Necessaria perdurante regolarità, sotto il profilo urbanistico – edilizio, degli esercizi commerciali

Published On: 4 Settembre 2018Categories: Edilizia, Urbanistica ed Espropriazioni, Varie

Il Consiglio di Stato, con la sentenza del 29.05.2018 n. 3212, si è pronunciato sulla necessità della regolarità, sotto il profilo urbanistico – edilizio, dei locali in cui viene svolta un’attività commerciale.
Mentre in primo grado il Tar Campania – distinguendo tra locali fin dall’origine abusivi (in quanto privi di qualsivoglia titolo abilitativo edilizio) e  locali che, seppur ab origine muniti di tale titolo, ne fossero rimasti sprovvisti per essere venuto meno il titolo abilitativo a seguito dell’esercizio dell’autotutela – aveva accolto il ricorso proposto da un esercente attività commerciale (in quanto la circostanza che il titolo edilizio fosse stato non già denegato sin dall’inizio, ma annullato in sede di autotutela, non poteva “…di per sé giustificare la cessazione dell’attività commerciale da tempo in essere nei medesimi locali, almeno fino al momento in cui l’amministrazione non avrà adottato le determinazioni consequenziali all’annullamento del permesso di costruire…”, potendosi l’annullamento risolvere anche con la sanatoria del manufatto, eventualmente ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001), il Consiglio di Stato, con la decisione in rassegna, ha accolto l’appello proposto dall’Amministrazione, richiamando un consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato, come nella fattispecie, su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta (cfr., tra le altre, Cons. Stato, IV, 14 ottobre 2011 n. 5537 e id., V, 8 maggio 2012, n. 5590).
Secondo il Supremo Consesso dunque, il legittimo esercizio dell’attività commerciale è ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale (cfr. Cons. Stato, VI, 23 ottobre 2015, n. 4880).
E’ stato così superato il precedente indirizzo giurisprudenziale che affermava l’illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale (o di ampliamento o di trasferimento dell’esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul presupposto che l’interesse pubblico nella materia del commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò criteri valutativi differenti (cfr. Cons. Stato, V, 21 aprile 1997, n. 380): il revirement giurisprudenziale si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio costituzionale di buona amministrazione per cui non è tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell’urbanistica e del commercio.
La conclusione accolta dal Consiglio di Stato trova del resto riscontro nel d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio) e succ. mod., il cui art. 7, relativo agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il d.lgs. n. 59 del 26 marzo 2010, la quale impone al soggetto interessato il rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche, oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso.

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Necessaria perdurante regolarità, sotto il profilo urbanistico – edilizio, degli esercizi commerciali

Published On: 4 Settembre 2018

Il Consiglio di Stato, con la sentenza del 29.05.2018 n. 3212, si è pronunciato sulla necessità della regolarità, sotto il profilo urbanistico – edilizio, dei locali in cui viene svolta un’attività commerciale.
Mentre in primo grado il Tar Campania – distinguendo tra locali fin dall’origine abusivi (in quanto privi di qualsivoglia titolo abilitativo edilizio) e  locali che, seppur ab origine muniti di tale titolo, ne fossero rimasti sprovvisti per essere venuto meno il titolo abilitativo a seguito dell’esercizio dell’autotutela – aveva accolto il ricorso proposto da un esercente attività commerciale (in quanto la circostanza che il titolo edilizio fosse stato non già denegato sin dall’inizio, ma annullato in sede di autotutela, non poteva “…di per sé giustificare la cessazione dell’attività commerciale da tempo in essere nei medesimi locali, almeno fino al momento in cui l’amministrazione non avrà adottato le determinazioni consequenziali all’annullamento del permesso di costruire…”, potendosi l’annullamento risolvere anche con la sanatoria del manufatto, eventualmente ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001), il Consiglio di Stato, con la decisione in rassegna, ha accolto l’appello proposto dall’Amministrazione, richiamando un consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato, come nella fattispecie, su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta (cfr., tra le altre, Cons. Stato, IV, 14 ottobre 2011 n. 5537 e id., V, 8 maggio 2012, n. 5590).
Secondo il Supremo Consesso dunque, il legittimo esercizio dell’attività commerciale è ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale (cfr. Cons. Stato, VI, 23 ottobre 2015, n. 4880).
E’ stato così superato il precedente indirizzo giurisprudenziale che affermava l’illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale (o di ampliamento o di trasferimento dell’esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul presupposto che l’interesse pubblico nella materia del commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò criteri valutativi differenti (cfr. Cons. Stato, V, 21 aprile 1997, n. 380): il revirement giurisprudenziale si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio costituzionale di buona amministrazione per cui non è tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell’urbanistica e del commercio.
La conclusione accolta dal Consiglio di Stato trova del resto riscontro nel d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio) e succ. mod., il cui art. 7, relativo agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il d.lgs. n. 59 del 26 marzo 2010, la quale impone al soggetto interessato il rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche, oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso.

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