Compensazione all’appaltatore per aumento dei prezzi: come si calcola?

Published On: 30 Gennaio 2023Categories: Appalti Pubblici e Concessioni, Pubblica Amministrazione

La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 9 gennaio 2023 numero 278, si è pronunciata sulla corretta quantificazione della compensazione, prevista in favore dell’appaltatore dall’art. 1 del D.L. n. 162 del 2008 nelle ipotesi di improvvisi aumenti dei prezzi, ritenendo che vada calcolata non in base ad una astratta comparazione dei prezzi ma in base agli effettivi maggiori costi sopportati.

Diversamente, infatti, si tratterebbe di una sorta di finanziamento a fondo perduto e non di una vera e propria compensazione.

Da ciò discende che non spetta al responsabile del procedimento rimediare ad eventuali carenze della domanda, atteso che solo l’impresa interessata ad ottenere la compensazione può sapere quale sia di fatto la documentazione idonea a sostenere la richiesta.

La ricostruzione normativa

Risulta necessaria una breve ricostruzione normativa per la comprensione della vicenda.

L’articolo 133 del citato decreto legislativo n. 163/2006, vigente all’epoca dei fatti, prevedeva al comma 2, che “per i lavori pubblici affidati dalle stazioni appaltanti non si può procedere alla revisione dei prezzi e non si applica il comma 1 dell’articolo 1664 del codice civile”, imponendo quindi un regime di “prezzo chiuso”.

Il successivo comma 4 prevedeva però che “in deroga a quanto previsto dal comma 2, qualora il prezzo di singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, subisca variazioni in aumento o in diminuzione, superiori al 10 per cento rispetto al prezzo rilevato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nell’anno di presentazione dell’offerta con il decreto di cui al comma 6, si fa luogo a compensazioni, in aumento o in diminuzione, per la metà della percentuale eccedente il 10 per cento e nel limite delle risorse di cui al comma 7”.

In concreto, per calcolare la compensazione in aumento, il comma 5 prevedeva che essa fosse determinata “applicando la metà della percentuale di variazione che eccede il 10 per cento al prezzo dei singoli materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell’anno solare precedente al decreto di cui al comma 6 nelle quantità accertate dal direttore dei lavori.

Infine, il comma 6 prevedeva che, per ottenere la compensazione “a pena di decadenza, l’appaltatore presenta alla stazione appaltante l’istanza di compensazione, ai sensi del comma 4, entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del decreto ministeriale di cui al comma 6”.

Ciò premesso, il citato decreto legge n. 162/2008, allo scopo di favorire le imprese a fronte di aumenti eccezionali registrati proprio in quel periodo, ha ampliato i presupposti della compensazione, prevedendo che “in deroga a quanto previsto dall’articolo 133, commi 4, 5, 6 e 6-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti rileva entro il 31 gennaio 2009, con proprio decreto, le variazioni percentuali su base semestrale, in aumento o in diminuzione, superiori all’otto per cento, relative all’anno 2008, dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi, contestualmente disponendo che l’istanza fosse presentata entro 30 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta del decreto ministeriale di rilevamento di variazione dei prezzi.

Il decreto ministeriale applicabile al caso di specie è stato pubblicato il 30 aprile 2009.

La vicenda

Una associazione temporanea fra imprese, dopo aver eseguito un appalto di lavori di straordinaria manutenzione di alloggi collettivi all’interno di una caserma, ha presentato istanza al Ministero della Difesa per il riconoscimento della sopraddetta compensazione.

All’istanza, presentata il 5 giugno 2009 e relativa ad un presunto credito per 112.730 euro, è seguita una richiesta di chiarimenti del Ministero e una integrazione del 12 luglio 2010 contenente fatture e dichiarazione a sostegno della domanda.

Con nota del 15 settembre 2010, l’Amministrazione ha respinto l’istanza, ritenendo innanzitutto che la documentazione fosse inidonea poiché presentata oltre il termine decadenziale di 30 giorni, contestando poi ulteriori circostanze invalidanti (mancanza di bolle di accompagnamento del materiale, fatture facenti riferimento a cantieri diversi rispetto a quello di cui al contratto o addirittura fatture riguardanti prezzi precedentemente concordati e dunque non rientranti nella compensazione).

In sintesi, il Ministero ha sostenuto che, per ottenere la compensazione, sarebbe stato necessario presentare entro il termine di decadenza non solo la domanda, ma anche tutta la documentazione giustificativa.

Il giudizio di primo grado

Avverso tale diniego, l’Associazione ha proposto ricorso innanzi al T.A.R. della Sardegna, chiedendo l’accertamento del proprio diritto alla compensazione e la condanna dell’amministrazione al pagamento della quota di compensazione e degli interessi.

Con la sentenza di primo grado, il T.A.R. ha accolto in parte il ricorso, nei seguenti termini:

  • per un primo aspetto, il Tribunale ha ritenuto che l’onere di presentare l’istanza entro un termine decadenziale, non potesse essere esteso, nel silenzio della norma, anche ai documenti giustificativi “in base al noto principio per cui non si danno decadenze non previste dalla legge”;
  • per un secondo aspetto, è stato ritenuto che per determinare la compensazione in aumento eventualmente dovuta, si dovesse procedere non in termini astratti, ma con riferimento a parametri concreti (in particolare, non bisognerebbe operare un confronto tra tabelle contenute nei decreti ministeriali, ma calcolare la differenza tra il prezzo contenuto nell’offerta e quanto effettivamente speso).

Su questi presupposti, il giudice di prime cure ha ritenuto valorizzabile – tra tutte quelle presentate – solo una fattura, per l’importo di 669,48 euro.

Il giudizio di secondo grado: l’unico motivo di appello e la decisione del Consiglio di Stato 

L’Associazione ha appellato davanti al Consiglio di Stato tale sentenza, articolando un unico motivo di appello relativo alla violazione dell’articolo 1 del decreto legge n. 162/2008.

In particolare, l’appellante ha sostenuto che il Tribunale Amministrativo ha errato “…nell’adottare il criterio concreto per il calcolo della compensazione, e che essa invece si dovrebbe calcolare in base ai dati astratti contenuti nei decreti ministeriale, nel senso sopra esposto, e che quindi in tal senso non vi sarebbe stata necessità di presentare alcuna documentazione a corredo…”.

In subordine, ove la documentazione fosse ritenuta necessaria, l’Associazione ha sostenuto che sarebbe dovuta essere richiesta dal responsabile del procedimento.

L’appello tuttavia, è stato integralmente respinto.

Quanto al primo profilo, il Consiglio ha chiarito che “la norma, come risulta a semplice lettura, è intesa non a riconoscere una sorta di finanziamento a fondo perduto, come sarebbe se la compensazione venisse riconosciuta a prescindere da un pregiudizio concreto subito dall’appaltatore, ma a ristorare quest’ultimo da perdite effettivamente subite. Lo si desume anzitutto dal riferimento nel testo dell’art. 133 a “lavorazioni contabilizzate” in un anno solare ben determinato e a “quantità accertate” relative alle lavorazioni stesse, il che rimanda ad una valutazione concreta, e non a criteri astratti. A conferma di questa tesi, la circolare applicativa della norma (circolare del Ministero delle infrastrutture 4 agosto 2005 n.871), richiede all’art. 2, comma 2, che il direttore dei lavori provveda ad accertare “le quantità del singolo materiale da costruzione cui applicare la variazione di prezzo unitario” sulla base della contabilità di cantiere, e quindi con un apprezzamento relativo alla situazione di fatto così come essa si presente…”.

Anche il secondo profilo è stato ritenuto infondato, poiché “la documentazione contabile di un’impresa, come è del tutto ovvio, è nella disponibilità dell’impresa stessa, e non dell’amministrazione che con l’impresa abbia concluso un qualche contratto. È poi solo l’impresa interessata ad ottenere la compensazione a poter sapere quale sia la documentazione idonea a sostenere la relativa richiesta. Non si comprende quindi quale contenuto effettivo avrebbe potuto avere il preteso onere di acquisirla da parte del responsabile di procedimento…”.

Sicché, con la sentenza in rassegna, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha chiarito che la compensazione ex art. 1 del D.L. n. 162 del 2008 va calcolata non in base ad una astratta comparazione dei prezzi, ma in base agli effettivi maggiori costi sopportati dall’appaltatore, e conseguentemente ha integralmente rigettato il ricorso, condannando il ricorrente alle refusione delle spese processuali.

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Compensazione all’appaltatore per aumento dei prezzi: come si calcola?

Published On: 30 Gennaio 2023

La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 9 gennaio 2023 numero 278, si è pronunciata sulla corretta quantificazione della compensazione, prevista in favore dell’appaltatore dall’art. 1 del D.L. n. 162 del 2008 nelle ipotesi di improvvisi aumenti dei prezzi, ritenendo che vada calcolata non in base ad una astratta comparazione dei prezzi ma in base agli effettivi maggiori costi sopportati.

Diversamente, infatti, si tratterebbe di una sorta di finanziamento a fondo perduto e non di una vera e propria compensazione.

Da ciò discende che non spetta al responsabile del procedimento rimediare ad eventuali carenze della domanda, atteso che solo l’impresa interessata ad ottenere la compensazione può sapere quale sia di fatto la documentazione idonea a sostenere la richiesta.

La ricostruzione normativa

Risulta necessaria una breve ricostruzione normativa per la comprensione della vicenda.

L’articolo 133 del citato decreto legislativo n. 163/2006, vigente all’epoca dei fatti, prevedeva al comma 2, che “per i lavori pubblici affidati dalle stazioni appaltanti non si può procedere alla revisione dei prezzi e non si applica il comma 1 dell’articolo 1664 del codice civile”, imponendo quindi un regime di “prezzo chiuso”.

Il successivo comma 4 prevedeva però che “in deroga a quanto previsto dal comma 2, qualora il prezzo di singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, subisca variazioni in aumento o in diminuzione, superiori al 10 per cento rispetto al prezzo rilevato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nell’anno di presentazione dell’offerta con il decreto di cui al comma 6, si fa luogo a compensazioni, in aumento o in diminuzione, per la metà della percentuale eccedente il 10 per cento e nel limite delle risorse di cui al comma 7”.

In concreto, per calcolare la compensazione in aumento, il comma 5 prevedeva che essa fosse determinata “applicando la metà della percentuale di variazione che eccede il 10 per cento al prezzo dei singoli materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell’anno solare precedente al decreto di cui al comma 6 nelle quantità accertate dal direttore dei lavori.

Infine, il comma 6 prevedeva che, per ottenere la compensazione “a pena di decadenza, l’appaltatore presenta alla stazione appaltante l’istanza di compensazione, ai sensi del comma 4, entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del decreto ministeriale di cui al comma 6”.

Ciò premesso, il citato decreto legge n. 162/2008, allo scopo di favorire le imprese a fronte di aumenti eccezionali registrati proprio in quel periodo, ha ampliato i presupposti della compensazione, prevedendo che “in deroga a quanto previsto dall’articolo 133, commi 4, 5, 6 e 6-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti rileva entro il 31 gennaio 2009, con proprio decreto, le variazioni percentuali su base semestrale, in aumento o in diminuzione, superiori all’otto per cento, relative all’anno 2008, dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi, contestualmente disponendo che l’istanza fosse presentata entro 30 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta del decreto ministeriale di rilevamento di variazione dei prezzi.

Il decreto ministeriale applicabile al caso di specie è stato pubblicato il 30 aprile 2009.

La vicenda

Una associazione temporanea fra imprese, dopo aver eseguito un appalto di lavori di straordinaria manutenzione di alloggi collettivi all’interno di una caserma, ha presentato istanza al Ministero della Difesa per il riconoscimento della sopraddetta compensazione.

All’istanza, presentata il 5 giugno 2009 e relativa ad un presunto credito per 112.730 euro, è seguita una richiesta di chiarimenti del Ministero e una integrazione del 12 luglio 2010 contenente fatture e dichiarazione a sostegno della domanda.

Con nota del 15 settembre 2010, l’Amministrazione ha respinto l’istanza, ritenendo innanzitutto che la documentazione fosse inidonea poiché presentata oltre il termine decadenziale di 30 giorni, contestando poi ulteriori circostanze invalidanti (mancanza di bolle di accompagnamento del materiale, fatture facenti riferimento a cantieri diversi rispetto a quello di cui al contratto o addirittura fatture riguardanti prezzi precedentemente concordati e dunque non rientranti nella compensazione).

In sintesi, il Ministero ha sostenuto che, per ottenere la compensazione, sarebbe stato necessario presentare entro il termine di decadenza non solo la domanda, ma anche tutta la documentazione giustificativa.

Il giudizio di primo grado

Avverso tale diniego, l’Associazione ha proposto ricorso innanzi al T.A.R. della Sardegna, chiedendo l’accertamento del proprio diritto alla compensazione e la condanna dell’amministrazione al pagamento della quota di compensazione e degli interessi.

Con la sentenza di primo grado, il T.A.R. ha accolto in parte il ricorso, nei seguenti termini:

  • per un primo aspetto, il Tribunale ha ritenuto che l’onere di presentare l’istanza entro un termine decadenziale, non potesse essere esteso, nel silenzio della norma, anche ai documenti giustificativi “in base al noto principio per cui non si danno decadenze non previste dalla legge”;
  • per un secondo aspetto, è stato ritenuto che per determinare la compensazione in aumento eventualmente dovuta, si dovesse procedere non in termini astratti, ma con riferimento a parametri concreti (in particolare, non bisognerebbe operare un confronto tra tabelle contenute nei decreti ministeriali, ma calcolare la differenza tra il prezzo contenuto nell’offerta e quanto effettivamente speso).

Su questi presupposti, il giudice di prime cure ha ritenuto valorizzabile – tra tutte quelle presentate – solo una fattura, per l’importo di 669,48 euro.

Il giudizio di secondo grado: l’unico motivo di appello e la decisione del Consiglio di Stato 

L’Associazione ha appellato davanti al Consiglio di Stato tale sentenza, articolando un unico motivo di appello relativo alla violazione dell’articolo 1 del decreto legge n. 162/2008.

In particolare, l’appellante ha sostenuto che il Tribunale Amministrativo ha errato “…nell’adottare il criterio concreto per il calcolo della compensazione, e che essa invece si dovrebbe calcolare in base ai dati astratti contenuti nei decreti ministeriale, nel senso sopra esposto, e che quindi in tal senso non vi sarebbe stata necessità di presentare alcuna documentazione a corredo…”.

In subordine, ove la documentazione fosse ritenuta necessaria, l’Associazione ha sostenuto che sarebbe dovuta essere richiesta dal responsabile del procedimento.

L’appello tuttavia, è stato integralmente respinto.

Quanto al primo profilo, il Consiglio ha chiarito che “la norma, come risulta a semplice lettura, è intesa non a riconoscere una sorta di finanziamento a fondo perduto, come sarebbe se la compensazione venisse riconosciuta a prescindere da un pregiudizio concreto subito dall’appaltatore, ma a ristorare quest’ultimo da perdite effettivamente subite. Lo si desume anzitutto dal riferimento nel testo dell’art. 133 a “lavorazioni contabilizzate” in un anno solare ben determinato e a “quantità accertate” relative alle lavorazioni stesse, il che rimanda ad una valutazione concreta, e non a criteri astratti. A conferma di questa tesi, la circolare applicativa della norma (circolare del Ministero delle infrastrutture 4 agosto 2005 n.871), richiede all’art. 2, comma 2, che il direttore dei lavori provveda ad accertare “le quantità del singolo materiale da costruzione cui applicare la variazione di prezzo unitario” sulla base della contabilità di cantiere, e quindi con un apprezzamento relativo alla situazione di fatto così come essa si presente…”.

Anche il secondo profilo è stato ritenuto infondato, poiché “la documentazione contabile di un’impresa, come è del tutto ovvio, è nella disponibilità dell’impresa stessa, e non dell’amministrazione che con l’impresa abbia concluso un qualche contratto. È poi solo l’impresa interessata ad ottenere la compensazione a poter sapere quale sia la documentazione idonea a sostenere la relativa richiesta. Non si comprende quindi quale contenuto effettivo avrebbe potuto avere il preteso onere di acquisirla da parte del responsabile di procedimento…”.

Sicché, con la sentenza in rassegna, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha chiarito che la compensazione ex art. 1 del D.L. n. 162 del 2008 va calcolata non in base ad una astratta comparazione dei prezzi, ma in base agli effettivi maggiori costi sopportati dall’appaltatore, e conseguentemente ha integralmente rigettato il ricorso, condannando il ricorrente alle refusione delle spese processuali.

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