Ultrattività della convenzione di lottizzazione e impatto urbanistico-edilizio delle nuove costruzioni
La Seconda Sezione del TAR Catania, con la recente sentenza n. 319 pubblicata il 21 gennaio 2024, nel pronunciarsi sulla legittimità o meno di un muro di cinta realizzato in assenza di permesso di costruire, ha offerto preziosi chiarimenti in ordine al principio di ultrattività della convenzione di lottizzazione, e sulla necessarietà del permesso di costruire per le nuove opere che producono significative trasformazioni urbanistiche e edilizie.
Il caso concreto
Nella vicenda sottoposta all’attenzione del TAR Catania era avvenuto che i ricorrenti/proprietari di un terreno, a seguito dell’approvazione con delibera consiliare di un piano di lottizzazione stipulavano con il Comune competente una convenzione di lottizzazione, ai sensi della quale si impegnavano a cedere gratuitamente al Comune le aeree necessarie per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, a seguito della realizzazione delle stesse con oneri a proprio carico.
La medesima convenzione contemplava altresì un termine pari a dieci anni per la realizzazione delle opere oggetto della convenzione, con successiva cessione a favore dell’Amministrazione resistente.
Allo scadere del termine previsto dalla convenzione, il Comune competente ometteva di richiedere la cessione delle opere ai privati lottizzanti, tuttavia proponendo loro – in data successiva – la “vendita delle aree nell’ambito di apposita procedura ablatoria”.
Successivamente, i privati, con l’intento di realizzare un muro di recinzione con cancello carrabile intorno all’aerea oggetto della materia del contendere, inviavano al Genio Civile la documentazione richiesta dalla normativa vigente con conseguente inizio dei lavori.
Il Comune – venuto a conoscenza dei lavori tramite l’espletamento di un sopralluogo – rilevava tuttavia la loro illegittimità, per l’assenza di permesso di costruire, e dunque con apposita diffida intimava la sospensione dei lavori con annessa demolizione delle opere già realizzate.
Pertanto, i privati impugnavano tale diffida davanti al TAR Catania.
Le contrapposte posizioni delle parti
Secondo le tesi e censure di parte ricorrente, l’Amministrazione resistente aveva – per un verso – illegittimamente agito senza tener conto che il terreno su cui si stavano svolgendo i lavori di edificazione era di proprietà privata e non pubblica, dal momento che era nel frattanto scaduta la convenzione di lottizzazione, siccome soggetta alla disciplina della prescrizione (che nel caso di specie sarebbe decorsa dall’ultimazione delle opere di urbanizzazione e dunque maturata ben prima dei lavori di recinzione contestati dal Comune); e per altro verso, erroneamente trascurato che la costruzione di un muro di cinta non abbisogna(va) di permesso di costruire, rientrando nell’edilizia libera.
Secondo il Comune resistente, invece, il proprio operato era legittimo, in quanto per un primo aspetto, i privati-ricorrenti, in adempimento della convenzione di lottizzazione, erano (ancora) tenuti cedere gratuitamente il terreno in questione all’Amministrazione, innanzitutto perché la convenzione rappresenta un presupposto imprescindibile per il conseguimento dell’autorizzazione edilizia, ma anche perché, trattandosi dell’esercizio di un potere pubblico, non può trovare applicazione la disciplina della prescrizione. Per un secondo aspetto, poi, il Comune eccepiva anche che la costruzione di muri di recinzione necessita dell’autorizzazione edilizia ogni qualvolta l’opera è tale da determinare un mutamento urbanistico ed edilizio del territorio.
Il quadro giurisprudenziale di riferimento
Il Collegio decidente, per risolvere la vertenza, ha ritenuto di ripercorrere i principali approdi della giurisprudenza amministrativa formatasi in tema di (durata, efficacia e validità) convenzioni di lottizzazione (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sentenze n. 8328/2023; n. 6944/2023; 11734/2022), rammentando in particolare e in sintesi che:
- “…è errata la tesi secondo cui la scadenza del termine decennale priverebbe di efficacia la convenzione edilizia…”, essendo di contro consolidato – per la giurisprudenza – “il principio di ultrattività degli effetti delle convenzioni urbanistiche”;
- la giurisprudenza infatti è ormai pacifica nel ritenere che a) il termine decennale menzionato previsto ex lege dall’art. 16 della legge n. 1150 del 1942, avuto riguardo alla durata dei piani particolareggiati, è applicabile anche in materia di convenzioni di lottizzazione ex art. 28; b) tale termine decennale di efficacia si applica solo alle disposizioni di contenuto espropriativo, non anche alle prescrizioni urbanistiche di piano, che rimangono pienamente operanti e vincolanti sino all’approvazione di un nuovo piano attuativo;
- col ché, “…alla scadenza del termine di efficacia sopravvivono la destinazione di zona, la destinazione ad uso pubblico di un bene privato, gli allineamenti, le prescrizioni di ordine generale e quant’altro attenga all’armonico assetto del territorio, trattandosi di misure che devono rimanere inalterate fino all’intervento di una nuova pianificazione, non essendo la stessa condizionata all’eventuale scadenza di vincoli espropriativi o di altra natura (Cons. Stato Sez. IV, Sent. 10 novembre 2020, n. 6915); è stato altresì precisato in generale che le conseguenze della scadenza dell’efficacia del piano attuativo (ovvero dei piani a questo equiparati) si esauriscono nell’ambito della sola disciplina urbanistica, non potendo invece incidere sulla validità ed efficacia delle obbligazioni assunte dai soggetti attuatori degli interventi. Quindi, resta in vigore il complesso delle prescrizioni in cui questo si articola, in particolare per quanto concerne gli obblighi correlati alla cessione delle aree destinate alle opere di urbanizzazione (Cons. Stato, sez. IV, 29 marzo 2019, n. 2084; Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 2018, n. 3672; Cons. Stato, Ad. Plen., 20 luglio 2014, n. 28)...”;
- pertanto, “la convenzione, per quanto riguarda le obbligazioni ivi previste, resta valida ed efficace e suscettibile di esecuzione anche oltre il decennio, eventualmente mediante l’azione di adempimento – ad esempio in caso di mancata realizzazione delle opere di urbanizzazione –, oppure mediante l’azione per l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di trasferire al Comune i terreni privati da destinare a standard urbanistici, ex art. 2932 c.c. La scadenza del termine per l’ultimazione dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione previste in una convenzione urbanistica non fa venire meno la relativa obbligazione, mentre proprio da tale momento, inizia a decorrere l’ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi dell’art. 2946 c.c.”;
- e ancora “il fatto che il privato, in mancanza delle ipotesi legali che giustificano la risoluzione dell’accordo (cfr. ad esempio Cons. Stato, sez. IV, 31 luglio 2023, n. 7435) e per sua scelta, decida di non sfruttare i diritti edificatori riconosciuti in convenzione, non fa venire meno l’obbligo di dare esecuzione agli impegni assunti verso l’ente locale che continuano a trovare la loro fonte e giustificazione causale nella convenzione di lottizzazione la cui ultrattività, come si è visto, in attuazione del complessivo programma negoziale, continua nel tempo a giustificare le prestazioni eseguite dal privato in favore dell’ente locale, anche se costui non abbia inteso avvalersi dei benefici che discendono dal medesimo accordo”;
- “non vi sono norme di legge né disposizioni di carattere pattizio che prevedono, nel caso di specie, alla scadenza del decennio, un effetto di risoluzione automatica della convenzione di lottizzazione e degli atti traslativi eventualmente compiuti nelle more in adempimento della stessa e tanto meno è previsto un meccanismo di ritrasferimento automatico degli immobili ceduti al comune, operazione, questa, che richiede il consenso del Comune in sede di rinegoziazione complessiva degli accordi assunti”;
- “non è configurabile una mancanza di causa sopravvenuta nei trasferimenti immobiliari in favore del Comune poiché, a fronte di tali alienazioni, la convenzione ha previsto l’esercizio dello ius edificandi sui lotti di proprietà privata nell’ambito di un programma che resta prioritariamente orientato a finalità di interesse pubblico rappresentate dalla attuazione di previsioni urbanistiche, sebbene con moduli consensuali: il non avvalersi di tale facoltà è l’effetto di una decisione della parte privata ma tale scelta non incide sulla causa della convenzione che sussisteva nel momento genetico della stipula e non è stata alterata nello svolgimento funzionale del rapporto, attenendo al piano fattuale e non giuridico la scelta insindacabile della parte di non esercitare i diritti riconosciuti dalla convenzione, a fronte della cessione delle aree a standard che ne rendono possibile l’esercizio”;
- “il fatto poi che il Comune, in presenza di una cessione di aree anticipata non seguita dalla realizzazione delle opere private, acquisisca la proprietà di beni privati senza esproprio e senza pagare la correlata indennità, non è altro che un effetto, da altra angolazione, della scelta soggettiva del privato lottizzante di non avvalersi delle utilità economiche derivanti dalla stipula della convenzione cui si correla la cessione delle aree a standard. Pertanto non si tratta di una conseguenza del meccanismo della cessione anticipata – che tutela la parte pubblica da possibili successive inadempienze dei privati lottizzanti – ma un effetto delle scelte soggettive di chi, pur avendo conseguito il diritto di costruire in forza della stipula della convenzione, rinuncia alla facoltà di un loro sfruttamento economico e accetta le conseguenze per sé pregiudizievoli delle operazioni già poste in essere che, anche per la loro valenza pubblicistica, sono retrattabili solo per mutuo dissenso”.
La decisione nel caso concreto
Il Collegio, sulla scorta delle superiori coordinate ermeneutiche, ha respinto il ricorso, considerando maggiormente condivisibili le argomentazioni dell’Amministrazione resistente.
Per un primo profilo, invero, il Giudice Amministrativo ha affermato che “…la convenzione di lottizzazione in questione non ha cessato di produrre effetti con riferimento ai diritti e alle obbligazioni con essa pattuite e ciò in ossequio al principio generale di vincolatività dei contratti…” e inoltre che “…l’ultrattività del piano di lottizzazione si giustifica anche alla luce dell’esigenza di un governo del territorio improntato all’interesse pubblico, essendo inconcepibile ammettere che un imprenditore privato possa godere dei profitti di una lottizzazione a danno della collettività…dal che discenderebbe il principio di imprescrittibilità degli obblighi di cessione assunti dal privato a mezzo di convenzioni urbanistiche…”.
Pertanto, sotto tale aspetto, ha ritenuto legittimo il comportamento del Comune e corrette le sue tesi difensive, così respingendo l’eccezione di prescrizione sollevata dai ricorrenti.
Quanto al secondo profilo, relativo all’inquadramento del muro di cinta tra gli interventi che abbisognano (o meno) di “permesso di costruire”, il Tribunale Amministrativo ha preliminarmente rammentato come, in siffatte evenienze, “…più che all’estratto genus o tipologia di intervento edilizio…occorre fare riferimento all’impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul territorio, dovendosi qualificare l’intervento edilizio quale nuova costruzione – con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi – quante volte abbia l’effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche ed edilizie…” (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, n.4169 del 9 luglio 2018).
E, passando al concreto caso esaminato, ha ritenuto che “…considerando le dimensioni, la tipologia, la consistenza, la finalità e l’ingombro, l’intervento in questione è di tale portata da costituire un rilevante processo di trasformazione urbana del territorio, comportando la realizzazione di una struttura edilizia sostanzialmente nuova…”.
Anche sotto tale aspetto, quindi, Il Tribunale ha sposato le tesi comunali, ritenendo che fosse effettivamente necessario il previo permesso di costruire.
Conclusioni
In sostanza il Collegio, facendo applicazione dei principi di diritto consolidati in materia ha rigettato il ricorso e ha reputato legittima la diffida con cui il Comune resistente ha disposto la demolizione delle opere realizzate dai ricorrenti in assenza di permesso di costruire.