Esclusione dalla selezione per funzionari delle Forze di Polizia per tatuaggi visibili in via di rimozione

La Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n.10443 del 4 dicembre 2023, ha definito una controversia – dal carattere peculiare – sull’esclusione, dalla selezione di funzionari delle Forze di Polizia, di candidati che riportavano tatuaggi sul corpo, seppur in via di rimozione, escludendo, altresì, l’accertamento successivo circa lo stato di rimozione in toto degli stessi.

La fattispecie da cui è scaturito il contenzioso

La fattispecie esaminata nella decisione in commento trae origine dall’esclusione dal concorso per la selezione di funzionari delle Forze di Polizia, d’una candidata – poi ricorrente davanti al TAR – che la Commissione esaminatrice aveva ritenuto, ai sensi dell’art. 14, comma 5, del bando di concorso, non idonea per la presenza sulla pelle di tatuaggi che, seppur in via di rimozione, al tempo della selezione risultavano – con qualsiasi uniforme indossata – visibili.

La decisione del T.A.R. per il Lazio e l’appello dinanzi al Consiglio di Stato

Nel giudizio promosso avverso il provvedimento di esclusione, il T.A.R. per il Lazio, nel respingere il ricorso promosso dalla candidata, ha ritenuto corretta la motivazione resa dal Ministero della Giustizia, considerando rilevante la presenza dei tatuaggi al momento della procedura concorsuale.

Col gravame promosso dinanzi al Consiglio di Stato, la candidata ha impugnato la citata sentenza, lamentandone l’erroneità e l’ingiustizia e chiedendo, altresì, l’accoglimento dell’istanza cautelare contenuta nel gravame, ai fini del riesame del provvedimento di esclusione o, alternativamente, l’ammissione di una consulenza per l’accertamento della definitiva rimozione dei tatuaggi.

Il tutto, sulla scorta di due motivi d’appello, rispettivamente rubricati:

  • “… Erroneità della sentenza per violazione degli artt. 1 e 3 c.p.a. – Violazione e falsa applicazione: dell’art. 3, comma 2, del D.M. n. 198 del 30 giugno 2003; dell’art. 7, comma 5, del D. Lgs. 146/2000; del D. Lgs. n. 443/1992; dell’art. 14, comma 5, della lex specialis – Difetto di motivazione – Contraddittorietà – Difetto dei presupposti di fatto e di diritto – Difetto di istruttoria – Omessa considerazione della circolare D.A.P. dell’11.07.2007”;
  • “… Erroneità della sentenza per violazione degli artt. 1 e 3 c.p.a. – Violazione e falsa applicazione: dell’art. 3, comma 2, del D.M. n. 198 del 30 giugno 2003; dell’art. 7, comma 5, del D. Lgs. 146/2000; del D. Lgs. n. 443/1992; dell’art, 14, comma 5, della lex specialis – Violazione dei princìpi costituzionali di cui agli artt. 3, 4, 35, 97 Cost. – Violazione del principio di uguaglianza sostanziale”.

Nel giudizio di appello l’Amministrazione si è costituita e ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto.

L’analisi del bando di concorso e i precedenti giurisprudenziali

Il Consiglio di Stato, con la decisione in rassegna, ha rigettato l’appello e il ricorso di prime cure, rilevando, anzitutto, come:

  • l’art. 14 del bando di concorso (rubricato “Accertamenti psico-fisici”) al comma 5 disponeva che “Costituiscono causa di esclusione dai pubblici concorsi per l’accesso alla carriera di funzionari del Corpo di Polizia Penitenziaria le alterazioni volontarie dell’aspetto esteriore dei candidati, quali tatuaggi e altre alterazioni volontarie permanenti dell’aspetto fisico non conseguenti a interventi di natura sanitaria, se visibili, in tutto o in parte, con l’uniforme indossata o se, avuto riguardo alla loro sede, estensione, natura o contenuto, risultano deturpanti o indice di alterazioni psicologiche, ovvero non conformi al decoro della funzione degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria e tutte le imperfezioni e infermità elencate nell’art. 3 e nella tabella 1 al decreto del Ministero dell’interno n. 198/2003”;
  • la documentazione versata in atti attestava, al momento della visita medica per l’accertamento dei requisiti psico-fisici, la presenza sulla candidata di tatuaggi visibili con qualsiasi tipo di uniforme. In particolare, infatti, tali tatuaggi, sebbene in via di rimozione, apparivano ancora presenti in parti del corpo ben visibili, quali: a) braccio destro, ove era raffigurato un fiore; b) avambraccio destro, ove risultava, seppur non leggibile una scritta; c) infine, sul polso sinistro una croce.

In tale contesto, il Collegio decidente – passando a esaminare le censure di gravame e la fattispecie sottoposta alla sua attenzione – ha ritenuto che l’indubbia e incontestata presenza di tatuaggi visibili “con qualsiasi tipo di uniforme indossata” integrava la causa di esclusione prevista dall’art. 14, comma 5, del bando di concorso.

Ciò, tenendo altresì conto del consolidato indirizzo giurisprudenziale formatosi in materia e a mente del quale la presenza di tatuaggi/alterazioni permanenti visibili con qualsiasi uniforme in uso costituisce ex se causa di esclusione dal concorso, non essendo in tal caso attribuito alla commissione alcun potere di valutazione, previsto invece nella sola diversa ipotesi in cui i tatuaggi, anche non visibili con le uniformi in uso, per dimensioni, contenuto o natura siano deturpanti o contrari al decoro dell’uniforme o di discredito delle istituzioni o indice di personalità abnorme (Consiglio di Stato, Sez. II, 17 gennaio 2023, n. 546; 13 aprile 2023, n. 3741; 20 giugno 2023, n. 6060).

E potendosi, pertanto, in ultima analisi, ritenere che “affinché il tatuaggio, visibile con qualsiasi uniforme in uso, sia irrilevante e non costituisca pertanto causa di esclusione non è sufficiente che, quanto meno al momento della visita, esso sia in stato (avanzato) di rimozione, essendo al contrario necessario che di esso ne sia stata in toto eliminata la sua visibilità (per consistenza, dimensione e nitidezza dell’immagine impressa sulla cute), rilevando in definitiva l’esito della rimozione ovvero un tale stadio di avanzamento del processo da aver fatto del tutto venir meno la visibilità del tatuaggio, trasformandolo in un mero esito cicatriziale”(Cons. Stato, sez. II, 17 gennaio 2023; 23 gennaio 2023, n. 745; 13 aprile 2023, n. 3741; 20 giugno 2023, n. 6060; 3 novembre 2022, n. 9583).

Non sussistendo, nel caso di specie, tali condizioni e caratteri, il Collegio ha ritenuto dunque di respingere le censure di gravame, nonché di escludere ogni rilievo in ordine alla questione di legittimità costituzionale sollevata quanto alla presunta disparità di trattamento tra i candidati che hanno avviato la procedura di rimozione dei tatuaggi e che sono stati esclusi per la presenza di tatuaggi in corso di rimozione, e quelli che invece neppure hanno avviato tale procedura di rimozione, ritenendosi sotto tale profilo essenziale e dirimente la circostanza che al momento della visita il tatuaggio sia del tutto eliminato, “residuando di esso solo un mero esito cicatriziale”.

Parimenti infondata è stata ritenuta dal Collegio l’ulteriore censura, con cui si invocava la circolare ministeriale GDAP-0219217-2007 dell’11 luglio 2007, la quale – occupandosi dei tatuaggi del personale già in servizio, ai fini dell’eventuale esercizio del potere disciplinare – è superata dalla chiara, specifica e diversa previsione della lex specialis (art. 14, comma 5, citata), essendo peraltro cronologicamente precedente al bando di concorso e priva di carattere normativo (cfr. da ultimo cfr. Cons. Stato, sez. III, 14 luglio 2012, n. 5986), nonché in definitiva confermativa dell’incompatibilità dei tatuaggi visibili (“salvo a consentirne la valutazione della loro rilevanza in concreto, ammettendo eccezionalmente la possibilità di ricoprirli con bendaggi”), oltre che riferibile al solo personale in servizio (e dunque non estensibile ai candidati in sede concorsuale; tanto più in presenza di una espressa previsione escludente nel bando di concorso).

La decisione del Collegio

Sulla scorta delle superiori considerazioni, il Collegio decidente ha quindi rigettato in toto l’appello, confermando la legittimità del provvedimento di esclusione e respingendo ogni ulteriore richiesta della candidata, tanto ai fini cautelari, quanto ai fini istruttori, e dunque anche avuto riguardo alla richiesta di ammissione di una consulenza tecnica per l’accertamento della definitiva rimozione dei tatuaggi (verifica che, ad avviso del Collegio e anche in ossequio al principio della par condicio dei concorrenti, avrebbe potuto al più essere esperita allorquando fosse stata contestata la correttezza dell’accertamento svolto dalla commissione, nell’unico momento rilevante ai fini in esame che è quello della visita da parte della commissione di concorso e non uno successivo allo stesso).

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Esclusione dalla selezione per funzionari delle Forze di Polizia per tatuaggi visibili in via di rimozione

Published On: 11 Dicembre 2023

La Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n.10443 del 4 dicembre 2023, ha definito una controversia – dal carattere peculiare – sull’esclusione, dalla selezione di funzionari delle Forze di Polizia, di candidati che riportavano tatuaggi sul corpo, seppur in via di rimozione, escludendo, altresì, l’accertamento successivo circa lo stato di rimozione in toto degli stessi.

La fattispecie da cui è scaturito il contenzioso

La fattispecie esaminata nella decisione in commento trae origine dall’esclusione dal concorso per la selezione di funzionari delle Forze di Polizia, d’una candidata – poi ricorrente davanti al TAR – che la Commissione esaminatrice aveva ritenuto, ai sensi dell’art. 14, comma 5, del bando di concorso, non idonea per la presenza sulla pelle di tatuaggi che, seppur in via di rimozione, al tempo della selezione risultavano – con qualsiasi uniforme indossata – visibili.

La decisione del T.A.R. per il Lazio e l’appello dinanzi al Consiglio di Stato

Nel giudizio promosso avverso il provvedimento di esclusione, il T.A.R. per il Lazio, nel respingere il ricorso promosso dalla candidata, ha ritenuto corretta la motivazione resa dal Ministero della Giustizia, considerando rilevante la presenza dei tatuaggi al momento della procedura concorsuale.

Col gravame promosso dinanzi al Consiglio di Stato, la candidata ha impugnato la citata sentenza, lamentandone l’erroneità e l’ingiustizia e chiedendo, altresì, l’accoglimento dell’istanza cautelare contenuta nel gravame, ai fini del riesame del provvedimento di esclusione o, alternativamente, l’ammissione di una consulenza per l’accertamento della definitiva rimozione dei tatuaggi.

Il tutto, sulla scorta di due motivi d’appello, rispettivamente rubricati:

  • “… Erroneità della sentenza per violazione degli artt. 1 e 3 c.p.a. – Violazione e falsa applicazione: dell’art. 3, comma 2, del D.M. n. 198 del 30 giugno 2003; dell’art. 7, comma 5, del D. Lgs. 146/2000; del D. Lgs. n. 443/1992; dell’art. 14, comma 5, della lex specialis – Difetto di motivazione – Contraddittorietà – Difetto dei presupposti di fatto e di diritto – Difetto di istruttoria – Omessa considerazione della circolare D.A.P. dell’11.07.2007”;
  • “… Erroneità della sentenza per violazione degli artt. 1 e 3 c.p.a. – Violazione e falsa applicazione: dell’art. 3, comma 2, del D.M. n. 198 del 30 giugno 2003; dell’art. 7, comma 5, del D. Lgs. 146/2000; del D. Lgs. n. 443/1992; dell’art, 14, comma 5, della lex specialis – Violazione dei princìpi costituzionali di cui agli artt. 3, 4, 35, 97 Cost. – Violazione del principio di uguaglianza sostanziale”.

Nel giudizio di appello l’Amministrazione si è costituita e ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto.

L’analisi del bando di concorso e i precedenti giurisprudenziali

Il Consiglio di Stato, con la decisione in rassegna, ha rigettato l’appello e il ricorso di prime cure, rilevando, anzitutto, come:

  • l’art. 14 del bando di concorso (rubricato “Accertamenti psico-fisici”) al comma 5 disponeva che “Costituiscono causa di esclusione dai pubblici concorsi per l’accesso alla carriera di funzionari del Corpo di Polizia Penitenziaria le alterazioni volontarie dell’aspetto esteriore dei candidati, quali tatuaggi e altre alterazioni volontarie permanenti dell’aspetto fisico non conseguenti a interventi di natura sanitaria, se visibili, in tutto o in parte, con l’uniforme indossata o se, avuto riguardo alla loro sede, estensione, natura o contenuto, risultano deturpanti o indice di alterazioni psicologiche, ovvero non conformi al decoro della funzione degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria e tutte le imperfezioni e infermità elencate nell’art. 3 e nella tabella 1 al decreto del Ministero dell’interno n. 198/2003”;
  • la documentazione versata in atti attestava, al momento della visita medica per l’accertamento dei requisiti psico-fisici, la presenza sulla candidata di tatuaggi visibili con qualsiasi tipo di uniforme. In particolare, infatti, tali tatuaggi, sebbene in via di rimozione, apparivano ancora presenti in parti del corpo ben visibili, quali: a) braccio destro, ove era raffigurato un fiore; b) avambraccio destro, ove risultava, seppur non leggibile una scritta; c) infine, sul polso sinistro una croce.

In tale contesto, il Collegio decidente – passando a esaminare le censure di gravame e la fattispecie sottoposta alla sua attenzione – ha ritenuto che l’indubbia e incontestata presenza di tatuaggi visibili “con qualsiasi tipo di uniforme indossata” integrava la causa di esclusione prevista dall’art. 14, comma 5, del bando di concorso.

Ciò, tenendo altresì conto del consolidato indirizzo giurisprudenziale formatosi in materia e a mente del quale la presenza di tatuaggi/alterazioni permanenti visibili con qualsiasi uniforme in uso costituisce ex se causa di esclusione dal concorso, non essendo in tal caso attribuito alla commissione alcun potere di valutazione, previsto invece nella sola diversa ipotesi in cui i tatuaggi, anche non visibili con le uniformi in uso, per dimensioni, contenuto o natura siano deturpanti o contrari al decoro dell’uniforme o di discredito delle istituzioni o indice di personalità abnorme (Consiglio di Stato, Sez. II, 17 gennaio 2023, n. 546; 13 aprile 2023, n. 3741; 20 giugno 2023, n. 6060).

E potendosi, pertanto, in ultima analisi, ritenere che “affinché il tatuaggio, visibile con qualsiasi uniforme in uso, sia irrilevante e non costituisca pertanto causa di esclusione non è sufficiente che, quanto meno al momento della visita, esso sia in stato (avanzato) di rimozione, essendo al contrario necessario che di esso ne sia stata in toto eliminata la sua visibilità (per consistenza, dimensione e nitidezza dell’immagine impressa sulla cute), rilevando in definitiva l’esito della rimozione ovvero un tale stadio di avanzamento del processo da aver fatto del tutto venir meno la visibilità del tatuaggio, trasformandolo in un mero esito cicatriziale”(Cons. Stato, sez. II, 17 gennaio 2023; 23 gennaio 2023, n. 745; 13 aprile 2023, n. 3741; 20 giugno 2023, n. 6060; 3 novembre 2022, n. 9583).

Non sussistendo, nel caso di specie, tali condizioni e caratteri, il Collegio ha ritenuto dunque di respingere le censure di gravame, nonché di escludere ogni rilievo in ordine alla questione di legittimità costituzionale sollevata quanto alla presunta disparità di trattamento tra i candidati che hanno avviato la procedura di rimozione dei tatuaggi e che sono stati esclusi per la presenza di tatuaggi in corso di rimozione, e quelli che invece neppure hanno avviato tale procedura di rimozione, ritenendosi sotto tale profilo essenziale e dirimente la circostanza che al momento della visita il tatuaggio sia del tutto eliminato, “residuando di esso solo un mero esito cicatriziale”.

Parimenti infondata è stata ritenuta dal Collegio l’ulteriore censura, con cui si invocava la circolare ministeriale GDAP-0219217-2007 dell’11 luglio 2007, la quale – occupandosi dei tatuaggi del personale già in servizio, ai fini dell’eventuale esercizio del potere disciplinare – è superata dalla chiara, specifica e diversa previsione della lex specialis (art. 14, comma 5, citata), essendo peraltro cronologicamente precedente al bando di concorso e priva di carattere normativo (cfr. da ultimo cfr. Cons. Stato, sez. III, 14 luglio 2012, n. 5986), nonché in definitiva confermativa dell’incompatibilità dei tatuaggi visibili (“salvo a consentirne la valutazione della loro rilevanza in concreto, ammettendo eccezionalmente la possibilità di ricoprirli con bendaggi”), oltre che riferibile al solo personale in servizio (e dunque non estensibile ai candidati in sede concorsuale; tanto più in presenza di una espressa previsione escludente nel bando di concorso).

La decisione del Collegio

Sulla scorta delle superiori considerazioni, il Collegio decidente ha quindi rigettato in toto l’appello, confermando la legittimità del provvedimento di esclusione e respingendo ogni ulteriore richiesta della candidata, tanto ai fini cautelari, quanto ai fini istruttori, e dunque anche avuto riguardo alla richiesta di ammissione di una consulenza tecnica per l’accertamento della definitiva rimozione dei tatuaggi (verifica che, ad avviso del Collegio e anche in ossequio al principio della par condicio dei concorrenti, avrebbe potuto al più essere esperita allorquando fosse stata contestata la correttezza dell’accertamento svolto dalla commissione, nell’unico momento rilevante ai fini in esame che è quello della visita da parte della commissione di concorso e non uno successivo allo stesso).

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