Società “in house providing”: Vademecum di ANAC e Consiglio Nazionale del Notariato
Facendo seguito al “Protocollo di intesa” siglato all’inizio del mese di maggio 2022, ANAC e Consiglio Nazionale del Notariato hanno da ultimo redatto un “Vademecum per le società in house nel nuovo Codice degli appalti e nel Testo unico delle società pubbliche“.
Il documento congiunto, pubblicizzato sul sito di ANAC con notizia del 09.06.2022, ha l’obiettivo di coadiuvare i notai nella predisposizione degli statuti o di altri atti che disciplinano le società “in house providing“, individuando – per un verso, in maniera assai sintetica – le principali caratteristiche dell’istituto, alla luce del contesto normativo di riferimento. Ed enucleando, per altro e correlato verso, alcuni degli aspetti giuridici e operativi di “maggiore criticità e rilievo“, allorquando ci si trovi a predisporre gli atti relativi alla costituzione, alla revisione statutaria e, più in generale, alla disciplina di società in house.
Le competenze e le “Linee Guida” di ANAC in tema di affidamenti “in house”
Ricordiamo anzitutto il codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 50/2016, fra le innumerevoli competenze attribuite ad ANAC, quale autorità indipendente che esercita la vigilanza e il controllo sui contratti pubblici e la connessa attività regolatoria (v. artt. 211 e 213 del citato decreto legislativo 50/2016 e art. 19 del DL 90/2014, convertito con legge 114/2014), ha previsto anche che sia proprio ANAC a detenere e gestire il c.d. “elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house di cui all’articolo 5” del medesimo decreto legislativo 50/2016.
Tale particolare competenza è sancita dall’art. 192, comma 1, del codice dei contratti pubblici che ha istituito detto elenco, nel quale gli organismi in house possono essere iscritti “a domanda”, “dopo che sia stata riscontrata l’esistenza dei requisiti, secondo le modalità e i criteri che l’Autorità definisce con proprio atto”.
Modalità e criteri di iscrizione in tale elenco, divenuto operativo a partire dal 15 gennaio 2018, sono stati definiti da ANAC con le Linee Guida n. 7, approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 235 del 15 febbraio 2017, poi aggiornate al D.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 con deliberazione del Consiglio n. 951 del 20 settembre 2017.
ANAC, peraltro, nello svolgimento delle proprie competenze in materia, si era spinta oltre qualche mese fa, nel settembre 2021, predisponendo anche uno schema di Linee Guida recanti indicazioni per le stazioni appaltati relative alla formulazione della particolare motivazione – rafforzata e aggravata – richiesta dall’art. 192, comma 2, del medesimo Codice, ai fini dell’affidamento in house (ne avevamo parlato qui).
Il Consiglio di Stato, tuttavia, col parere n.1614 pubblicato il 07.10.2021, aveva sospeso l’iter di adozione di queste ulteriori Linee Guida (ne avevamo parlato qui).
La collaborazione col Consiglio Nazionale del Notariato
In seguito all’operatività dell’elenco di cui al citato art. 192, comma 1, e all’invio delle domande di iscrizione, ANAC ha potuto riscontrare diverse carenze e criticità relative agli elementi caratterizzanti le società in house e ha coltivato l’instaurazione di un rapporto di collaborazione reciproca e di coordinamento col Consiglio Nazionale del Notariato, ritenendo che questo possa svolgere una importante “funzione di sensibilizzazione presso i notai operanti nell’ambito del territorio nazionale in modo da superare le criticità spesso riscontrate negli statuti o in altri atti che disciplinano le società in house”.
Da ciò è quindi derivata la sottoscrizione, in data 02.05.2022, di un apposito “Protocollo di intesa” fra ANAC e CNN, volto in primo luogo alla definizione di “vademecum condiviso in cui siano indicati gli aspetti maggiormente critici relativamente agli atti presupposti delle società in house con l’eventuale indicazione delle misure per la risoluzione di detti aspetti”, da ultimo esitato.
Il Protocollo prevede anche, con una durata biennale rinnovabile, lo svolgimento di “attività di formazione alle stazioni appaltanti in merito allo specifico tema dell’in house”.
Il vademecum condiviso: le precisazioni e le indicazioni sulle attività perseguibili mediante società “in house providing“
In primo luogo, il vademecum – al suo paragrafo 2 – rammenta come le attività perseguibili mediante società in house providing, a mente dell’articolo 4 del Testo Unico delle Società partecipate (di cui al decreto legislativo 175/2016) sono: a. la produzione di un servizio di interesse generale; b. la progettazione e realizzazione di un’opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra PP.AA.; c. l’autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni; d. servizi di committenza.
Ed inoltre come “l’attività della società in house deve essere svolta nei confronti delle amministrazioni aggiudicatrici socie nella percentuale minima dell’oltre 80% del fatturato”, a mente dell’art. 12, par. 1, lett. b) della Direttiva 2014/24UE, dell’art.5, comma 1, lett. b) del decreto legislativo 50/2016 e dell’art. 16, comma 3, del T.U.S.P (per il quale appunto gli statuti delle società in house devono contenere “apposita clausola” in forza della quale oltre l’ottanta per cento del fatturato è effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci).
A fronte di ciò, viene chiarito e segnalato come – “ferma restando l’autonomia di ciascun singolo professionista nell’individuazione delle formule più idonee all’assolvimento del predetto obbligo” – i) il requisito in esame può soddisfarsi anche mediante una semplice formula di richiamo alla normativa di riferimento; ii) “le previsioni di attività con connotazione prettamente commerciale negli oggetti sociali delle società in house, che non si riconoscono nelle attività sopra indicate ovvero che non si possono giustificare con gli interessi pubblici perseguiti dalla pubblica amministrazione affidante, piuttosto che in termini di economie di scala o recuperi di efficienza delle predette attività, non si ritengono coerenti con il dettato normativo”; iii) la verifica in concreto della sussistenza dello scopo pubblico postula un “esame articolato e complessivo dell’oggetto sociale della partecipata in relazione alle finalità istituzionali dell’ente partecipante”, che rappresenta il “profilo più delicato dell’art. 4 del d.lgs. n. 175/2016” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n.578/2019, punto 9.3; iv) per determinare la percentuale delle attività (e il rispetto, quindi, del criterio della c.d. prevalenza), occorre prendere in considerazione “il fatturato totale medio o una idonea misura alternativa basata sull’attività, quale i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore nei settori dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto o della concessione” (cfr., Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n.6459/2018 e Delibera ANAC 02.04.2019 n.26913).
Le precisazioni e le indicazioni sulla terza condizione per l’affidamento “in house“: il capitale pubblico
Al riguardo, il paragrafo 3 del vademecum rammenta come per le vigenti norme di legge nazionali riguardanti le società in house, la quota del capitale pubblico, detenuto sia direttamente che indirettamente, non potrà mai essere inferiore al 100% (cento per cento) del capitale sociale per tutta la durata della Società, “salvo partecipazioni del capitale privato prescritte da norme di legge” (v. art. 5, comma 1, lett. c), del d.lgs. 50/2016, art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 175/2016, e (art. 12, par. 1, lett. c) della direttiva 201/24UE).
E che in particolare, per la normativa comunitaria (art. 12, par. 1, lett. c) della direttiva 201/24UE), la partecipazione pubblica totalitaria al capitale sociale “non costituisce più una pre-condizione del controllo analogo”, non essendo invero “più preclusa in assoluto la partecipazione di capitali privati nella persona giuridica controllata, purché si tratti di partecipazioni «prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati e a condizione che si tratti di una partecipazione che non comporti controllo o potere di veto e che non conferisca un’influenza determinante sulle decisioni della persona giuridica controllata»” (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, parere del 7 maggio 2019 n. 1389).
Quindi, sintetizza il vademecum, “la partecipazione privata al capitale della società in house è un’ipotesi eccezionale, mentre il requisito del capitale pubblico resta regola generale, valida ogniqualvolta non sia previsto diversamente da una norma nazionale”, notando anche come i) “nonostante dalla disciplina comunitaria, funzionalmente orientata, non emerga l’obbligo di prevedere nello statuto societario la partecipazione esclusivamente pubblica, diversi arresti giurisprudenziali (cfr. Corte di Cassazione, sezioni unite, con la sentenza n. 3330/2019) ritengono necessario prevedere o dei divieti “assoluti” di cessione a soggetti privati o, più in generale, divieti di apertura del capitale ai privati”; ii) secondo l’orientamento del Giudice Comunitario, per partecipazione pubblica si intende non soltanto quella «diretta» dell’Amministrazione aggiudicatrice, ma altresì quella «indiretta», cioè mediata dalla partecipazione di un ulteriore ente, anche privato, controllato dall’Amministrazione stessa (cfr. art. 12, par. 1, dir. 2014/24UE; art. 5, comma 2, d.lgs.50/2016); iii) non rileva l’astratta possibilità della cessione delle partecipazioni a privati in un momento successivo a quello dell’affidamento (cfr. C. Giust., 10 settembre 2009, C-573/07, Sea s.r.l.).
Le precisazioni e le indicazioni sul controllo analogo, anche congiunto
L’ultimo e più articolato paragrafo 4 del vademecum è dedicato al controllo analogo (previsto anche all’art. 5, comma 2, del codice dei contratti pubblici).
Al riguardo, in termini generali si rammenta come, con tale espressione, si alluda al “potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell’ente con modalità e con un’intensità non riconducibili ai diritti ed alle facoltà che normalmente spettano al socio (fosse pure un socio unico) in base alle regole dettate dal codice civile, e sino al punto che agli organi della società non resta affidata nessuna autonomia rilevante sugli argomenti strategici e/o importanti”, tale per cui nessuna volontà di natura imprenditoriale autonoma può predicarsi rispetto all’organismo in house (il quale pertanto costituisce una mera longa manus degli enti soci – questa essendo l’essenziale condizione che vale ad escludere violazioni del principio della concorrenza, non versandosi in una ipotesi di esternalizzazione del servizio, cd. Outsourcing).
E che sul punto, ANAC – ai sensi dell’art. 192, comma 1, e sin dalle citate Linee guida n. 7 – ha individuato varie forme di controllo (analogo) “ex ante”, “contestuale” ed “ex post” sull’attività e gli atti della società in house, qui esemplificativamente riassunto in relazione ai seguenti profili:
– controllo sugli atti e provvedimenti societari a carattere strategico e programmatici pluriennali (statuti, approvazione piano industriale, piano di sviluppo, relazione programmatica pluriennale, atti di amministrazione straordinaria);
– controllo sugli atti e provvedimenti societari di pianificazione (relazione programmatica annuale, piano degli investimenti e disinvestimenti, piano occupazionale, budget economico e finanziario, programma degli acquisti e dei lavori), di bilancio e sui regolamenti di gestione;
– controllo orientato ad indirizzare l’attività della società in house verso il perseguimento dell’interesse pubblico attraverso una gestione efficiente, efficace ed economica e garantendo il socio sull’economicità e qualità del servizio offerto;
– controllo sulla gestione e sui risultati intermedi orientati alla verifica dello stato di attuazione degli obiettivi, con individuazione delle azioni correttive in caso di scostamento o squilibrio finanziario;
– esercizio di poteri autorizzativi e di indirizzo attraverso l’emanazione da parte del socio di specifiche direttive generali sul funzionamento amministrativo delle società;
– esercizio di poteri ispettivi che comportano una diretta attività di vigilanza e controllo presso la sede e/o nei confronti dell’organo amministrativo della società in house.
Quanto infine al c.d. controllo analogo congiunto, il vademecum dà atto di come, nell’esperienza comune, ben più frequenti, complessi e articolati siano i casi nei quali la società in house sia caratterizzata da una aggregazione societaria formata da più enti (c.d. società in house pluripartecipate) ai quali (enti), in ossequio ai principi eurounitari di cui si è detto, deve pure essere riconosciuta una influenza (effettivamente) dominante e determinante rispetto all’organismo in house (da valutarsi in modo “globale e sintetico”: cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenze n.182/2018 e n.2599/2018).
L’ordinamento nazionale e comunitario non hanno previsto un modello operativo unico, limitandosi a fornire alcune coordinate (cfr. art. 16 TUSP e art. 5 del codice dei contratti), in relazione alle quali il vademecum fornisce le seguenti indicazioni:
- al fine di assicurare la rappresentatività degli organi decisionali della persona giuridica controllata, si rende necessario prevedere statutariamente dei meccanismi di voto assembleare per attribuire alla/e minoranza/e la possibilità di eleggere direttamente un proprio rappresentante in seno all’organo gestorio;
- l’esercizio congiunto del controllo analogo sugli obiettivi strategici sulle decisioni significative della persona giuridica controllata, può essere anzitutto (e preferibilmente) assicurato in via ordinaria, mediante previsioni statutarie che attribuiscano alla collegialità dei soci prerogative gestorie, con quorum rafforzati (che possono anche prescindere dalla partecipazione al capitale) ovvero in caso di società a responsabilità limitata, mediante l’attribuzione, ai sensi dell’art. 2468, comma 3, c.c.. al singolo socio di “particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società”;
- il principio “maggioritario”, certamente applicabile sic e simpliciter nel caso di partecipazioni omogenee al capitale sociale, “non si ritiene plausibile ogni qualvolta vi siano dei soci che detengono una maggioranza, assoluta o relativa che sia, tale che, in combinato alle previsioni statutarie, riserva ad uno o ad una ristretta cerchia di soci l’assunzione di decisioni strategiche o importanti” (a partire dalla nomina degli organi gestionali), rendendosi in tali casi necessario individuare delle formule di controllo analogo che prevedano dei quorum assembleari rafforzati (così come spesso lo stesso legislatore attua in varie decisioni societarie che reputa determinanti per la vita sociale e per i diritti dei soci – v. artt. 2368 e 2369 codice civile – con la variante del computo capitario piuttosto che capitale, sia per i quorum costitutivi che deliberativi, per l’adozione delle decisioni importanti e/o strategiche per la società e l’esplicazione del servizio affidato in via diretta dai soci);
- per garantire il controllo analogo congiunto e l’assenza di situazioni di conflitto in mancanza di patti parasociali, è possibile anche adottare la formula di un organo “extrasocietario” di controllo, “costituito dai legali rappresentanti di ciascun ente locale, o loro delegati, con il compito di realizzare il coordinamento e la consultazione tra gli enti locali (comitato di controllo e di coordinamento o assemblea dei Sindaci)” e “munito di penetranti poteri di verifica preventiva e ablatori sulla gestione dell’attività ordinaria e straordinaria del soggetto in house” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenze n.8028/2020 e n.6460/2020);
- ancora, l’esercizio del controllo analogo congiunto resta esercitabile anche mediante gli strumenti di carattere parasociale, “che permettono di definire dei vincoli assembleari nell’adozione di scelte strategiche ed importanti piuttosto che la predisposizione di organismi di controllo extrasocietari, tali da rendere il consiglio di amministrazione privo di apprezzabile autonomia rispetto alle direttive delle amministrazioni partecipanti”, i quali tuttavia presentano dei limiti (avendo i c.d. patti parasociali una minore portata vincolante, in ragione della loro efficacia puramente obbligatoria e non reale e della loro inopponibilità ai terzi, e essendo peraltro conoscibili solo se ed in quanto depositati presso la Camera di Commercio);
- quanto infine alla necessità che la persona giuridica controllata non persegua “interessi contrari” a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti (di cui all’art. 5, comma 5, del codice dei contratti pubblici), si richiamano l’istituto della rappresentanza e il concetto di conflitto di interessi (tra rappresentato e rappresentante di cui agli artt. 1394, 2373 e 2391 cc), affermandosi come, “in linea di principio”, “le scelte societarie, laddove assunte a maggioranza, non dovrebbero comunque essere confliggenti e penalizzanti degli interessi dell’amministrazione socia di minoranza”.