Ordinanza di demolizione e possibile sospensione di una successiva SCIA in sanatoria

Published On: 8 Maggio 2023Categories: Edilizia, Urbanistica ed Espropriazioni, Enti locali

La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 26 aprile 2023 numero 4200, si è pronunciata sugli effetti della Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) in sanatoria rispetto ad una precedente ordinanza di demolizione degli abusi edilizi, escludendo qualunque effetto sospensivo.

Il Collegio, ribadendo l’ovvia considerazione che “…la realizzazione di un intervento edilizio, prima del rilascio del titolo prescritto dalla legge, ne comporta irrimediabilmente l’abusività…“, riconosce espresso effetto sospensivo solo alle istanze di condono o agli accertamenti di conformità, ove ve ne siano tutti i presupposti.

La vicenda

Ricostruendo la vicenda concreta sottoposta al suo esame, il Consiglio di Stato ha rimarcato come il padre dei ricorrenti, nel 1986, aveva presentato una istanza di condono per un fabbricato esistente nel centro storico di un Comune calabrese.

Nel 2011 poi, veniva presentata una SCIA per la ristrutturazione di un locale sottotetto, a cui seguiva un’ordinanza di demolizione delle opere realizzate in totale difformità della medesima segnalazione, rimasta non impugnata.

L’anno successivo, i ricorrenti presentavano una ulteriore SCIA, definendola in sanatoria, al fine di ottenere i benefici del cd. piano casa (in Calabria previsti dalle leggi regionali n. 7 del 2012 e n. 21 del 2010).

Entro i termini previsti dalla legge, il Comune dichiarava l’inefficacia di quest’ultima segnalazione per plurime ragioni, invitando i ricorrenti a conseguire prima il condono straordinario e poi a dotarsi della documentazione necessaria (sino a quel momento non presentata) per l’ottenimento dei benefici del piano casa.

Nemmeno tale rigetto è stato impugnato, così come non è stato impugnata la successiva ingiunzione al pagamento della sanzione pecuniaria per abusivismo edilizio.

Poco dopo, il Comune rilasciava finalmente ai ricorrenti il permesso di costruire richiesto dal defunto padre quale condono straordinario per la sopraelevazione e l’ampliamento del fabbricato, cui seguiva una nuova richiesta di SCIA in sanatoria per ottenere i benefici del piano casa.

Nel 2015 venivano notificate più cartelle di pagamento ai ricorrenti, diventate poi oggetto del giudizio di primo grado dinnanzi il Tribunale Amministrativo Regionale di Catanzaro.

Il giudizio di primo grado

I ricorrenti hanno affidato il ricorso introduttivo avverso le suddette cartelle a cinque diverse censure.

Con la prima di queste censure, rubricata “Violazione e falsa applicazione dell’art. 31, 33, 37 d.P.R. n. 380 del 2001, invalidità inefficacia derivata, difetto di istruttoria, eccesso di potere per presupposto erroneo, travisamento, illogicità, contraddittorietà, carenza di motivazione, sviamento…“, hanno contestato, nel merito, i provvedimenti repressivi e sanzionatori emanati dal Comune, ritenendoli illegittimi stante la pendenza dell’istanza di sanatoria.

Con gli ulteriori quattro motivi, invece, sono stati censurati nel merito gli addebiti sottesi alle cartelle esattoriali, contestando anche la correttezza dell’iter procedurale.

L’adito Tribunale Amministrativo, dopo aver evidentemente dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in relazione alle censure concernenti i vizi del procedimento di esecuzione e delle cartelle esattoriali, ha respinto il primo motivo “…negando la possibilità che le due s.c.i.a. del 2012 abbiano estinto la sanzione pecuniaria“.

Il giudizio di secondo grado: l’unico motivo di appello

I ricorrenti in prime cure hanno quindi appellato dinnanzi il Consiglio di Stato tale sentenza, articolando un unico motivo di appello contro le sole statuizioni “di merito” e lasciando così cadere il giudicato circa il difetto di giurisdizione.

Secondo la loro prospettazione, “la presentazione di una domanda di sanatoria renderebbe inefficace l’ordinanza di demolizione e gli eventuali atti successivi…” e dunque “…il comune avrebbe dovuto adottare un provvedimento di diniego inibitorio e successivamente un nuovo provvedimento demolitorio essendo pendente l’ulteriore procedimento a seguito dell’istanza di riesame in sanatoria…”.

A sostegno di tale tesi, gli appellanti hanno osservato che “secondo la disciplina del procedimento di S.C.I.A. […] l’attività edilizia può essere iniziata dalla data di presentazione della segnalazione. L’amministrazione nei trenta giorni successivi può effettuare le verifiche e i controlli e, in caso di irregolarità, qualora sia possibile, può invitare il privato interessato a rendere l’intervento conforme alla normativa vigente entro un termine prefissato. Trascorsi i trenta giorni, il comune può intervenire, peraltro solo in presenza di pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale, qualora non sia possibile regolarizzarne l’attività, con provvedimento espresso. Nel caso in esame, alla S.C.I.A. in sanatoria presentata non avrebbe fatto seguito alcun provvedimento inibitorio e demolitorio, per cui l’ordinanza ingiunzione di pagamento sarebbe, sotto questo profilo, illegittima…”.

La decisione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, rigettando il ricorso in appello, ha innanzitutto rilevato che i ricorrenti hanno omesso di impugnare una serie di provvedimenti prodromici all’emanazione delle sanzioni sottese alle cartelle esattoriali.

Ed infatti, non sono state impugnate né la prima ordinanza di demolizione delle opere realizzate in difformità alla SCIA, né la determinazione di inefficacia della seconda SCIA, né tantomeno la stessa ordinanza di ingiunzione di pagamento della sanzione pecuniaria.

Nonostante tale considerazione fosse già bastevole al rigetto del ricorso, il Consiglio di Stato ha comunque ritenuto di voler precisare i motivi per cui la prospettazione degli appellanti non fosse accoglibile nemmeno nel merito.

Sul punto, la sentenza in commento ha disposto che “ la realizzazione di un intervento edilizio, prima del rilascio del titolo prescritto dalla legge, ne comporta irrimediabilmente l’abusività (quantomeno quella c.d. formale), alla quale può ovviarsi con il diverso procedimento di accertamento di compatibilità urbanistica, di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, sempreché ne ricorrano i presupposti (della c.d. doppia conformità sostanziale). Pertanto, perché si possa produrre la sospensione dell’effetto della ordinanza di demolizione, è necessario presentare una formale istanza di condono o di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 5746 del 8 luglio 2022), ma nel caso di specie non è stato provato che dette istanze siano state presentate…”.

Viene altresì chiarito che, in base al principio di tipicità degli atti amministrativi, una istanza di permesso di costruire o una SCIA possa avere ad oggetto solo lo svolgimento di attività edilizia futura e, comunque, la giurisprudenza maggioritaria ha escluso che il Comune sia costretto ad emanare una nuova ordinanza di demolizione dopo che è stata presentata una formale istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 e sia stata esitata negativamente (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 1432 del 2021; sez. II, n. 1925 del 2020).

Per ragioni di completezza, il Supremo Consesso ha poi evidenziato “…che la tesi di parte ricorrente si infrange con il principio generale secondo cui, di norma, è impossibile realizzare ulteriori opere sul medesimo bene abusivamente edificato pur se oggetto di condono straordinario (Cons. Stato, sez. IV, n. 1326 del 2017, sez. V, n. 673 del 2015)…”.

Quanto alle spese legali, il Consiglio le ha compensate in considerazione della mancata costituzione in appello delle Amministrazioni appellate, ma ha condannato i ricorrenti alla sanzione di euro 2.000 cadauno per aver proposto appello su ragioni manifestamente infondate, ex art. 26, comma 2 del codice del processo amministrativo.

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Ordinanza di demolizione e possibile sospensione di una successiva SCIA in sanatoria

Published On: 8 Maggio 2023

La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 26 aprile 2023 numero 4200, si è pronunciata sugli effetti della Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) in sanatoria rispetto ad una precedente ordinanza di demolizione degli abusi edilizi, escludendo qualunque effetto sospensivo.

Il Collegio, ribadendo l’ovvia considerazione che “…la realizzazione di un intervento edilizio, prima del rilascio del titolo prescritto dalla legge, ne comporta irrimediabilmente l’abusività…“, riconosce espresso effetto sospensivo solo alle istanze di condono o agli accertamenti di conformità, ove ve ne siano tutti i presupposti.

La vicenda

Ricostruendo la vicenda concreta sottoposta al suo esame, il Consiglio di Stato ha rimarcato come il padre dei ricorrenti, nel 1986, aveva presentato una istanza di condono per un fabbricato esistente nel centro storico di un Comune calabrese.

Nel 2011 poi, veniva presentata una SCIA per la ristrutturazione di un locale sottotetto, a cui seguiva un’ordinanza di demolizione delle opere realizzate in totale difformità della medesima segnalazione, rimasta non impugnata.

L’anno successivo, i ricorrenti presentavano una ulteriore SCIA, definendola in sanatoria, al fine di ottenere i benefici del cd. piano casa (in Calabria previsti dalle leggi regionali n. 7 del 2012 e n. 21 del 2010).

Entro i termini previsti dalla legge, il Comune dichiarava l’inefficacia di quest’ultima segnalazione per plurime ragioni, invitando i ricorrenti a conseguire prima il condono straordinario e poi a dotarsi della documentazione necessaria (sino a quel momento non presentata) per l’ottenimento dei benefici del piano casa.

Nemmeno tale rigetto è stato impugnato, così come non è stato impugnata la successiva ingiunzione al pagamento della sanzione pecuniaria per abusivismo edilizio.

Poco dopo, il Comune rilasciava finalmente ai ricorrenti il permesso di costruire richiesto dal defunto padre quale condono straordinario per la sopraelevazione e l’ampliamento del fabbricato, cui seguiva una nuova richiesta di SCIA in sanatoria per ottenere i benefici del piano casa.

Nel 2015 venivano notificate più cartelle di pagamento ai ricorrenti, diventate poi oggetto del giudizio di primo grado dinnanzi il Tribunale Amministrativo Regionale di Catanzaro.

Il giudizio di primo grado

I ricorrenti hanno affidato il ricorso introduttivo avverso le suddette cartelle a cinque diverse censure.

Con la prima di queste censure, rubricata “Violazione e falsa applicazione dell’art. 31, 33, 37 d.P.R. n. 380 del 2001, invalidità inefficacia derivata, difetto di istruttoria, eccesso di potere per presupposto erroneo, travisamento, illogicità, contraddittorietà, carenza di motivazione, sviamento…“, hanno contestato, nel merito, i provvedimenti repressivi e sanzionatori emanati dal Comune, ritenendoli illegittimi stante la pendenza dell’istanza di sanatoria.

Con gli ulteriori quattro motivi, invece, sono stati censurati nel merito gli addebiti sottesi alle cartelle esattoriali, contestando anche la correttezza dell’iter procedurale.

L’adito Tribunale Amministrativo, dopo aver evidentemente dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in relazione alle censure concernenti i vizi del procedimento di esecuzione e delle cartelle esattoriali, ha respinto il primo motivo “…negando la possibilità che le due s.c.i.a. del 2012 abbiano estinto la sanzione pecuniaria“.

Il giudizio di secondo grado: l’unico motivo di appello

I ricorrenti in prime cure hanno quindi appellato dinnanzi il Consiglio di Stato tale sentenza, articolando un unico motivo di appello contro le sole statuizioni “di merito” e lasciando così cadere il giudicato circa il difetto di giurisdizione.

Secondo la loro prospettazione, “la presentazione di una domanda di sanatoria renderebbe inefficace l’ordinanza di demolizione e gli eventuali atti successivi…” e dunque “…il comune avrebbe dovuto adottare un provvedimento di diniego inibitorio e successivamente un nuovo provvedimento demolitorio essendo pendente l’ulteriore procedimento a seguito dell’istanza di riesame in sanatoria…”.

A sostegno di tale tesi, gli appellanti hanno osservato che “secondo la disciplina del procedimento di S.C.I.A. […] l’attività edilizia può essere iniziata dalla data di presentazione della segnalazione. L’amministrazione nei trenta giorni successivi può effettuare le verifiche e i controlli e, in caso di irregolarità, qualora sia possibile, può invitare il privato interessato a rendere l’intervento conforme alla normativa vigente entro un termine prefissato. Trascorsi i trenta giorni, il comune può intervenire, peraltro solo in presenza di pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale, qualora non sia possibile regolarizzarne l’attività, con provvedimento espresso. Nel caso in esame, alla S.C.I.A. in sanatoria presentata non avrebbe fatto seguito alcun provvedimento inibitorio e demolitorio, per cui l’ordinanza ingiunzione di pagamento sarebbe, sotto questo profilo, illegittima…”.

La decisione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, rigettando il ricorso in appello, ha innanzitutto rilevato che i ricorrenti hanno omesso di impugnare una serie di provvedimenti prodromici all’emanazione delle sanzioni sottese alle cartelle esattoriali.

Ed infatti, non sono state impugnate né la prima ordinanza di demolizione delle opere realizzate in difformità alla SCIA, né la determinazione di inefficacia della seconda SCIA, né tantomeno la stessa ordinanza di ingiunzione di pagamento della sanzione pecuniaria.

Nonostante tale considerazione fosse già bastevole al rigetto del ricorso, il Consiglio di Stato ha comunque ritenuto di voler precisare i motivi per cui la prospettazione degli appellanti non fosse accoglibile nemmeno nel merito.

Sul punto, la sentenza in commento ha disposto che “ la realizzazione di un intervento edilizio, prima del rilascio del titolo prescritto dalla legge, ne comporta irrimediabilmente l’abusività (quantomeno quella c.d. formale), alla quale può ovviarsi con il diverso procedimento di accertamento di compatibilità urbanistica, di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, sempreché ne ricorrano i presupposti (della c.d. doppia conformità sostanziale). Pertanto, perché si possa produrre la sospensione dell’effetto della ordinanza di demolizione, è necessario presentare una formale istanza di condono o di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 5746 del 8 luglio 2022), ma nel caso di specie non è stato provato che dette istanze siano state presentate…”.

Viene altresì chiarito che, in base al principio di tipicità degli atti amministrativi, una istanza di permesso di costruire o una SCIA possa avere ad oggetto solo lo svolgimento di attività edilizia futura e, comunque, la giurisprudenza maggioritaria ha escluso che il Comune sia costretto ad emanare una nuova ordinanza di demolizione dopo che è stata presentata una formale istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 e sia stata esitata negativamente (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 1432 del 2021; sez. II, n. 1925 del 2020).

Per ragioni di completezza, il Supremo Consesso ha poi evidenziato “…che la tesi di parte ricorrente si infrange con il principio generale secondo cui, di norma, è impossibile realizzare ulteriori opere sul medesimo bene abusivamente edificato pur se oggetto di condono straordinario (Cons. Stato, sez. IV, n. 1326 del 2017, sez. V, n. 673 del 2015)…”.

Quanto alle spese legali, il Consiglio le ha compensate in considerazione della mancata costituzione in appello delle Amministrazioni appellate, ma ha condannato i ricorrenti alla sanzione di euro 2.000 cadauno per aver proposto appello su ragioni manifestamente infondate, ex art. 26, comma 2 del codice del processo amministrativo.

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