbero determinare il rischio di concentrazioni in favore di pochi gruppi, a discapito degli operatori privati di dimensioni più contenute e del cosiddetto privato sociale, riducendo piuttosto che aumentare la qualità dell’offerta dei servizi.

Altri profili di criticità

Altri profili di criticità che emergono dal citato articolo 15 della l. 118/2022 afferiscono ai rischi di seguito indicati.

Un primo rischio è di scivolare verso una sorta di disciplina speciale degli accordi contrattuali ex art. 8-quinquies d.lgs. 502/1992 e dell’erogazione delle prestazioni a carico del servizio pubblico che, pur non richiesta dalle direttive europee, segna i presupposti per una fuoriuscita di tali accordi e dello stesso accreditamento istituzionale, dall’alveo pubblicistico della concessione amministrativa e della sovvenzione pubblica, nell’ottica di una ricostruzione che colloca il rapporto giuridico che lega il privato erogatore all’amministrazione sul binario della sinallagmaticità delle reciproche prestazioni con effetti nient’affatto trascurabili (basti a tal proposito considerare la possibilità per i privati di invocare, sulla base di tale binario, l’applicazione dei princìpi civilistici in materia di rapporti negoziali a prestazioni corrispettive, per esempio in relazione alla mancata remunerazione delle prestazioni c.d. “extra budget”).

Un secondo rischio è riconducibile alla scelta del legislatore di collocare la “concorrenza” in sanità nella sola dimensione della “concorrenza per il mercato”, preservando l’assetto monopolistico del settore pubblico e rinunciando – per evidenti ragioni connesse alle esigenze di bilancio – a dar seguito a quel disegno iniziale, tracciato dal d.lgs. 502/1992 e dalla l. 724/1994, che vedeva gli operatori privati – purché in possesso di determinati standard qualitativi – operare in regime di libero concorso con le strutture pubbliche e di libera scelta degli utenti.

Tale disegno già in passato aveva dovuto cedere il passo ad un modello di concorrenza amministrata dettato dalla crescente esigenza di contenimento della spesa sanitaria, senza però mai giungere a porre in discussione l’assunto secondo cui tale sistema – benché riconducibile ad una fattispecie concessoria alla stregua del modello suppletivo di intervento dei privati nell’erogazione delle prestazioni introdotto dalla l. 833/1978 – fosse comunque da ritenersi un’eccezione alla disciplina dell’evidenza pubblica e, in particolare, del d.lgs. 50/2016.

Un terzo rischio è quello di negare, se non in tutto almeno in parte, il carattere peculiare del servizio pubblico in questione e dei rapporti giuridici di natura certamente pubblicistica che legano gli operatori privati a quest’ultimo.

Come si è già evidenziato, diversamente dallo schema contrattuale della concessione di servizi, l’offerta di prestazioni sanitarie, rientrando nell’ambito di una programmazione sanitaria, risulta inscindibilmente connessa al preventivo accreditamento istituzionale delle strutture private (reggendosi su un rapporto di circolarità tra accreditamento e accordo contrattuale che, da un lato, è assoggettata a tariffe definite in base a criteri predeterminati dal legislatore statale e poi specificati a livello regionale e, dall’altro, risulta soggetta a un tetto massimo di spesa al superamento del quale – a conferma dell’assenza di sinallagmaticità nell’ambito del suddetto rapporto giuridico – non è prevista alcuna remunerazione in favore del privato, neanche a titolo di arricchimento senza causa).

La portata di tali criticità si coglie dal fatto che le previsioni della l. 118/2022 si inquadrano in un contesto di tendenziale stagnazione del finanziamento del ssn e sono destinate a impattare sugli attuali assetti dell’organizzazione del servizio sanitario, rimodulando i rapporti tra pubblico e privato nella direzione di un definitivo abbandono del modello del servizio pubblico oggettivo nel quale pubblico e privato compartecipano all’erogazione di quest’ultimo sulla base di una dinamica concorrenziale che vede pur sempre l’utente come decisore ultimo; in favore di un modello fondato sul rafforzamento dei profili soggettivamente pubblici del servizio, a cui fa da corollario la contestuale apertura alle logiche di mercato sul fronte della selezione degli erogatori privati, che sono chiamati a supplire alle carenze degli erogatori pubblici (laddove però la scelta di tali operatori non è più rimessa in capo all’utente bensì in larga parte soggetta al filtro dell’amministrazione regionale, alla stregua di una comune stazione appaltante).

Tale tendenza rappresenta un deciso passo indietro sul fronte della sussidiarietà orizzontale stante che, sulla base del peculiare sistema di remunerazione delle prestazioni sanitarie, non pare che l’introduzione di elementi di contendibilità degli accordi ex art. 8-quinquies che gli erogatori privati concludono con gli enti del SSN, possa condurre a risparmi di spesa strutturali per l’erario (ciò, ovviamente, laddove non venga messo in discussione l’attuale sistema amministrato di remunerazione delle prestazioni sanitarie a favore di un meccanismo di formazione dei prezzi sul nuovo mercato creato dalla disposizione in commento).

Il superamento dell’attuale regime amministrato della remunerazione delle prestazioni erogate dai privati accreditati a carico del SSN, con un meccanismo di formazione dei prezzi strutturato sulla base del modello della concorrenza per il mercato, avrebbe quale conseguenza quella di innescare dinamiche anticoncorrenziali che, anziché ampliare la libertà di scelta dell’utente, la libertà di iniziativa economica nel settore sanitario e promuovere la sussidiarietà orizzontale, condurrebbero a una concentrazione dell’offerta privatistica dei servizi sanitari a vantaggio degli operatori più grandi, in grado cioè di realizzare quelle economie di scala necessarie a rendere sostenibile la contrazione delle tariffe e o il loro mancato adeguamento all’inflazione reale, nonché una potenziale riduzione della qualità dei servizi offerti a diretto vantaggio degli erogatori pubblici che potrebbero così consolidare la propria posizione privilegiata di erogatore nell’ambito del servizio pubblico.

Le attuali limitazioni alla libertà di scelta dell’erogatore sono giustificate dall’esigenza di programmazione su cui si regge l’intero sistema, con la conseguenza che solo attraverso un allentamento di tali vincoli e una piena equiparazione tra operatori pubblici e privati.

Al contrario, l’introduzione di regole volte a rendere periodicamente contendibili i budget assegnati ai singoli erogatori privati, laddove non corrispondente, alternativamente, ad una riperimetrazione dell’offerta pubblica esistente o ad un maggiore fabbisogno e dunque ad un ampliamento delle risorse disponibili, pare del tutto ininfluente ai fini dell’esercizio del diritto in parola e anzi tale da ridurre progressivamente il pluralismo degli erogatori privati nell’ambito del servizio pubblico e, con esso, gli spazi riservati all’esercizio della sovranità della persona.

Conclusioni

Le considerazioni sin qui svolte portano a ritenere che la soluzione recepita non è in linea né con i cardini dell’impianto normativo vigente, né con la giurisprudenza amministrativa, secondo cui il sistema delineato dal d.lgs. 502/1992 configura una fattispecie concessoria peculiare, che resta impermeabile ai princìpi e alle regole europee a tutela della concorrenza.

L’esigenza di promuovere la concorrenza nel settore sanitario evitando blocchi anticoncorrenziali implica la necessità di rimodellare l’organizzazione dei servizi sanitari in funzione del massimo godimento possibile del diritto alla salute, attraverso la rivalutazione periodica del fabbisogno, concedendo nuovi accreditamenti solo sulla base di eventuali maggiori esigenze, non coperte dall’attuale offerta pubblico-privata e nei limiti delle risorse disponibili (evitando la saturazione della maggiore domanda sanitaria ad opera dei soli operatori già accreditati, tali da determinare concentrazioni).

La promozione della concorrenza in funzione esclusivamente della riduzione dei costi sostenuti dagli operatori privati al fine di assorbire le inefficienze del settore pubblico, pertanto, non appare affatto coerente con la segnalata natura multiforme della tutela della concorrenza poiché risponde, esclusivamente, a logiche di efficienza della spesa senza considerare l’esistenza di ulteriori valori e interessi che lo stesso principio concorrenziale dovrebbe essere in grado di promuovere nell’ambito del SSN (dovendosi piuttosto riperimetrare all’interno del SSN, il ruolo degli erogatori pubblici e di quelli privati in un’ottica di una piena concorrenza imperniata sul diritto di scelta degli utenti, tale da innescare dinamiche che aumentino il pluralismo all’interno della componente privata al fine di promuovere la sussidiarietà orizzontale).

L’affidamento ai privati dell’erogazione dei servizi sanitari in convenzione con il SSN secondo le logiche degli appalti pubblici o delle concessioni di servizi non pare rappresentare una soluzione a tale problema, determinando piuttosto dinamiche competitive in grado di indebolire sia la componente privatistica sia il servizio pubblico nel suo complesso.

Tale soluzione, come si è detto, non la impone il diritto europeo che, anzi, pone un’esplicita eccezione con riferimento al settore sanitario.

In questa prospettiva emerge l’esigenza di ridisegnare il sistema, privilegiando un modello di amministrazione oggettivata che permetta, da un lato, alle istituzioni pubbliche di governare l’offerta dei servizi sanitari in funzione della reale evoluzione dei fabbisogni, allocando in modo efficiente le risorse e preservando l’universalità del servizio; dall’altro, a tutti gli erogatori di sviluppare un’offerta sinergica, qualitativamente e tecnologicamente adeguata, in grado di cogliere le opportunità derivanti non solo dal collegamento tra ricerca accademica e assistenza clinica, ma anche dalle potenzialità offerte dal perseguimento di una strategia di sviluppo integrato dei servizi di prevenzione, di riabilitazione e per la terza età secondo i migliori standard internazionali.

About the Author: Rosario Calanni