Obbligo di affissione del crocifisso in tutti gli edifici pubblici mediante ordinanza sindacale

Published On: 8 Aprile 2024Categories: Enti locali, Pubblica Amministrazione, Tutele

La Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 18 marzo 2024 numero 2567, si è pronunciata in tema di legittimità del comportamento di un Sindaco che, emanando un’ordinanza contingibile e urgente, ha imposto l’obbligo di immediata affissione dei crocifissi in tutti gli edifici pubblici presenti sul territorio comunale, prevedendo addirittura una sanzione pari a cinquecento euro per i trasgressori.

Il Supremo Consesso, in particolare, dopo aver ribadito l’esistenza di un interesse all’accertamento dell’illegittimità di un atto anche ai soli fini risarcitori, ha dichiarato che il provvedimento fosse assolutamente estraneo alle attribuzioni del primo cittadino.

La vicenda e il giudizio di primo grado

Nella fattispecie esaminata dal Consiglio di Stato, solo brevemente tracciata dalla sentenza in rassegna, l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti – UAAR ha ritenuto di impugnare un’ordinanza ex artt. 50 e 54 del D.lgs. n. 267 del 2000 (cd. ordinanze contingibili e urgenti), con la quale il Sindaco di un comune sardo ha “…ordinato l’immediata affissione del crocifisso in tutti gli uffici pubblici presenti nel territorio comunale, prevedendo al contempo la sanzione di euro cinquecento a carico dei trasgressori…”.

Il Tribunale Amministrativo di primo grado, investito della questione, con la sentenza poi impugnata in sede d’appello, ha dichiarato il ricorso proposto in parte improcedibile, in considerazione della sopravvenuta revoca dell’ordinanza impugnata, e in parte da rigettare, sostenendo che …in base alla sentenza del 18 marzo del 2011 della Corte Edu in materia di simboli religiosi ogni stato membro è titolare di un margine di apprezzamento quanto al luogo della loro esposizione, dovendosi al contempo escludere che il crocifisso rappresenti un elemento di indottrinamento, incompatibile, in quanto tale, con la libera espressione del pensiero…”.

I motivi di impugnazione e la decisione del Consiglio sull’improcedibilità

Avverso la decisione sono stati dedotti quattro motivi di appello, rispettivamente rubricati:

a) Violazione degli art. 34 e 35 cod. proc. amm. e dell’art. 100 c.p.c., e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.) con conseguente omessa pronuncia.

b) Contraddittorietà e illogicità della motivazione. Vizio di omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c.

c) Violazione degli artt. 9, 14 e 53 della CEDU, ratificata e resa esecutiva con legge n. 848 del 1955, e violazione dell’art. 74 cod. proc. amm.

d) Riproposizione dei motivi di ricorso svolti nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e non esaminati o rigettati dalla sentenza appellata.

Con il primo motivo di appello, in particolare, è stata contestata l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui è stata dichiarata l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

L’associazione ricorrente, infatti, ha sostenuto di avere un interesse attuale all’annullamento, evidenziando che la mera revoca per aver esplicato i suoi effetti, a differenza dell’annullamento, non opera retroattivamente e non soddisfa gli interessi azionati con il ricorso.

L’interesse ad un accertamento dell’illegittimità del provvedimento, d’altronde, risulterebbe in re ipsa dalla possibilità per l’associazione ricorrente di agire, con separato giudizio, a fini risarcitori ex art. 34.3 del codice del processo amministrativo.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto fondato il motivo, non tanto analizzando la differenza tra annullamento e revoca – essendo comunque venuta meno l’originaria ordinanza e dunque non essendo stata comminata alcuna sanzione – quanto piuttosto con riferimento alla prospettata possibilità di chiedere il risarcimento del danno.

E infatti, …per procedersi all’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., è sufficiente dichiarare di avervi interesse a fini risarcitori posto che ai sensi dell’art. 30, comma 5, del codice del processo amministrativo la domanda risarcitoria è proponibile anche in seguito, nel termine previsto da quest’ultima disposizione. Di conseguenza, “una volta manifestato l’interesse risarcitorio, il giudice deve limitarsi ad accertare se l’atto impugnato sia o meno legittimo, come avrebbe fatto in caso di permanente procedibilità dell’azione di annullamento, mentre gli è precluso pronunciarsi su una questione in ipotesi assorbente della fattispecie risarcitoria, oggetto di eventuale successiva domanda”…” (cfr. Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 8 del 2022).

L’interesse, dunque, risulta essere attuale.

La decisione sulla fondatezza nel merito del ricorso in appello

Circa il rigetto nel merito del ricorso in primo grado, l’associazione ha riproposto gli stessi motivi già dedotti in primo grado, sostenendo che il Sindaco avesse ..straripato dai poteri attribuitigli dagli articoli 50 e 54 del d.lgs. n. 267 del 2000….

Anche tale motivo è stato ritenuto fondato dal Giudice d’Appello.

Il Collegio decidente, infatti, ricorda che, nel nostro ordinamento, a garanzia della sfera giuridico-patrimoniale dei consociati, vigono il principio di legalità e il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi e per tale ragione, le fattispecie nelle quali la legge ammette che un atto amministrativo possa avere contenuto atipico sono da ritenersi eccezionali e, per tali motivi, di stretta interpretazione….

Nel caso dei poteri contingibili e urgenti attribuiti al Sindaco, che sono evidentemente a contenuto atipico, il T.U.E.L. ne restringe ulteriormente l’operatività, prevedendo specifici requisiti per il loro esercizio.

Il comma 5 dell’articolo 50, infatti, attribuisce al Sindaco, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, il potere di emettere ordinanze contingibili e urgenti quando vi sia un’ “…urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche…”.

L’art. 54, poi, prevede al comma 4 e 4 bis che il Sindaco quale Ufficiale del Governo “…adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana…” e che tali provvedimenti sono diretti a tutelare l’integrità fisica della popolazione, quelli concernenti la sicurezza urbana sono diretti a prevenire e contrastare [ le situazioni che favoriscono ] l’insorgere di fenomeni criminosi o di illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, la tratta di persone, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili, ovvero riguardano fenomeni di abusivismo, quale l’illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legati all’abuso di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti…”.

Nel caso di specie, poiché il Sindaco ha giustificato l’ordinanza impugnata con l’urgenza di “…preservare le attuali tradizioni ovvero mantenere negli edifici pubblici di questo comune la presenza del crocifisso quale simbolo fondamentale dei valori civili e culturali del nostro paese…”, appare evidente l’assenza di quell’imprescindibile presupposto di continenza e urgenza che avrebbe invece legittimato l’esercizio di tale potere.

Né il Sindaco ha operato il necessario bilanciamento tra gli interessi in gioco, soverchiando inutilmente l’autonomia decisionale e la libertà religiosa di coloro che abitano gli uffici pubblici.

L’accoglimento del ricorso è stato accompagnato dalla compensazione delle spese legali, in considerazione della vigenza di soli pochi mesi del provvedimento illegittimo.

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Obbligo di affissione del crocifisso in tutti gli edifici pubblici mediante ordinanza sindacale

Published On: 8 Aprile 2024

La Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 18 marzo 2024 numero 2567, si è pronunciata in tema di legittimità del comportamento di un Sindaco che, emanando un’ordinanza contingibile e urgente, ha imposto l’obbligo di immediata affissione dei crocifissi in tutti gli edifici pubblici presenti sul territorio comunale, prevedendo addirittura una sanzione pari a cinquecento euro per i trasgressori.

Il Supremo Consesso, in particolare, dopo aver ribadito l’esistenza di un interesse all’accertamento dell’illegittimità di un atto anche ai soli fini risarcitori, ha dichiarato che il provvedimento fosse assolutamente estraneo alle attribuzioni del primo cittadino.

La vicenda e il giudizio di primo grado

Nella fattispecie esaminata dal Consiglio di Stato, solo brevemente tracciata dalla sentenza in rassegna, l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti – UAAR ha ritenuto di impugnare un’ordinanza ex artt. 50 e 54 del D.lgs. n. 267 del 2000 (cd. ordinanze contingibili e urgenti), con la quale il Sindaco di un comune sardo ha “…ordinato l’immediata affissione del crocifisso in tutti gli uffici pubblici presenti nel territorio comunale, prevedendo al contempo la sanzione di euro cinquecento a carico dei trasgressori…”.

Il Tribunale Amministrativo di primo grado, investito della questione, con la sentenza poi impugnata in sede d’appello, ha dichiarato il ricorso proposto in parte improcedibile, in considerazione della sopravvenuta revoca dell’ordinanza impugnata, e in parte da rigettare, sostenendo che …in base alla sentenza del 18 marzo del 2011 della Corte Edu in materia di simboli religiosi ogni stato membro è titolare di un margine di apprezzamento quanto al luogo della loro esposizione, dovendosi al contempo escludere che il crocifisso rappresenti un elemento di indottrinamento, incompatibile, in quanto tale, con la libera espressione del pensiero…”.

I motivi di impugnazione e la decisione del Consiglio sull’improcedibilità

Avverso la decisione sono stati dedotti quattro motivi di appello, rispettivamente rubricati:

a) Violazione degli art. 34 e 35 cod. proc. amm. e dell’art. 100 c.p.c., e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.) con conseguente omessa pronuncia.

b) Contraddittorietà e illogicità della motivazione. Vizio di omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c.

c) Violazione degli artt. 9, 14 e 53 della CEDU, ratificata e resa esecutiva con legge n. 848 del 1955, e violazione dell’art. 74 cod. proc. amm.

d) Riproposizione dei motivi di ricorso svolti nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e non esaminati o rigettati dalla sentenza appellata.

Con il primo motivo di appello, in particolare, è stata contestata l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui è stata dichiarata l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

L’associazione ricorrente, infatti, ha sostenuto di avere un interesse attuale all’annullamento, evidenziando che la mera revoca per aver esplicato i suoi effetti, a differenza dell’annullamento, non opera retroattivamente e non soddisfa gli interessi azionati con il ricorso.

L’interesse ad un accertamento dell’illegittimità del provvedimento, d’altronde, risulterebbe in re ipsa dalla possibilità per l’associazione ricorrente di agire, con separato giudizio, a fini risarcitori ex art. 34.3 del codice del processo amministrativo.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto fondato il motivo, non tanto analizzando la differenza tra annullamento e revoca – essendo comunque venuta meno l’originaria ordinanza e dunque non essendo stata comminata alcuna sanzione – quanto piuttosto con riferimento alla prospettata possibilità di chiedere il risarcimento del danno.

E infatti, …per procedersi all’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., è sufficiente dichiarare di avervi interesse a fini risarcitori posto che ai sensi dell’art. 30, comma 5, del codice del processo amministrativo la domanda risarcitoria è proponibile anche in seguito, nel termine previsto da quest’ultima disposizione. Di conseguenza, “una volta manifestato l’interesse risarcitorio, il giudice deve limitarsi ad accertare se l’atto impugnato sia o meno legittimo, come avrebbe fatto in caso di permanente procedibilità dell’azione di annullamento, mentre gli è precluso pronunciarsi su una questione in ipotesi assorbente della fattispecie risarcitoria, oggetto di eventuale successiva domanda”…” (cfr. Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 8 del 2022).

L’interesse, dunque, risulta essere attuale.

La decisione sulla fondatezza nel merito del ricorso in appello

Circa il rigetto nel merito del ricorso in primo grado, l’associazione ha riproposto gli stessi motivi già dedotti in primo grado, sostenendo che il Sindaco avesse ..straripato dai poteri attribuitigli dagli articoli 50 e 54 del d.lgs. n. 267 del 2000….

Anche tale motivo è stato ritenuto fondato dal Giudice d’Appello.

Il Collegio decidente, infatti, ricorda che, nel nostro ordinamento, a garanzia della sfera giuridico-patrimoniale dei consociati, vigono il principio di legalità e il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi e per tale ragione, le fattispecie nelle quali la legge ammette che un atto amministrativo possa avere contenuto atipico sono da ritenersi eccezionali e, per tali motivi, di stretta interpretazione….

Nel caso dei poteri contingibili e urgenti attribuiti al Sindaco, che sono evidentemente a contenuto atipico, il T.U.E.L. ne restringe ulteriormente l’operatività, prevedendo specifici requisiti per il loro esercizio.

Il comma 5 dell’articolo 50, infatti, attribuisce al Sindaco, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, il potere di emettere ordinanze contingibili e urgenti quando vi sia un’ “…urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche…”.

L’art. 54, poi, prevede al comma 4 e 4 bis che il Sindaco quale Ufficiale del Governo “…adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana…” e che tali provvedimenti sono diretti a tutelare l’integrità fisica della popolazione, quelli concernenti la sicurezza urbana sono diretti a prevenire e contrastare [ le situazioni che favoriscono ] l’insorgere di fenomeni criminosi o di illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, la tratta di persone, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili, ovvero riguardano fenomeni di abusivismo, quale l’illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legati all’abuso di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti…”.

Nel caso di specie, poiché il Sindaco ha giustificato l’ordinanza impugnata con l’urgenza di “…preservare le attuali tradizioni ovvero mantenere negli edifici pubblici di questo comune la presenza del crocifisso quale simbolo fondamentale dei valori civili e culturali del nostro paese…”, appare evidente l’assenza di quell’imprescindibile presupposto di continenza e urgenza che avrebbe invece legittimato l’esercizio di tale potere.

Né il Sindaco ha operato il necessario bilanciamento tra gli interessi in gioco, soverchiando inutilmente l’autonomia decisionale e la libertà religiosa di coloro che abitano gli uffici pubblici.

L’accoglimento del ricorso è stato accompagnato dalla compensazione delle spese legali, in considerazione della vigenza di soli pochi mesi del provvedimento illegittimo.

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