Sull’impugnabilità del secondo avviso di intimazione relativo alle cartelle di pagamento

Published On: 28 Giugno 2024Categories: Diritto tributario

Con la recentissima ordinanza n. 16743 del 17 giugno 2024 la Sezione Tributaria della Suprema Corte si è pronunciata sulla questione relativa all’impugnabilità del secondo avviso di intimazione per far valere la prescrizione maturata tra la notifica delle singole cartelle di pagamento in esso contenute ed il primo avviso di intimazione non impugnato.

La Suprema Corte con la summenzionata ordinanza ha statuito che “indipendentemente dall’impugnazione del primo avviso di intimazione, il contribuente ben può far valere in sede di impugnazione del secondo avviso di intimazione la prescrizione eventualmente maturata – peraltro, nell’ordinario termine di prescrizione dei singoli tributi (cfr. Cass. S.U. n. 23397 del 17/11/2016) – dalla data di notificazione delle singole cartelle di pagamento a quella della notifica del primo avviso di intimazione.”.

La Suprema Corte, per addivenire alla decisione assunta, ha richiamato numerose pronunce sulla possibile impugnazione da parte del contribuente di un atto, nella specie un’intimazione di pagamento, non indicato tra gli atti impugnabili espressamente elencati dall’art. 19 del D. Lgs. n. 546/1992.

Consolidata giurisprudenza di legittimità ha confermato nel tempo che, in tema di contenzioso tributario, l’impugnazione di un atto che non rientri tra quelli tassativamente elencati dal succitato art. 19, ma che sia espressivo di una pretesa tributaria ormai definita, “è una facoltà e non un onere, costituendo un’estensione della tutela, sicché la sua omissione non determina la cristallizzazione della pretesa tributaria, né preclude la successiva impugnazione di uno degli atti tipici previsti dall’art. 19.”. (Cass. n. 2616/2015, n. 26129/2017, 1230/2020).

Nel caso di specie, “l’avviso di intimazione, infatti, sebbene contenente l’esplicitazione di una ben definita pretesa tributaria, non è un atto previsto tra quelli di cui all’art. 19 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, con conseguente facoltà e non obbligo di impugnazione”.

Ciò nondimeno, la Corte precisa, sotto il profilo sostanziale, un importante principio e cioè che “l’avviso di intimazione integra un sollecito di pagamento e, in quanto tale, è idoneo ad interrompere il decorso della prescrizione.”.

In conclusione,  la Corte, con l’ordinanza n. 16743 del 17 giugno 2024, ha stabilito che il  contribuente “non aveva l’onere d’impugnare il primo avviso di intimazione per fare valere l’eventuale prescrizione dei crediti tributari maturati tra la data di notificazione delle cartelle di pagamento e quella di notificazione del primo avviso di intimazione, come ritenuto erroneamente dalla CTR”, ritenendo che l’eccezione di prescrizione è stata correttamente proposta in sede di impugnazione del successivo avviso di intimazione, spettando ai giudici di secondo grado verificare se detta prescrizione, nel caso di specie, fosse effettivamente maturata.

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Sull’impugnabilità del secondo avviso di intimazione relativo alle cartelle di pagamento

Published On: 28 Giugno 2024

Con la recentissima ordinanza n. 16743 del 17 giugno 2024 la Sezione Tributaria della Suprema Corte si è pronunciata sulla questione relativa all’impugnabilità del secondo avviso di intimazione per far valere la prescrizione maturata tra la notifica delle singole cartelle di pagamento in esso contenute ed il primo avviso di intimazione non impugnato.

La Suprema Corte con la summenzionata ordinanza ha statuito che “indipendentemente dall’impugnazione del primo avviso di intimazione, il contribuente ben può far valere in sede di impugnazione del secondo avviso di intimazione la prescrizione eventualmente maturata – peraltro, nell’ordinario termine di prescrizione dei singoli tributi (cfr. Cass. S.U. n. 23397 del 17/11/2016) – dalla data di notificazione delle singole cartelle di pagamento a quella della notifica del primo avviso di intimazione.”.

La Suprema Corte, per addivenire alla decisione assunta, ha richiamato numerose pronunce sulla possibile impugnazione da parte del contribuente di un atto, nella specie un’intimazione di pagamento, non indicato tra gli atti impugnabili espressamente elencati dall’art. 19 del D. Lgs. n. 546/1992.

Consolidata giurisprudenza di legittimità ha confermato nel tempo che, in tema di contenzioso tributario, l’impugnazione di un atto che non rientri tra quelli tassativamente elencati dal succitato art. 19, ma che sia espressivo di una pretesa tributaria ormai definita, “è una facoltà e non un onere, costituendo un’estensione della tutela, sicché la sua omissione non determina la cristallizzazione della pretesa tributaria, né preclude la successiva impugnazione di uno degli atti tipici previsti dall’art. 19.”. (Cass. n. 2616/2015, n. 26129/2017, 1230/2020).

Nel caso di specie, “l’avviso di intimazione, infatti, sebbene contenente l’esplicitazione di una ben definita pretesa tributaria, non è un atto previsto tra quelli di cui all’art. 19 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, con conseguente facoltà e non obbligo di impugnazione”.

Ciò nondimeno, la Corte precisa, sotto il profilo sostanziale, un importante principio e cioè che “l’avviso di intimazione integra un sollecito di pagamento e, in quanto tale, è idoneo ad interrompere il decorso della prescrizione.”.

In conclusione,  la Corte, con l’ordinanza n. 16743 del 17 giugno 2024, ha stabilito che il  contribuente “non aveva l’onere d’impugnare il primo avviso di intimazione per fare valere l’eventuale prescrizione dei crediti tributari maturati tra la data di notificazione delle cartelle di pagamento e quella di notificazione del primo avviso di intimazione, come ritenuto erroneamente dalla CTR”, ritenendo che l’eccezione di prescrizione è stata correttamente proposta in sede di impugnazione del successivo avviso di intimazione, spettando ai giudici di secondo grado verificare se detta prescrizione, nel caso di specie, fosse effettivamente maturata.

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