Indagini penali e procedimenti AGCM sopravvenuti e misure di self-cleaning “ex post” nel giudizio sui gravi illeciti professionali

Published On: 17 Gennaio 2022Categories: Appalti Pubblici e Concessioni

La Sezione Terza del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 183 del 11.01.2022, in riforma della pronuncia di primo grado, ha ritenuto illegittimo il positivo giudizio sulla affidabilità morale del concorrente, reso dal Seggio di gara ai sensi dell’art. 80, comma 5, lettera c) del codice dei contratti pubblici, a favore di un operatore economico, poi risultato aggiudicatario della commessa, il quale aveva omesso di segnalare alla Stazione appaltante taluni fatti sopravvenuti a suo carico, derivanti dall’avvio di procedimenti penali davanti all’Autorità giudiziaria e d’un procedimento sanzionatorio davanti all’AGCM.
Nella vicenda esaminata era in particolare avvenuto che altro concorrente – poi ricorrente al TAR  – aveva segnalato alla Stazione appaltante la sopravvenienza di tali vicende professionali, chiedendo l’annullamento in via di autotutela della aggiudicazione definitiva, per la sopravvenuta perdita dei requisiti di affidabilità ed integrità di cui al predetto art.80, comma 5, lettera c).
Il Seggio di gara tuttavia respingeva detta istanza, ritenendo come dette sopravvenute vicende – per un verso – non configurassero fattispecie automaticamente escludenti (in assenza di decisione passata in giudicato) e che esse – per altro e correlato verso – “pur se riferite a fatti gravi”, non avrebbero comunque potuto costituire un “mezzo di prova adeguato” a fondare un giudizio d’ inaffidabilità dell’aggiudicatario (“ in ragione dell’insussistenza di un accertamento giudiziario in sede penale sfociato in condanna sia pur non definitiva”) nonchè “in considerazione del fatto che la valutazione circa la incidenza dell’omissione informativa sulla integrità del concorrente è stata, nella specie, eseguita mediante supplemento istruttorio il cui esito incontra gli inevitabili limiti del sindacato di legittimità rispetto alle valutazioni di carattere tecnico discrezionale“.
Il TAR, in prime cure, ha respinto il ricorso ritenendo che il Seggio avesse nella specie effettuato – in sede di decisione sull’istanza d’autotutela – le valutazioni discrezionali di sua pertinenza (anche in ordine alla refluenza dell’omissione informativa e delle circostanze non dichiarate sulla integrità ed affidabilità del concorrente), e che per esse operassero “i consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di carattere eminentemente discrezionale“.
Di diverso avviso è stata la Terza Sezione del Consiglio di Stato, che ha in particolare ritenuto di non condividere la principale obiezione di “merito” mossa dal Seggio di gara – rispetto a quanto chiesto con l’istanza d’autotutela – ovvero l’argomento che negava la “adeguatezza” della “prova dell’illecito”, “in ragione dell’insussistenza di un accertamento giudiziario in sede penale sfociato in condanna sia pur non definitiva”. Argomento, questo, poi ripreso in giudizio dalla parte appellata, secondo la quale “solo la condanna non definitiva” costituirebbe “titolo per integrare il livello di  «adeguatezza»” richiesto dall’art. 80, comma 5, lettera c), come in tesi deriverebbe anche “dal chiaro disposto delle linee guida Anac che non menzionano, in ambito probatorio, le mere indagini o le misure cautelari”.
Ebbene, ad avviso del Collegio, la questione si pone in termini diversi.
Le linee guida di ANAC, osserva il Collegio,contengono indirizzi tesi a dare uniformità e prevedibilità all’azione amministrativa delle stazioni appaltanti esonerandole da valutazioni complesse o stringenti oneri motivazionali laddove si verifichi la fattispecie espressamente e previamente delineata quale “adeguata” dal punto di vista probatorio, secondo un regime presuntivo”; al contrario di altre fattispecie in cui invece dev’essere l’amministrazione a valutare, in concreto, se e per quali motivi gli elementi raccolti depongano per un illecito professionale così grave da incidere sull’affidabilità morale o professionale dell’operatoresicché “in tali valutazioni l’amministrazione deve ovviamente considerare i fatti emergenti dall’indagine penale, le conseguenze dell’indagine e le regole che previamente si è data, attraverso la legge di gara, per vagliare il disvalore specifico delle condotte rispetto all’instaurando rapporto contrattuale”.
Peraltro – posto che tale interpretazione è l’unica conforme al diritto europeo – “secondo le ripetute indicazioni della Corte di Giustizia, il potere della stazione appaltante non può essere limitato da preclusioni poste dal diritto nazionale, ma si deve basare sull’accertamento in concreto dei fatti, rimesso esclusivamente al vaglio della stazione appaltante medesima (sul punto si veda CGUE n. C-425/18, nonché, sull’importanza che sia la stazione appaltante a effettuare in concreto anche C-41/18 del 19.06.2019)”.
Ciò chiarito, il Collegio – nella decisione in rassegna – si sofferma anche sulla efficacia delle misure di c.d. self cleaning ex post adottate dall’aggiudicatario.
Sul punto, il Giudice di prime cure aveva ritenuto che “le misure rimediali di carattere organizzativo.. consistenti nella rimozione, dopo l’apprensione della notizia di indagini penali.. e nell’adozione di iniziative propedeutiche all’adeguamento del modello di cui al d.lgs. n. 231 del 2001- idonee già allo stato a consentire la formulazione di offerte in pubblici incanti”.
Differentemente, la Terza Sezione ha affermato che tali misure non rilevassero, sulla scorta di quella “recente giurisprudenza del Consiglio di stato.. che ha avuto modo di chiarire, in analoga vicenda, …che risponde a logica, prima che alla normativa vigente, che le misure c.d. di self cleaning abbiano effetto pro futuro, ossia per la partecipazione a gare successive all’adozione delle misure stesse, essendo inimmaginabile un loro effetto retroattivo” di talchè “solo dopo l’adozione delle stesse la stazione appaltante può, infatti, essere ritenuta al riparo dalla ripetizione di pratiche scorrette ad opera degli stessi organi sociali, posto anche che l’atto sanzionatorio remunera una condotta ormai perfezionata in ogni elemento”.
A fronte di ciò, il Supremo Consesso ha accolto l’appello e annullato l’aggiudicazione.

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Indagini penali e procedimenti AGCM sopravvenuti e misure di self-cleaning “ex post” nel giudizio sui gravi illeciti professionali

Published On: 17 Gennaio 2022

La Sezione Terza del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 183 del 11.01.2022, in riforma della pronuncia di primo grado, ha ritenuto illegittimo il positivo giudizio sulla affidabilità morale del concorrente, reso dal Seggio di gara ai sensi dell’art. 80, comma 5, lettera c) del codice dei contratti pubblici, a favore di un operatore economico, poi risultato aggiudicatario della commessa, il quale aveva omesso di segnalare alla Stazione appaltante taluni fatti sopravvenuti a suo carico, derivanti dall’avvio di procedimenti penali davanti all’Autorità giudiziaria e d’un procedimento sanzionatorio davanti all’AGCM.
Nella vicenda esaminata era in particolare avvenuto che altro concorrente – poi ricorrente al TAR  – aveva segnalato alla Stazione appaltante la sopravvenienza di tali vicende professionali, chiedendo l’annullamento in via di autotutela della aggiudicazione definitiva, per la sopravvenuta perdita dei requisiti di affidabilità ed integrità di cui al predetto art.80, comma 5, lettera c).
Il Seggio di gara tuttavia respingeva detta istanza, ritenendo come dette sopravvenute vicende – per un verso – non configurassero fattispecie automaticamente escludenti (in assenza di decisione passata in giudicato) e che esse – per altro e correlato verso – “pur se riferite a fatti gravi”, non avrebbero comunque potuto costituire un “mezzo di prova adeguato” a fondare un giudizio d’ inaffidabilità dell’aggiudicatario (“ in ragione dell’insussistenza di un accertamento giudiziario in sede penale sfociato in condanna sia pur non definitiva”) nonchè “in considerazione del fatto che la valutazione circa la incidenza dell’omissione informativa sulla integrità del concorrente è stata, nella specie, eseguita mediante supplemento istruttorio il cui esito incontra gli inevitabili limiti del sindacato di legittimità rispetto alle valutazioni di carattere tecnico discrezionale“.
Il TAR, in prime cure, ha respinto il ricorso ritenendo che il Seggio avesse nella specie effettuato – in sede di decisione sull’istanza d’autotutela – le valutazioni discrezionali di sua pertinenza (anche in ordine alla refluenza dell’omissione informativa e delle circostanze non dichiarate sulla integrità ed affidabilità del concorrente), e che per esse operassero “i consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di carattere eminentemente discrezionale“.
Di diverso avviso è stata la Terza Sezione del Consiglio di Stato, che ha in particolare ritenuto di non condividere la principale obiezione di “merito” mossa dal Seggio di gara – rispetto a quanto chiesto con l’istanza d’autotutela – ovvero l’argomento che negava la “adeguatezza” della “prova dell’illecito”, “in ragione dell’insussistenza di un accertamento giudiziario in sede penale sfociato in condanna sia pur non definitiva”. Argomento, questo, poi ripreso in giudizio dalla parte appellata, secondo la quale “solo la condanna non definitiva” costituirebbe “titolo per integrare il livello di  «adeguatezza»” richiesto dall’art. 80, comma 5, lettera c), come in tesi deriverebbe anche “dal chiaro disposto delle linee guida Anac che non menzionano, in ambito probatorio, le mere indagini o le misure cautelari”.
Ebbene, ad avviso del Collegio, la questione si pone in termini diversi.
Le linee guida di ANAC, osserva il Collegio,contengono indirizzi tesi a dare uniformità e prevedibilità all’azione amministrativa delle stazioni appaltanti esonerandole da valutazioni complesse o stringenti oneri motivazionali laddove si verifichi la fattispecie espressamente e previamente delineata quale “adeguata” dal punto di vista probatorio, secondo un regime presuntivo”; al contrario di altre fattispecie in cui invece dev’essere l’amministrazione a valutare, in concreto, se e per quali motivi gli elementi raccolti depongano per un illecito professionale così grave da incidere sull’affidabilità morale o professionale dell’operatoresicché “in tali valutazioni l’amministrazione deve ovviamente considerare i fatti emergenti dall’indagine penale, le conseguenze dell’indagine e le regole che previamente si è data, attraverso la legge di gara, per vagliare il disvalore specifico delle condotte rispetto all’instaurando rapporto contrattuale”.
Peraltro – posto che tale interpretazione è l’unica conforme al diritto europeo – “secondo le ripetute indicazioni della Corte di Giustizia, il potere della stazione appaltante non può essere limitato da preclusioni poste dal diritto nazionale, ma si deve basare sull’accertamento in concreto dei fatti, rimesso esclusivamente al vaglio della stazione appaltante medesima (sul punto si veda CGUE n. C-425/18, nonché, sull’importanza che sia la stazione appaltante a effettuare in concreto anche C-41/18 del 19.06.2019)”.
Ciò chiarito, il Collegio – nella decisione in rassegna – si sofferma anche sulla efficacia delle misure di c.d. self cleaning ex post adottate dall’aggiudicatario.
Sul punto, il Giudice di prime cure aveva ritenuto che “le misure rimediali di carattere organizzativo.. consistenti nella rimozione, dopo l’apprensione della notizia di indagini penali.. e nell’adozione di iniziative propedeutiche all’adeguamento del modello di cui al d.lgs. n. 231 del 2001- idonee già allo stato a consentire la formulazione di offerte in pubblici incanti”.
Differentemente, la Terza Sezione ha affermato che tali misure non rilevassero, sulla scorta di quella “recente giurisprudenza del Consiglio di stato.. che ha avuto modo di chiarire, in analoga vicenda, …che risponde a logica, prima che alla normativa vigente, che le misure c.d. di self cleaning abbiano effetto pro futuro, ossia per la partecipazione a gare successive all’adozione delle misure stesse, essendo inimmaginabile un loro effetto retroattivo” di talchè “solo dopo l’adozione delle stesse la stazione appaltante può, infatti, essere ritenuta al riparo dalla ripetizione di pratiche scorrette ad opera degli stessi organi sociali, posto anche che l’atto sanzionatorio remunera una condotta ormai perfezionata in ogni elemento”.
A fronte di ciò, il Supremo Consesso ha accolto l’appello e annullato l’aggiudicazione.

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