Autodichiarazioni mendaci: l'automaticità delle conseguenze decadenziali viene rimessa alla Corte Costituzionale
“È rilevante e non manifestamente infondata, per violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e uguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 75, d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, nella parte in cui introduce un automatismo legislativo tra la non veridicità della dichiarazione resa dall’interessato e la perdita dei benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”.
Ad affermarlo è il T.A.R. Lecce, Terza Sezione, nell‘ordinanza 24 ottobre 2018 numero 1544 con cui ha chiarito che “le conseguenze decadenziali (definitive) dal beneficio (peraltro, latu sensu sanzionatorie), legate alla non veridicità obiettiva della dichiarazione, e, a fortiori, l’impedimento a conseguire il beneficio medesimo, ai sensi del citato art. 75 del D.P.R. n. 445/2000, appaiono irragionevoli e incostituzionali, contrastando con il principio di proporzione, che è alla base della razionalità che, a sua volta, informa il principio di uguaglianza sostanziale, ex art. 3 della Costituzione”.
La Sezione è giunta a tale conclusione poiché, considerato il meccanico automatismo legale del tutto slegato dalla fattispecie concreta e l’assoluta rigidità applicativa della norma in questione – così come costantemente interpretata dalla granitica giurisprudenza precedente -, si impone tout court e senza alcun distinguo la decadenza dal beneficio (o l’impedimento al conseguimento dello stesso), a prescindere dall’effettiva gravità del fatto contestato; ciò porta a riservare il medesimo trattamento a situazioni di oggettiva diversa gravità, non consentendo di escludere ipotesi bagatellari di non veridicità delle autodichiarazioni su aspetti di minima rilevanza concreta, con ogni possibile sproporzione delle relative conseguenze rispetto al reale disvalore del fatto commesso.
Ha aggiunto il Tribunale che l’articolo 75, d.P.R. n. 445 del 2000, qualificandosi quale norma generale di semplificazione amministrativa, da un lato è sicuramente volto a rendere più efficiente ed efficace l’azione dell’Amministrazione pubblica ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, ma dall’altro è pure finalizzato a garantire i diritti dei singoli costituzionalmente tutelati e di volta in volta coinvolti nel procedimento amministrativo attivato (e nell’ambito del quale sono state rese le autodichiarazioni de quo): si pensi, ad esempio, al diritto allo studio (art. 34), al diritto alla salute (art. 32), al diritto al lavoro (artt. 4 e 35), al diritto all’assistenza sociale (art. 38), al diritto di iniziativa economica privata (art. 41).
E dunque, anche nella prospettiva tanto del necessario bilanciamento degli interessi costituzionali coinvolti quanto della massima espansione possibile delle relative tutele, il rigido automatismo applicativo è stato considerato, in concreto, lesivo del doveroso equilibrio fra le diverse esigenze in gioco, e persino tale da pregiudicare definitivamente proprio quei diritti costituzionali del singolo alla cui migliore e più rapida realizzazione la norma di semplificazione è finalizzata.
Pertanto, il Collegio non ha potuto che sollevare la questione di legittimità costituzionale, tenuto conto che la stessa appare non superabile in via interpretativa e non manifestamente infondata.