La Corte Costituzionale sulla normativa regionale siciliana in materia edilizia ed urbanistica: un primo commento

La sentenza della Corte Costituzionale numero 90 del 9 maggio 2023 – dichiarando l’illegittimità costituzionale di numerosissime norme regionali emanate nella Regione Sicilia in materia edilizia ed urbanistica – costituisce un severo richiamo al legislatore siciliano che, sin dal 2021, con la legge regionale numero 23 è intervenuto sulla legge regionale numero 16 del 2016 che reca Disposizioni varie in materia di edilizia ed urbanistica.

In modo altrettanto rigoroso si esprime il giudice costituzionale sugli interventi normativi successivi, avendo constatato come la violazione di norme costituzionali e interposte sia stata reiterata anche con la successiva legge regionale numero 2/2022, in occasione di modifiche successive al testo delle norme regionali già impugnate.

In entrambi i casi, per la Corte, il legislatore regionale ha tentato – in via illegittima – di affrancare le sue previsioni dai limiti imposti sia dai superiori princìpi fondamentali in materia di governo del territorio, che dalla natura di riforma economico-sociale delle disposizioni statali in materia di urbanistica e tutela del paesaggio.

La pronuncia è destinata forse a far sorgere qualche margine di incertezza e di lavoro ulteriore per gli uffici degli enti comunali, salvi gli interventi consolidati e i diritti ormai acquisiti in relazione ad interventi già eseguiti nel territorio.

La decisione su due ricorsi

La Corte decide sull’impugnazione del Presidente del Consiglio dei ministri che:

con un primo ricorso (reg.ric. 63/2021) ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 4, 6, 10, 20, comma 1, lettera b), 22, 37, comma 1, lettere a), c), numeri 1) e 2), e d), e 38 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, deducendo la violazione di plurimi parametri costituzionali e interposti;

– con un secondo ricorso (reg. ric. n. 33/2022) ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, commi 1, lettere d), e), g) e h), e 2, lettere c) ed e); 2, comma 1, lettere a), b) e c); e 8, comma 1, lettere a), b) e d), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, deducendo ulteriori specifiche violazioni.

La Corte, avendo considerato che tutte le disposizioni impugnate col primo ricorso iscritto hanno modificato quelle già impugnate col secondo dei due ricorsi – stante la evidente connessione –, li riunisce e decide con la pronuncia che qui si commenta.

Preliminarmente precisando, sotto l’aspetto processuale, che le modifiche apportate di volta in volta dalle norme successive alle precedenti non consentono di dichiarare la cessata materia del contendere: e ciò o “…perché le modifiche non sono satisfattive delle pretese avanzate dal ricorrente…” emergendo ciò peraltro dalla successiva impugnazione delle norme successive “…o perché non vi è certezza relativamente alla mancata applicazione medio tempore delle norme impugnate, vigenti per un arco temporale pari a circa otto mesi e, in larghissima parte, suscettibili di essere applicate immediatamente dopo la loro entrata in vigore…”. Essendo rimasto altresì privo di consistenza e comunque non provato l’argomento opposto dalla Regione Siciliana per cui le disposizioni che consentivano interventi di edilizia libera non avevano trovato applicazione “…essendo logicamente intuitivo che difficilmente gli uffici regionali avrebbero potuto avere contezza di tale circostanza…”.

* * *

Al fine di una più agevole lettura della sentenza qui in commento, le numerose pronunce di illegittimità in essa contenute possono esser collocate in quattro ambiti: a) le norme in contrasto col Testo Unico Edilizia; b) le opere di demolizione e ricostruzione di edifici in area vincolata in contrapposizione alle previsioni del Codice dei Beni Culturali; c) la compatibilità paesaggistica delle costruzioni realizzate in zone sottoposte a vincolo; d) per il contrasto della legge regionale con i princìpi posti dalla normativa statale sul piano casa.

Il contributo che pubblichiamo esamina il primo degli ambiti descritti riferito alla bocciatura delle norme della legge regionale numero 16/2016 (con le successive modifiche e abrogazioni laddove intervenute) per via del contrasto con la normativa statale di cui al Testo Unico Edilizia.

Rinviando pertanto a successivi contributi, per quanto attiene alle ulteriori questioni oggetto della pronuncia appena inquadrate negli ambiti descritti.

Le norme in contrasto col Testo Unico Edilizia

Sotto tale profilo, la pronuncia si occupa delle questioni – sollevate con entrambi i ricorsi e con impugnazioni connesse – relative ad alcuni interventi edilizi che il legislatore siciliano, prevedendo un regime più favorevole rispetto a quanto stabilito dalla normativa statale, consente di eseguire senza titolo abilitativo o previa CILA.

Alcuni punti fermi in materia sono posti subito in chiaro dalla pronuncia.

La Corte premette subito che la normativa statale per un verso individua puntualmente gli interventi edilizi che possono essere eseguiti i) senza alcun titolo abilitativo (articolo 6) ii) subordinatamente al permesso di costruire (articolo 10) iii) tramite lo strumento della SCIA (articolo 22) anche alternativamente al permesso di costruire (articolo 23) iv) o mediante CILA laddove non riconducibili all’elenco di cui agli articoli 6, 10 e 22 (articolo 6 bis).

D’altra parte, le Regioni a statuto ordinario possono estendere la disciplina degli interventi eseguibili senza titolo ad interventi edilizi ulteriori.

Lo Statuto Speciale poi affida alla Regione Siciliana la potestà legislativa esclusiva nelle materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio, che va tuttavia esercitata “…“senza pregiudizio” delle riforme economico-sociali, che assurgono, dunque, a limite “esterno” della potestà legislativa primaria…”.

Ebbene, la normativa del Testo Unico Edilizia concernenti i titoli abilitativi è certamente “…espressiva dei princìpi fondamentali in materia di “governo del territorio”, la quale disciplina pertanto non può essere ritenuta “cedevole” poiché il legislatore statale non si può spogliare del suo compito di legislatore dei princìpi fondamentali della materia, potendo solo quest’ultimo “…determinare quali trasformazioni del territorio siano così significative, da soggiacere comunque a permesso di costruire…”; mentre e d’altro canto (come già confermato dalla giurisprudenza costituzionale) “…lo spazio attribuito al legislatore regionale  si deve sviluppare secondo scelte coerenti con le ragioni giustificatrici che sorreggono, secondo le previsioni dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, le specifiche ipotesi di sottrazione al titolo abilitativo…”.

Da qui la Corte muove per condurre lo scrutinio delle norme siciliane, così verificando se abbiano soltanto sviluppato le definizioni del testo statale, o previsto in buona sostanza un diverso regime edilizio.

La pretesa liberalizzazione di interventi senza titolo abilitativo

Più nel dettaglio, l’esame delle questioni di legittimità costituzionale concerne anzitutto:

  1. A) le disposizioni regionali impugnate che consentono la realizzazione di interventi edilizi senza titolo abilitativo.

A.1. Sotto tale aspetto, la Corte ritiene illegittime, per violazione dei limiti imposti dallo statuto speciale, le modifiche apportate dall’articolo 4 della L.R. Sicilia n. 23/2021 – all’articolo 3, commi 1, lettere b), h), l), m), p), s) della legge regionale 16 del 2016, non essendo appunto – le integrazioni del legislatore regionale – poste in linea e continuità con quanto consentito dall’art. 6, comma 6, t.u. edilizia.

Alla luce della pronuncia, pertanto, non potranno essere sforniti di titolo abilitativo:

– gli ascensori esterni, se realizzati su aree private non prospicienti vie e piazze pubbliche (essendo illegittima la lett. b) del predetto articolo 3);

le strade poderali, essendo illegittima la lett.h) (tranne per le opere di “manutenzione” alla luce dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022;

– il risanamento e la sistemazione dei suoli agricoli anche se occorrono strutture murarie, essendo illegittima la lettera l) (e considerato che la norma è stata successivamente abrogata dall’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022);

– le cisterne e le opere connesse interrate, ivi compresi i vasconi in terra battuta per usi irrigui, essendo illegittima la lett. m), concretizzandosi anche in tal caso un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia libera;

– le opere di ricostruzione e ripristino di muri a secco e di nuova costruzione con altezza massima di 1,50 metri essendo illegittima la lett. p), poiché consentono attività edilizie che non sono riconducibili ad alcuna delle ipotesi di cui all’art.6 del Testo Unico Edilizia;

– la realizzazione di opere interrate per lo smaltimento reflui provenienti da immobili destinati a civile abitazione, compresa l’installazione di fosse tipo Imhoff o a tenuta, sistemi di fitodepurazione, per immobili privi di fognatura dinamica comunale, essendo illegittima la lettera s) (e considerato che la norma è stata successivamente abrogata dall’art. 1, comma 1, lettera f), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022).

A.2. Specifica attenzione è poi dedicata dalla pronuncia alle ulteriori norme di cui al comma 1 dell’articolo 3, introdotte nella lettera lettera aa) ed af) della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021.

Tra queste, è “salva” la lett.aa) che considera attività edilizia libera l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili ad esclusione della zona ZTO A, sia per i casi contemplati dall’articolo 1122 del codice civile, sia quando gli stessi contribuiscono alla formazione delle comunità energetiche ai sensi dell’articolo 42 bis del decreto legge 30 dicembre 2019, n. 62, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8. La disposizione regionale è oggetto di una ricostruzione ermeneutica della Corte, che esclude il paventato vizio di legittimità Costituzionale. E dunque essa va intesa, nel senso che i soli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili realizzabili senza titolo abilitativo sono i pannelli solari e fotovoltaici, e ciò in linea con quanto previsto dalla normativa statale (tanto più che l’articolo 1, comma 1, lettera g), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022 ha precisato, come detto, che gli impianti in discorso non devono alterare «la volumetria complessiva e l’aspetto esteriore degli edifici»).

Non passa invece il vaglio della Corte la lettera af) dell’articolo 3 comma 1 della legge 16/2016 come modificato e oggetto di successiva impugnazione, laddove considera attività edilizia libera la collocazione di piscine pertinenziali prefabbricate fuori terra, realizzate con materiali amovibili, di dimensioni non superiori al 20 per cento del volume dell’edificio e comunque di volumetria non superiore a 90 mc.

Le piscine cui si riferisce la disposizione impugnata sia col primo che col secondo ricorso nella formulazione appena riportata sono invero “…di dimensioni tutt’altro che modeste, avendo il legislatore regionale previsto che esse – fermo restando il limite del 20 per cento del volume dell’edificio – possano essere pari a 90 mc: il dato dimensionale e l’impatto visivo, che hanno potenzialmente una significativa incidenza sull’assetto dei luoghi, escludono che piscine siffatte, per quanto prefabbricate e amovibili, possano essere realizzate senza titolo abilitativo…”.

Quando la CILA non è sufficiente

  1. B) L’esame delle questioni prosegue con lo scrutinio delle disposizioni regionali siciliane che consentono la realizzazione di interventi edilizi previa CILA.

Tali interventi, nella norma statale di cui all’articolo 6-bis del Testo Unico Edilizia sono individuati in via residuale.

Il giudice costituzionale quindi – avendo escluso, di volta in volta, che l’intervento edilizio cui si riferisce la norma regionale impugnata sia sussumibile in una delle ipotesi per cui il legislatore statale ha previsto la necessità del permesso di costruire o della SCIA – ha deciso le questioni poste rispetto alle specifiche previsioni impugnate, ritenendo in dettaglio:

l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, laddove introduce l’articolo 3, comma 2, lettera g), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 che prevede il regime giuridico della CILA per «la realizzazione di strade interpoderali» che – come spiega la pronuncia – comporta una trasformazione urbanistica del territorio non riconducibile a interventi di manutenzione ordinaria né straordinaria, di restauro o risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia come definiti dalla norma statale, ma riconducibile – conformemente alla lettera e) dell’articolo 3 comma 1 del TU Edilizia – ad un intervento di nuova costruzione come tale subordinato a permesso di costruire ex art. 6 del TU edilizia;

l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’articolo 3, comma 2, lettera h), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, laddove ha prescritto che – previa CILA – si possa procedere alla nuova realizzazione di opere murarie di recinzione con altezza massima di m. 2,00 prevedendo altresì che “…per altezze superiori trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 10…”, ovvero il regime giuridico della SCIA.

La Corte – pur considerato che la norma è stata abrogata dalla successiva legge regionale numero 2 del 2022 non impugnata sul punto – al fine di dover comunque decidere, applica il medesimo iter logico della precedente ipotesi di cui alla lettera g), appena commentata; posto che la nuova realizzazione di opere murarie determina indubbiamente una trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, essa va considerata quale nuova costruzione, come tale subordinata al permesso di costruire;

– l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’articolo 3, comma 2, lettera i), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 che dispone che possono essere liberamente realizzate tramite CILA le opere di ricostruzione e ripristino di muri a secco e di nuova costruzione con altezza compresa tra m. 1,50 e m. 1,70.

Qui – ferma l’abrogazione delle parole «e di nuova costruzione» ad opera dell’articolo 1 comma 2, lettera c), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, impugnato col secondo ricorso riunito ritenuto sotto tale profilo inammissibile essendo insufficiente la motivazione della questione di costituzionalità – la pronuncia si sofferma sulle questioni poste col primo ricorso.

La Corte spiega, in merito alla diversa tipologia di interventi compresi dalla disposizione, che per ciascuna delle tre distinte ipotesi indistintamente sottoposte al regime giuridico della CILA, va previsto un diverso titolo.

Occorrendo quindi:

  1. la SCIA per gli interventi di ricostruzione di muri a secco; conformemente all’articolo 22, comma 1, lettera c) del Testo Unico edilizia, gli interventi sono da inquadrare quale ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia (essendo «volti al ripristino di edifici, o parte di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza»);
  2. il permesso di costruire per l’ipotesi di nuova costruzione di muri a secco; tale attività rientra infatti nell’ipotesi della costruzione di manufatti edilizi fuori terra di cui all’articolo 3, comma 1, lettera e.1), t.u. edilizia.

Sicché – per entrambe le ipotesi appena descritte – la pronuncia conferma la fondatezza delle questioni poste, poiché le norme regionali censurate non sono ritenute coerente e logico sviluppo della normativa statale, ma ipotesi integralmente nuove di attività edilizia sottoposta a CILA, come tali introdotte in violazione delle norme statutarie della regione a statuto speciale.

iii) Diversamente – confermandosi la sufficienza della CILA – con riferimento alla terza fattispecie di attività inclusa nella norma regionale impugnata, riferita all’intervento di ripristino di muri a secco; in tal caso, gli interventi sono sussumibili in quelli di restauro o risanamento conservativo di cui all’art. 3, comma 1, lettera c), t.u. edilizia, essendo «rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità […]» e comprendendo «il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio», che la disciplina statale sottopone al regime giuridico della CILA.

Con la conseguente legittimità della norma regionale siciliana che deve considerarsi, pertanto, esemplificativa di quanto stabilito dal legislatore statale sotto tutti i profili sollevati.

Ancora, la pronuncia ritiene:

– la illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 2, lettera l), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 che considera attività edilizia libera – purché preceduta da CILA – la realizzazione di opere interrate di smaltimento reflui provenienti da singoli immobili destinati a strutture e attività diverse dalla residenza appartenenti alle categorie funzionali previste alle lettere a-bis), b), c) e d) del comma 1 dell’articolo 23-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 come recepito dall’articolo 1.

La disposizione regionale – che si riferisce nel suo rinvio a quegli immobili che abbiano funzione turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale e rurale – è stata poi oggetto di successiva abrogazione (ad opera dell’articolo 1, comma 2, lettera d), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, non impugnato).

La Corte conferma in ogni caso la fondatezza della questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale per la ragione che “…la realizzazione di opere interrate, quali quelle di cui alla norma regionale impugnata, è indubbiamente riconducibile all’ipotesi della costruzione di manufatti edilizi interrati di cui all’art. 3, comma 1, lettera e.1), t.u. edilizia, per la quale il legislatore statale richiede il permesso di costruire…”, dovendosi anche in  tal caso “…escludere, dunque, che la disposizione regionale impugnata sia logicamente assimilabile alla normativa statale, concretizzandosi invece in un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia sottoposta a CILA…”.

La disciplina dei titoli edilizi in rapporto alla pianificazione urbanistica

Infine, con riferimento all’ultima delle ipotesi sottoposte allo scrutinio costituzionale inscritte nell’ambito descritto, la pronuncia ritiene la illegittimità costituzionale di una norma di chiusura inserita al comma 7 dell’articolo 3 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, novellato per mezzo dell’art. 4 della legge regionale Siciliana n. 23 del 2021 che aveva previsto che “…le disposizioni di cui al presente articolo prevalgono su quelle contenute negli strumenti urbanistici e nei regolamenti edilizi vigenti, i quali, ove in contrasto, si conformano al contenuto delle disposizioni del presente articolo…”.

Anche in tal caso, come negli altri descritti, non è stata sufficiente l’abrogazione della norma ad opera del successivo articolo 1, comma 2, lettera f), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, non impugnato, per impedire la pronuncia della Corte che ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale, per il contrasto con gli artt. 6, comma 1, e 6-bis, comma 1, t.u. edilizia.

Le norme statali evocate – che, come visto, disciplinano gli interventi edilizi senza titolo abilitativo e previa CILA e che sono espressive di norme fondamentali di riforma economico-sociale – prevedono esplicitamente che detti interventi sono realizzabili sempre che non sia diversamente disposto dalle «prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali», con ciò consentendo alla pianificazione urbanistica di tenere in considerazione, di volta in volta, il contesto territoriale e, conseguentemente, di stabilire un diverso regime giuridico.

Orbene, la disposizione regionale impugnata ha tentato di sovvertire tale impostazione, prevedendo che le statuizioni legislative prevalgano sugli strumenti urbanistici – impedendo dunque a questi ultimi di svolgere la funzione loro propria, che è quella di compiere una valutazione che tenga nella debita considerazione lo specifico contesto territoriale, eventualmente optando per una disciplina edilizia anche più restrittiva rispetto alle scelte del legislatore.

Si è altresì tentato, spiega la Corte, di capovolgere il criterio di prevalenza della pianificazione urbanistica sugli interventi individuali, stabilito dalla normativa statale evocata quale parametro interposto.

La norma regionale ha preteso in buona sostanza di consentire che la pianificazione urbanistica – che deve invece articolarsi secondo esigenze che non possono essere aprioristicamente identiche su tutto il territorio – fosse compiuta ex lege anziché dai comuni, cui anche l’art. 2, comma 4, t.u. edilizia espressamente affida il compito di disciplinare l’attività edilizia.

Non essendo sanabile in via ermeneutica, la Corte pertanto boccia anche tale norma.

* * *

Le ulteriori disposizioni regionali oggetto della pronuncia della Corte relative ad interventi di demolizione e ricostruzione in aree vincolate, quelle inerenti la verifica della compatibilità paesaggistica delle costruzioni realizzate in zone sottoposte a vincolo, nonché le norme regionali in contrasto con la normativa statale sul piano casa – come detto – saranno oggetto dei successivi aggiornamenti.

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La Corte Costituzionale sulla normativa regionale siciliana in materia edilizia ed urbanistica: un primo commento

Published On: 7 Giugno 2023

La sentenza della Corte Costituzionale numero 90 del 9 maggio 2023 – dichiarando l’illegittimità costituzionale di numerosissime norme regionali emanate nella Regione Sicilia in materia edilizia ed urbanistica – costituisce un severo richiamo al legislatore siciliano che, sin dal 2021, con la legge regionale numero 23 è intervenuto sulla legge regionale numero 16 del 2016 che reca Disposizioni varie in materia di edilizia ed urbanistica.

In modo altrettanto rigoroso si esprime il giudice costituzionale sugli interventi normativi successivi, avendo constatato come la violazione di norme costituzionali e interposte sia stata reiterata anche con la successiva legge regionale numero 2/2022, in occasione di modifiche successive al testo delle norme regionali già impugnate.

In entrambi i casi, per la Corte, il legislatore regionale ha tentato – in via illegittima – di affrancare le sue previsioni dai limiti imposti sia dai superiori princìpi fondamentali in materia di governo del territorio, che dalla natura di riforma economico-sociale delle disposizioni statali in materia di urbanistica e tutela del paesaggio.

La pronuncia è destinata forse a far sorgere qualche margine di incertezza e di lavoro ulteriore per gli uffici degli enti comunali, salvi gli interventi consolidati e i diritti ormai acquisiti in relazione ad interventi già eseguiti nel territorio.

La decisione su due ricorsi

La Corte decide sull’impugnazione del Presidente del Consiglio dei ministri che:

con un primo ricorso (reg.ric. 63/2021) ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 4, 6, 10, 20, comma 1, lettera b), 22, 37, comma 1, lettere a), c), numeri 1) e 2), e d), e 38 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, deducendo la violazione di plurimi parametri costituzionali e interposti;

– con un secondo ricorso (reg. ric. n. 33/2022) ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, commi 1, lettere d), e), g) e h), e 2, lettere c) ed e); 2, comma 1, lettere a), b) e c); e 8, comma 1, lettere a), b) e d), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, deducendo ulteriori specifiche violazioni.

La Corte, avendo considerato che tutte le disposizioni impugnate col primo ricorso iscritto hanno modificato quelle già impugnate col secondo dei due ricorsi – stante la evidente connessione –, li riunisce e decide con la pronuncia che qui si commenta.

Preliminarmente precisando, sotto l’aspetto processuale, che le modifiche apportate di volta in volta dalle norme successive alle precedenti non consentono di dichiarare la cessata materia del contendere: e ciò o “…perché le modifiche non sono satisfattive delle pretese avanzate dal ricorrente…” emergendo ciò peraltro dalla successiva impugnazione delle norme successive “…o perché non vi è certezza relativamente alla mancata applicazione medio tempore delle norme impugnate, vigenti per un arco temporale pari a circa otto mesi e, in larghissima parte, suscettibili di essere applicate immediatamente dopo la loro entrata in vigore…”. Essendo rimasto altresì privo di consistenza e comunque non provato l’argomento opposto dalla Regione Siciliana per cui le disposizioni che consentivano interventi di edilizia libera non avevano trovato applicazione “…essendo logicamente intuitivo che difficilmente gli uffici regionali avrebbero potuto avere contezza di tale circostanza…”.

* * *

Al fine di una più agevole lettura della sentenza qui in commento, le numerose pronunce di illegittimità in essa contenute possono esser collocate in quattro ambiti: a) le norme in contrasto col Testo Unico Edilizia; b) le opere di demolizione e ricostruzione di edifici in area vincolata in contrapposizione alle previsioni del Codice dei Beni Culturali; c) la compatibilità paesaggistica delle costruzioni realizzate in zone sottoposte a vincolo; d) per il contrasto della legge regionale con i princìpi posti dalla normativa statale sul piano casa.

Il contributo che pubblichiamo esamina il primo degli ambiti descritti riferito alla bocciatura delle norme della legge regionale numero 16/2016 (con le successive modifiche e abrogazioni laddove intervenute) per via del contrasto con la normativa statale di cui al Testo Unico Edilizia.

Rinviando pertanto a successivi contributi, per quanto attiene alle ulteriori questioni oggetto della pronuncia appena inquadrate negli ambiti descritti.

Le norme in contrasto col Testo Unico Edilizia

Sotto tale profilo, la pronuncia si occupa delle questioni – sollevate con entrambi i ricorsi e con impugnazioni connesse – relative ad alcuni interventi edilizi che il legislatore siciliano, prevedendo un regime più favorevole rispetto a quanto stabilito dalla normativa statale, consente di eseguire senza titolo abilitativo o previa CILA.

Alcuni punti fermi in materia sono posti subito in chiaro dalla pronuncia.

La Corte premette subito che la normativa statale per un verso individua puntualmente gli interventi edilizi che possono essere eseguiti i) senza alcun titolo abilitativo (articolo 6) ii) subordinatamente al permesso di costruire (articolo 10) iii) tramite lo strumento della SCIA (articolo 22) anche alternativamente al permesso di costruire (articolo 23) iv) o mediante CILA laddove non riconducibili all’elenco di cui agli articoli 6, 10 e 22 (articolo 6 bis).

D’altra parte, le Regioni a statuto ordinario possono estendere la disciplina degli interventi eseguibili senza titolo ad interventi edilizi ulteriori.

Lo Statuto Speciale poi affida alla Regione Siciliana la potestà legislativa esclusiva nelle materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio, che va tuttavia esercitata “…“senza pregiudizio” delle riforme economico-sociali, che assurgono, dunque, a limite “esterno” della potestà legislativa primaria…”.

Ebbene, la normativa del Testo Unico Edilizia concernenti i titoli abilitativi è certamente “…espressiva dei princìpi fondamentali in materia di “governo del territorio”, la quale disciplina pertanto non può essere ritenuta “cedevole” poiché il legislatore statale non si può spogliare del suo compito di legislatore dei princìpi fondamentali della materia, potendo solo quest’ultimo “…determinare quali trasformazioni del territorio siano così significative, da soggiacere comunque a permesso di costruire…”; mentre e d’altro canto (come già confermato dalla giurisprudenza costituzionale) “…lo spazio attribuito al legislatore regionale  si deve sviluppare secondo scelte coerenti con le ragioni giustificatrici che sorreggono, secondo le previsioni dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, le specifiche ipotesi di sottrazione al titolo abilitativo…”.

Da qui la Corte muove per condurre lo scrutinio delle norme siciliane, così verificando se abbiano soltanto sviluppato le definizioni del testo statale, o previsto in buona sostanza un diverso regime edilizio.

La pretesa liberalizzazione di interventi senza titolo abilitativo

Più nel dettaglio, l’esame delle questioni di legittimità costituzionale concerne anzitutto:

  1. A) le disposizioni regionali impugnate che consentono la realizzazione di interventi edilizi senza titolo abilitativo.

A.1. Sotto tale aspetto, la Corte ritiene illegittime, per violazione dei limiti imposti dallo statuto speciale, le modifiche apportate dall’articolo 4 della L.R. Sicilia n. 23/2021 – all’articolo 3, commi 1, lettere b), h), l), m), p), s) della legge regionale 16 del 2016, non essendo appunto – le integrazioni del legislatore regionale – poste in linea e continuità con quanto consentito dall’art. 6, comma 6, t.u. edilizia.

Alla luce della pronuncia, pertanto, non potranno essere sforniti di titolo abilitativo:

– gli ascensori esterni, se realizzati su aree private non prospicienti vie e piazze pubbliche (essendo illegittima la lett. b) del predetto articolo 3);

le strade poderali, essendo illegittima la lett.h) (tranne per le opere di “manutenzione” alla luce dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022;

– il risanamento e la sistemazione dei suoli agricoli anche se occorrono strutture murarie, essendo illegittima la lettera l) (e considerato che la norma è stata successivamente abrogata dall’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022);

– le cisterne e le opere connesse interrate, ivi compresi i vasconi in terra battuta per usi irrigui, essendo illegittima la lett. m), concretizzandosi anche in tal caso un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia libera;

– le opere di ricostruzione e ripristino di muri a secco e di nuova costruzione con altezza massima di 1,50 metri essendo illegittima la lett. p), poiché consentono attività edilizie che non sono riconducibili ad alcuna delle ipotesi di cui all’art.6 del Testo Unico Edilizia;

– la realizzazione di opere interrate per lo smaltimento reflui provenienti da immobili destinati a civile abitazione, compresa l’installazione di fosse tipo Imhoff o a tenuta, sistemi di fitodepurazione, per immobili privi di fognatura dinamica comunale, essendo illegittima la lettera s) (e considerato che la norma è stata successivamente abrogata dall’art. 1, comma 1, lettera f), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022).

A.2. Specifica attenzione è poi dedicata dalla pronuncia alle ulteriori norme di cui al comma 1 dell’articolo 3, introdotte nella lettera lettera aa) ed af) della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021.

Tra queste, è “salva” la lett.aa) che considera attività edilizia libera l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili ad esclusione della zona ZTO A, sia per i casi contemplati dall’articolo 1122 del codice civile, sia quando gli stessi contribuiscono alla formazione delle comunità energetiche ai sensi dell’articolo 42 bis del decreto legge 30 dicembre 2019, n. 62, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8. La disposizione regionale è oggetto di una ricostruzione ermeneutica della Corte, che esclude il paventato vizio di legittimità Costituzionale. E dunque essa va intesa, nel senso che i soli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili realizzabili senza titolo abilitativo sono i pannelli solari e fotovoltaici, e ciò in linea con quanto previsto dalla normativa statale (tanto più che l’articolo 1, comma 1, lettera g), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022 ha precisato, come detto, che gli impianti in discorso non devono alterare «la volumetria complessiva e l’aspetto esteriore degli edifici»).

Non passa invece il vaglio della Corte la lettera af) dell’articolo 3 comma 1 della legge 16/2016 come modificato e oggetto di successiva impugnazione, laddove considera attività edilizia libera la collocazione di piscine pertinenziali prefabbricate fuori terra, realizzate con materiali amovibili, di dimensioni non superiori al 20 per cento del volume dell’edificio e comunque di volumetria non superiore a 90 mc.

Le piscine cui si riferisce la disposizione impugnata sia col primo che col secondo ricorso nella formulazione appena riportata sono invero “…di dimensioni tutt’altro che modeste, avendo il legislatore regionale previsto che esse – fermo restando il limite del 20 per cento del volume dell’edificio – possano essere pari a 90 mc: il dato dimensionale e l’impatto visivo, che hanno potenzialmente una significativa incidenza sull’assetto dei luoghi, escludono che piscine siffatte, per quanto prefabbricate e amovibili, possano essere realizzate senza titolo abilitativo…”.

Quando la CILA non è sufficiente

  1. B) L’esame delle questioni prosegue con lo scrutinio delle disposizioni regionali siciliane che consentono la realizzazione di interventi edilizi previa CILA.

Tali interventi, nella norma statale di cui all’articolo 6-bis del Testo Unico Edilizia sono individuati in via residuale.

Il giudice costituzionale quindi – avendo escluso, di volta in volta, che l’intervento edilizio cui si riferisce la norma regionale impugnata sia sussumibile in una delle ipotesi per cui il legislatore statale ha previsto la necessità del permesso di costruire o della SCIA – ha deciso le questioni poste rispetto alle specifiche previsioni impugnate, ritenendo in dettaglio:

l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, laddove introduce l’articolo 3, comma 2, lettera g), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 che prevede il regime giuridico della CILA per «la realizzazione di strade interpoderali» che – come spiega la pronuncia – comporta una trasformazione urbanistica del territorio non riconducibile a interventi di manutenzione ordinaria né straordinaria, di restauro o risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia come definiti dalla norma statale, ma riconducibile – conformemente alla lettera e) dell’articolo 3 comma 1 del TU Edilizia – ad un intervento di nuova costruzione come tale subordinato a permesso di costruire ex art. 6 del TU edilizia;

l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’articolo 3, comma 2, lettera h), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, laddove ha prescritto che – previa CILA – si possa procedere alla nuova realizzazione di opere murarie di recinzione con altezza massima di m. 2,00 prevedendo altresì che “…per altezze superiori trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 10…”, ovvero il regime giuridico della SCIA.

La Corte – pur considerato che la norma è stata abrogata dalla successiva legge regionale numero 2 del 2022 non impugnata sul punto – al fine di dover comunque decidere, applica il medesimo iter logico della precedente ipotesi di cui alla lettera g), appena commentata; posto che la nuova realizzazione di opere murarie determina indubbiamente una trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, essa va considerata quale nuova costruzione, come tale subordinata al permesso di costruire;

– l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’articolo 3, comma 2, lettera i), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 che dispone che possono essere liberamente realizzate tramite CILA le opere di ricostruzione e ripristino di muri a secco e di nuova costruzione con altezza compresa tra m. 1,50 e m. 1,70.

Qui – ferma l’abrogazione delle parole «e di nuova costruzione» ad opera dell’articolo 1 comma 2, lettera c), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, impugnato col secondo ricorso riunito ritenuto sotto tale profilo inammissibile essendo insufficiente la motivazione della questione di costituzionalità – la pronuncia si sofferma sulle questioni poste col primo ricorso.

La Corte spiega, in merito alla diversa tipologia di interventi compresi dalla disposizione, che per ciascuna delle tre distinte ipotesi indistintamente sottoposte al regime giuridico della CILA, va previsto un diverso titolo.

Occorrendo quindi:

  1. la SCIA per gli interventi di ricostruzione di muri a secco; conformemente all’articolo 22, comma 1, lettera c) del Testo Unico edilizia, gli interventi sono da inquadrare quale ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia (essendo «volti al ripristino di edifici, o parte di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza»);
  2. il permesso di costruire per l’ipotesi di nuova costruzione di muri a secco; tale attività rientra infatti nell’ipotesi della costruzione di manufatti edilizi fuori terra di cui all’articolo 3, comma 1, lettera e.1), t.u. edilizia.

Sicché – per entrambe le ipotesi appena descritte – la pronuncia conferma la fondatezza delle questioni poste, poiché le norme regionali censurate non sono ritenute coerente e logico sviluppo della normativa statale, ma ipotesi integralmente nuove di attività edilizia sottoposta a CILA, come tali introdotte in violazione delle norme statutarie della regione a statuto speciale.

iii) Diversamente – confermandosi la sufficienza della CILA – con riferimento alla terza fattispecie di attività inclusa nella norma regionale impugnata, riferita all’intervento di ripristino di muri a secco; in tal caso, gli interventi sono sussumibili in quelli di restauro o risanamento conservativo di cui all’art. 3, comma 1, lettera c), t.u. edilizia, essendo «rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità […]» e comprendendo «il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio», che la disciplina statale sottopone al regime giuridico della CILA.

Con la conseguente legittimità della norma regionale siciliana che deve considerarsi, pertanto, esemplificativa di quanto stabilito dal legislatore statale sotto tutti i profili sollevati.

Ancora, la pronuncia ritiene:

– la illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 2, lettera l), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 che considera attività edilizia libera – purché preceduta da CILA – la realizzazione di opere interrate di smaltimento reflui provenienti da singoli immobili destinati a strutture e attività diverse dalla residenza appartenenti alle categorie funzionali previste alle lettere a-bis), b), c) e d) del comma 1 dell’articolo 23-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 come recepito dall’articolo 1.

La disposizione regionale – che si riferisce nel suo rinvio a quegli immobili che abbiano funzione turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale e rurale – è stata poi oggetto di successiva abrogazione (ad opera dell’articolo 1, comma 2, lettera d), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, non impugnato).

La Corte conferma in ogni caso la fondatezza della questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale per la ragione che “…la realizzazione di opere interrate, quali quelle di cui alla norma regionale impugnata, è indubbiamente riconducibile all’ipotesi della costruzione di manufatti edilizi interrati di cui all’art. 3, comma 1, lettera e.1), t.u. edilizia, per la quale il legislatore statale richiede il permesso di costruire…”, dovendosi anche in  tal caso “…escludere, dunque, che la disposizione regionale impugnata sia logicamente assimilabile alla normativa statale, concretizzandosi invece in un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia sottoposta a CILA…”.

La disciplina dei titoli edilizi in rapporto alla pianificazione urbanistica

Infine, con riferimento all’ultima delle ipotesi sottoposte allo scrutinio costituzionale inscritte nell’ambito descritto, la pronuncia ritiene la illegittimità costituzionale di una norma di chiusura inserita al comma 7 dell’articolo 3 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, novellato per mezzo dell’art. 4 della legge regionale Siciliana n. 23 del 2021 che aveva previsto che “…le disposizioni di cui al presente articolo prevalgono su quelle contenute negli strumenti urbanistici e nei regolamenti edilizi vigenti, i quali, ove in contrasto, si conformano al contenuto delle disposizioni del presente articolo…”.

Anche in tal caso, come negli altri descritti, non è stata sufficiente l’abrogazione della norma ad opera del successivo articolo 1, comma 2, lettera f), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, non impugnato, per impedire la pronuncia della Corte che ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale, per il contrasto con gli artt. 6, comma 1, e 6-bis, comma 1, t.u. edilizia.

Le norme statali evocate – che, come visto, disciplinano gli interventi edilizi senza titolo abilitativo e previa CILA e che sono espressive di norme fondamentali di riforma economico-sociale – prevedono esplicitamente che detti interventi sono realizzabili sempre che non sia diversamente disposto dalle «prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali», con ciò consentendo alla pianificazione urbanistica di tenere in considerazione, di volta in volta, il contesto territoriale e, conseguentemente, di stabilire un diverso regime giuridico.

Orbene, la disposizione regionale impugnata ha tentato di sovvertire tale impostazione, prevedendo che le statuizioni legislative prevalgano sugli strumenti urbanistici – impedendo dunque a questi ultimi di svolgere la funzione loro propria, che è quella di compiere una valutazione che tenga nella debita considerazione lo specifico contesto territoriale, eventualmente optando per una disciplina edilizia anche più restrittiva rispetto alle scelte del legislatore.

Si è altresì tentato, spiega la Corte, di capovolgere il criterio di prevalenza della pianificazione urbanistica sugli interventi individuali, stabilito dalla normativa statale evocata quale parametro interposto.

La norma regionale ha preteso in buona sostanza di consentire che la pianificazione urbanistica – che deve invece articolarsi secondo esigenze che non possono essere aprioristicamente identiche su tutto il territorio – fosse compiuta ex lege anziché dai comuni, cui anche l’art. 2, comma 4, t.u. edilizia espressamente affida il compito di disciplinare l’attività edilizia.

Non essendo sanabile in via ermeneutica, la Corte pertanto boccia anche tale norma.

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Le ulteriori disposizioni regionali oggetto della pronuncia della Corte relative ad interventi di demolizione e ricostruzione in aree vincolate, quelle inerenti la verifica della compatibilità paesaggistica delle costruzioni realizzate in zone sottoposte a vincolo, nonché le norme regionali in contrasto con la normativa statale sul piano casa – come detto – saranno oggetto dei successivi aggiornamenti.

About the Author: Giorgia Motta