Istituti di partecipazione popolare, autotutela amministrativa e obbligo di provvedere

Published On: 27 Marzo 2023Categories: Normativa, Pubblica Amministrazione

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 22 marzo 2023 numero 2911, si è pronunciata sulla assenza di un obbligo per l’Amministrazione di provvedere in autotutela rispetto alle istanze o altri istituti di partecipazione democratica (es. petizioni, proposte).

La richiesta avanzata dai privati nei confronti dell’Amministrazione al fine di ottenerne un intervento in autotutela, deve qualificarsi infatti quale mera denuncia, con funzione sollecitatoria, da cui non può derivare un silenzio inadempimento impugnabile ai sensi dell’art. 31 del Codice del processo amministrativo.

La vicenda

Un’amministrazione comunale ligure, con delibera del Consiglio Comunale del giugno 2021, ha stabilito l’esternalizzazione del servizio idrico integrato, superando il forte dissenso sollevato dalle opposizioni.

Alcuni consiglieri di minoranza, a tal punto, hanno ritenuto di utilizzare alcuni strumenti previsti nello Statuto Comunale per imporre al Consiglio di ridiscutere la questione e, eventualmente, giungere ad un nuovo provvedimento (positivo o negativo che fosse).

Ai sensi dell’art. 33 dello Statuto, dedicato alle cd. petizioni, è stato sollecitato l’intervento dell’Amministrazione Comunale al fine di garantire la gestione pubblica e partecipata del servizio idrico integrato […] attraverso la continuità nell’affidamento del servizio alla *** o la reinternalizzazione delle funzioni…”.

Ai sensi dell’art. 34 dello Statuto, invece, è stata proposta l’adozione di una nuova delibera del Consiglio “…con il quale: 1) si revochi la delibera del Consiglio Comunale n. 26 del 29 giugno 2021; 2) venga costituita una commissione civica partecipata con rappresentanti dei cittadini; 3) insieme a questa, venga effettuata una valutazione su precisi parametri tecnici sull’efficienza del S.I.I. a mente dell’art. 147, comma 2 bis, lett. b, d.lgs. 152/2006” .

L’Amministrazione, ricevuta la petizione con annessa proposta, non ha ritenuto di attivare l’iter procedurale previsto dallo Statuto per l’esame di entrambe le iniziative popolari, limitandosi a recapitare ad alcuni dei firmatari una nota di risposta, firmata dal Sindaco ma priva di protocollo.

I consiglieri di minoranza, allora, hanno ritenuto di proporre ricorso i sensi dell’art. 31, comma 1, del c.p.a. innanzi il T.AR. Liguria, chiedendo l’accertamento del silenzio inadempimento e la condanna dell’Amministrazione a percorrere il corretto iter procedimentale.

Il giudice di primo grado, tuttavia, ha ritenuto manifestamente infondata la domanda dei consiglieri.

Il motivo di ricorso in appello e le difese del Comune

Gli appellanti hanno impugnato la sentenza del Tribunale Amministrativo ligure, articolando un unico motivo di diritto, sostenendo “l’erroneità della sentenza per mancata rilevazione della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 33 e 34 dello Statuto Comunale del comune di Varese Ligure; violazione del principio di buon andamento e imparzialità dell’attività amministrativa, di cui all’art. 97 della Costituzione; violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione”.

Per gli appellanti, il dettagliato iter procedurale dettato per gli strumenti della petizione e della proposta è stato integralmente disatteso, non potendo la lettera non protocollata del Sindaco essere qualificata quale vero e proprio provvedimento.

In contrasto con l’art. 33 dello Statuto Comunale “la petizione non è stata assegnata da parte del Sindaco all’esame dell’organo competente entro trenta giorni, né inoltrata ai gruppi consiliari, e pertanto l’organo competente non si è potuto pronunciare nel termine previsto”.

In contrasto, poi, con l’art. 34 “il Sindaco non ha acquisito il parere dei Responsabili dei Servizi interessati, né del Segretario Comunale, né ha trasmesso l’atto all’organo competente e ai gruppi consiliari entro il termine di venti giorni previsto dalla disposizione di specie, e l’organo competente non ha adottato, nel successivo termine di trenta giorni dal – mai avvenuto – ricevimento”.

Gli appellanti hanno proseguito sostenendo che un’istanza popolare “non può […] essere sottratta all’esame di questi ultimi, in quanto, in questo modo, si configura inequivocabilmente il silenzio – inadempimento dell’amministrazione, che sussiste non solo laddove essa non abbia provveduto espressamente, ma, ancor prima, laddove essa neppure abbia avviato l’iter procedimentale normativamente previsto”.

Proposta e petizione, infatti, sarebbero importanti meccanismi di democrazia diretta, che consentono ai cittadini di interloquire con le Istituzioni “al fine di rappresentare, nell’auspicio di risolvere, problematiche particolarmente sentite dalla collettività”.

Il Comune, al contrario, dichiarando di aver agito correttamente a sostegno della sentenza di primo grado, ha ribadito che la lettera del Sindaco comunque preceduta da un parere negativo del Segretario Comunale avrebbe potuto qualificarsi come atto conclusivo del procedimento.

In ogni caso “non sussisterebbe un obbligo di provvedere in relazione ad istanze manifestamente infondate” essendosi già espresso l’ente competente (cioè lente di governo e non il Comune, che ha solo reagito ad una decisione di unaltra Amministrazione).

La decisione del Consiglio di Stato

Il Collegio ha ritenuto l’appello infondato ma per motivazioni differenti rispetto a quelle espresse nella sentenza di primo grado.

Il Consiglio di Stato ha, in particolare, ritenuto che l’oggetto della petizione e della proposta vada coordinato con i princìpi generali del procedimento amministrativo contenuti nella L. n. 241/990, non certo derogabili da una fonte subordinata quale uno statuto comunale.

Fra questo, è principio generale che l’autotutela non sia obbligatoria, salvo eccezioni espressamente previste dalla legge.

Nel caso di specie, l’oggetto dello strumento popolare non è una proposta qualunque da parte dei cittadini ma la revoca di una delibera già adottata, dunque l’adozione di un atto di autotutela.

La pronuncia ha dunque chiarito che non essendo l’autotutela doverosa, non può essere ravvisato un obbligo di provvedere in capo al Comune in ordine alla richiesta della stessa, né può considerarsi, dunque, formato alcun silenzio inadempimento“.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, va infatti escluso l’obbligo di provvedere nel caso in cui l’istanza del privato sia volta a sollecitare il riesame di un atto divenuto inoppugnabile, atteso che l’affermazione di un generalizzato obbligo, in capo all’amministrazione, di rivalutare un proprio provvedimento, anche quando rispetto ad esso siano decorsi i termini per proporre ricorso, sarebbe vulnerata lesigenza di certezza e stabilità dei rapporti che hanno titolo in atti autoritativi, con elusione del regime di decadenza dei termini di impugnazione (cfr. Cons. Stato, VI, 25 maggio 2020, n. 3277; IV, 11 ottobre 2019, n. 6923)”.

Tuttalpiù, la richiesta avanzata dai privati rispetto allottenimento di un intervento di autotutela può essere considerato solo come una “mera denuncia” dalla funzione sollecitatoria (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 15 maggio 2012 n. 2774).

Alla luce di queste considerazioni, il Consiglio ha integralmente respinto lappello e confermato la sentenza di primo grado, con diversa motivazione.

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Published On: 27 Marzo 2023

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 22 marzo 2023 numero 2911, si è pronunciata sulla assenza di un obbligo per l’Amministrazione di provvedere in autotutela rispetto alle istanze o altri istituti di partecipazione democratica (es. petizioni, proposte).

La richiesta avanzata dai privati nei confronti dell’Amministrazione al fine di ottenerne un intervento in autotutela, deve qualificarsi infatti quale mera denuncia, con funzione sollecitatoria, da cui non può derivare un silenzio inadempimento impugnabile ai sensi dell’art. 31 del Codice del processo amministrativo.

La vicenda

Un’amministrazione comunale ligure, con delibera del Consiglio Comunale del giugno 2021, ha stabilito l’esternalizzazione del servizio idrico integrato, superando il forte dissenso sollevato dalle opposizioni.

Alcuni consiglieri di minoranza, a tal punto, hanno ritenuto di utilizzare alcuni strumenti previsti nello Statuto Comunale per imporre al Consiglio di ridiscutere la questione e, eventualmente, giungere ad un nuovo provvedimento (positivo o negativo che fosse).

Ai sensi dell’art. 33 dello Statuto, dedicato alle cd. petizioni, è stato sollecitato l’intervento dell’Amministrazione Comunale al fine di garantire la gestione pubblica e partecipata del servizio idrico integrato […] attraverso la continuità nell’affidamento del servizio alla *** o la reinternalizzazione delle funzioni…”.

Ai sensi dell’art. 34 dello Statuto, invece, è stata proposta l’adozione di una nuova delibera del Consiglio “…con il quale: 1) si revochi la delibera del Consiglio Comunale n. 26 del 29 giugno 2021; 2) venga costituita una commissione civica partecipata con rappresentanti dei cittadini; 3) insieme a questa, venga effettuata una valutazione su precisi parametri tecnici sull’efficienza del S.I.I. a mente dell’art. 147, comma 2 bis, lett. b, d.lgs. 152/2006” .

L’Amministrazione, ricevuta la petizione con annessa proposta, non ha ritenuto di attivare l’iter procedurale previsto dallo Statuto per l’esame di entrambe le iniziative popolari, limitandosi a recapitare ad alcuni dei firmatari una nota di risposta, firmata dal Sindaco ma priva di protocollo.

I consiglieri di minoranza, allora, hanno ritenuto di proporre ricorso i sensi dell’art. 31, comma 1, del c.p.a. innanzi il T.AR. Liguria, chiedendo l’accertamento del silenzio inadempimento e la condanna dell’Amministrazione a percorrere il corretto iter procedimentale.

Il giudice di primo grado, tuttavia, ha ritenuto manifestamente infondata la domanda dei consiglieri.

Il motivo di ricorso in appello e le difese del Comune

Gli appellanti hanno impugnato la sentenza del Tribunale Amministrativo ligure, articolando un unico motivo di diritto, sostenendo “l’erroneità della sentenza per mancata rilevazione della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 33 e 34 dello Statuto Comunale del comune di Varese Ligure; violazione del principio di buon andamento e imparzialità dell’attività amministrativa, di cui all’art. 97 della Costituzione; violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione”.

Per gli appellanti, il dettagliato iter procedurale dettato per gli strumenti della petizione e della proposta è stato integralmente disatteso, non potendo la lettera non protocollata del Sindaco essere qualificata quale vero e proprio provvedimento.

In contrasto con l’art. 33 dello Statuto Comunale “la petizione non è stata assegnata da parte del Sindaco all’esame dell’organo competente entro trenta giorni, né inoltrata ai gruppi consiliari, e pertanto l’organo competente non si è potuto pronunciare nel termine previsto”.

In contrasto, poi, con l’art. 34 “il Sindaco non ha acquisito il parere dei Responsabili dei Servizi interessati, né del Segretario Comunale, né ha trasmesso l’atto all’organo competente e ai gruppi consiliari entro il termine di venti giorni previsto dalla disposizione di specie, e l’organo competente non ha adottato, nel successivo termine di trenta giorni dal – mai avvenuto – ricevimento”.

Gli appellanti hanno proseguito sostenendo che un’istanza popolare “non può […] essere sottratta all’esame di questi ultimi, in quanto, in questo modo, si configura inequivocabilmente il silenzio – inadempimento dell’amministrazione, che sussiste non solo laddove essa non abbia provveduto espressamente, ma, ancor prima, laddove essa neppure abbia avviato l’iter procedimentale normativamente previsto”.

Proposta e petizione, infatti, sarebbero importanti meccanismi di democrazia diretta, che consentono ai cittadini di interloquire con le Istituzioni “al fine di rappresentare, nell’auspicio di risolvere, problematiche particolarmente sentite dalla collettività”.

Il Comune, al contrario, dichiarando di aver agito correttamente a sostegno della sentenza di primo grado, ha ribadito che la lettera del Sindaco comunque preceduta da un parere negativo del Segretario Comunale avrebbe potuto qualificarsi come atto conclusivo del procedimento.

In ogni caso “non sussisterebbe un obbligo di provvedere in relazione ad istanze manifestamente infondate” essendosi già espresso l’ente competente (cioè lente di governo e non il Comune, che ha solo reagito ad una decisione di unaltra Amministrazione).

La decisione del Consiglio di Stato

Il Collegio ha ritenuto l’appello infondato ma per motivazioni differenti rispetto a quelle espresse nella sentenza di primo grado.

Il Consiglio di Stato ha, in particolare, ritenuto che l’oggetto della petizione e della proposta vada coordinato con i princìpi generali del procedimento amministrativo contenuti nella L. n. 241/990, non certo derogabili da una fonte subordinata quale uno statuto comunale.

Fra questo, è principio generale che l’autotutela non sia obbligatoria, salvo eccezioni espressamente previste dalla legge.

Nel caso di specie, l’oggetto dello strumento popolare non è una proposta qualunque da parte dei cittadini ma la revoca di una delibera già adottata, dunque l’adozione di un atto di autotutela.

La pronuncia ha dunque chiarito che non essendo l’autotutela doverosa, non può essere ravvisato un obbligo di provvedere in capo al Comune in ordine alla richiesta della stessa, né può considerarsi, dunque, formato alcun silenzio inadempimento“.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, va infatti escluso l’obbligo di provvedere nel caso in cui l’istanza del privato sia volta a sollecitare il riesame di un atto divenuto inoppugnabile, atteso che l’affermazione di un generalizzato obbligo, in capo all’amministrazione, di rivalutare un proprio provvedimento, anche quando rispetto ad esso siano decorsi i termini per proporre ricorso, sarebbe vulnerata lesigenza di certezza e stabilità dei rapporti che hanno titolo in atti autoritativi, con elusione del regime di decadenza dei termini di impugnazione (cfr. Cons. Stato, VI, 25 maggio 2020, n. 3277; IV, 11 ottobre 2019, n. 6923)”.

Tuttalpiù, la richiesta avanzata dai privati rispetto allottenimento di un intervento di autotutela può essere considerato solo come una “mera denuncia” dalla funzione sollecitatoria (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 15 maggio 2012 n. 2774).

Alla luce di queste considerazioni, il Consiglio ha integralmente respinto lappello e confermato la sentenza di primo grado, con diversa motivazione.

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