Revoca dell’aggiudicazione ed esclusione in fase di comprova dei requisiti di capacità tecnico professionale

Published On: 20 Febbraio 2023Categories: Appalti Pubblici e Concessioni

La V Sezione del Consiglio di Stato, con la decisione del 16.02.2023 n.1653 qui segnalata, ha affermato alcuni interessanti princìpi in tema di modalità della comprova dei requisiti di capacità tecnico-professionale, in sede di verifica avviata dal RUP sull’aggiudicatario ai sensi dell’art. 32, comma 7, del decreto legislativo 50/2016.

La fattispecie concreta

La vicenda decisa in grado d’appello con la sentenza in rassegna, riguarda la legittimità (o meno) del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione e di esclusione dalla gara adottato nei confronti di un operatore economico il quale, in sede di verifica ex art. 32 comma 7 del decreto legislativo 50/2016 di quanto auto-dichiarato al momento della partecipazione, aveva omesso di comprovare il possesso dei requisiti di capacità tecnico-professionale richiesti dalla lettera invito (nello specifico: l’avvenuto svolgimento, negli ultimi dieci anni antecedenti la pubblicazione del bando di gara, di servizi di ingegneria e architettura nell’ambito della categoria edilizia E.22 – “Interventi di manutenzione, restauro, risanamento conservativo, riqualificazione, su edifici e manufatti di interesse storico artistico”), secondo le modalità prescritte.

In particolare, la lex specialis (lettera d’invito), in una “nota bene” che seguiva la sua apposizione, prevedeva che “la verifica di quanto auto-certificato in sede di gara” avuto riguardo ai requisiti di capacità in discussione, “prevederà la verifica d’ufficio di eventuali incarichi di natura ‘pubblica’, mentre per quelli di natura ‘privata’, sarà richiesta la produzione, a cura del concorrente, di atti concessori ovvero certificati di collaudo che attestino l’effettiva attuazione degli interventi (per immobili ‘vincolati’ dovrà essere esibita l’attestazione di buon esito ovvero n.o. rilasciato dalla competente Soprintendenza)”.

L’operatore economico dichiarato aggiudicatario e sottoposto a verifica, tuttavia, ometteva di trasmettere – in riscontro alle (reiterate) richieste del RUP formulate nel corso della verifica ex art. 32, comma 7 – la documentazione indicata dalla lex di gara, venendo pertanto escluso e subendo la disposta revoca dell’aggiudicazione già pronunziata in suo favore.

L’impugnazione di tale provvedimento, in primo grado proposta avanti al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo – L’Aquila, veniva respinta con la decisione n.487/2021.

L’operatore proponeva quindi appello al Consiglio di Stato.

La decisione del Giudice d’appello

La V Sezione del Consiglio di Stato con la decisione in rassegna ha respinto l’appello dell’operatore economico, confermando la decisione di prime cure e ritenendo legittimo l’operato del RUP e della stazione appaltante.

In particolare, il Supremo Consesso – nell’affrontare la questione centrale sollevata, sin dal primo grado, dall’operatore economico appellante, concernente l’asserita sufficienza della documentazione prodotta per attestare il requisito di capacità, ancorché diversa e difforme da quella richiesta dalla lettera d’invito – ha ritenuto anzitutto di rammentare come, in termini generali, ai fini dell’interpretazione delle clausole di una lex specialis di gara, “vanno applicate le norme in materia di contratti e anzitutto il criterio letterale e quello sistematico, ex artt. 1362 e 1363 Cod. civ.”, con la conseguenza che “le stesse clausole non possono essere assoggettate a procedimento ermeneutico in una funzione integrativa, diretta a evidenziare in esse pretesi significati impliciti o inespressi, ma vanno interpretate secondo il significato immediatamente evincibile dal tenore letterale delle parole utilizzate e dalla loro connessione; soltanto ove il dato testuale presenti evidenti ambiguità deve essere prescelto dall’interprete il significato più favorevole al concorrente (Cons. Stato, 2 marzo 2022 n.1486; 6 agosto 2021, n. 5781; 8 aprile 2021, n. 2844; 8 gennaio 2021, n. 298; III, 24 novembre 2020, n. 7345; 15 febbraio 2021, n. 1322; VI, 6 marzo 2018, n. 1447; V, 27 maggio 2014, n. 2709)”.

In applicazione di tali coordinate ermeneutiche, il Collegio ha ritenuto di non poter condividere e dunque neanche accogliere, “la pretesa avanzata dall’appellante di rimanere in gara in applicazione del principio del favor partecipationis, nonostante la mancata dimostrazione del possesso del requisito nei termini richiesti dalla lex specialis”.

La previsione della lex di gara, infatti, ad avviso del Collegio, “si connota per indubbia chiarezza, né il principio del favor partecipationis può costituire la via per ottenere l’aggiudicazione di una gara pubblica in carenza della dimostrazione della qualificazione a rendere la prestazione richiesta: in particolare, in difetto della dimostrazione del possesso del requisito con le inequivoche modalità richieste dalla stazione appaltante mediante una espressa previsione della lex specialis, non è chiaro su quale base giuridica *** avanzi in giudizio la pretesa del suo mantenimento in gara”.

Né, precisa il Collegio, detta base giuridica può rinvenirsi nell’art. 86 del decreto legislativo 50/2016, “pure invocato dall’appellante nel tentativo di sottarsi al rispetto della lex specialis e alla comprova nei previsti termini del requisito speciale dichiarato”.

Vero è infatti – osserva il Collegio – che l’art. 83 comma 7 del decreto legislativo 50/2016 rinvia, per la dimostrazione del possesso dei requisiti (anche) di capacità tecnica e professionale, al successivo art. 86, che, al comma 5, richiama i mezzi di prova di cui all’allegato XVII, parte II, del Codice, e che detto allegato, sub ii), fa riferimento “all’elenco dei principali servizi effettuati negli ultimi tre anni, con indicazione dei rispettivi importi, date e destinatari, pubblici o privati”, senza cioè pretendere anche, come la lex specialis in esame per i servizi di natura “privata”, la prova dell’esecuzione (già richiesta per la valutabilità dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria dall’art. 263 comma 2 del d.P.R. 207/2010, abrogato dal d.lgs. 50/2016).

Sennonché, va considerato anche il consolidato indirizzo giurisprudenziale che ammette la “possibilità di fissare requisiti di partecipazione più rigorosi e superiori a quelli previsti dalla legge, al fine di consolidare il dato esperienziale necessario per eseguire la prestazione posta a gara con un adeguato standard di qualità, espressamente richiamato sia dall’art. 58 par. 4 della direttiva 2014/24/UE che dall’art. 83 comma 6 del d.lgs. 50/2016”.

In particolare, rammenta ancora il Collegio, è pacifico in giurisprudenza che i bandi di gara possano prevedere requisiti di capacità particolarmente rigorosi, purché non siano discriminanti e abnormi rispetto alle regole proprie del settore, “giacché rientra nella discrezionalità dell’Amministrazione aggiudicatrice di fissare requisiti di partecipazione a una singola gara anche molto rigorosi e superiori a quelli previsti dalla legge. Il che in punto di adeguatezza corrisponde a un corretto uso del principio di proporzionalità nell’azione amministrativa: le credenziali e le qualificazioni pregresse debbono infatti – ai fini dell’efficiente risultato del contratto e dunque dell’interesse alla buona amministrazione mediante una tale esternalizzazione – essere attentamente congrue rispetto all’oggetto del contratto. Sicché tanto più questo è particolare, tanto più il livello dei requisiti da richiedere in concreto deve essere particolare. Errerebbe l’Amministrazione pubblica che, non facendosi carico di un tale criterio di corrispondenza, aprisse incautamente la via dell’aggiudicazione a chi non dimostri inerenti particolari esperienze e capacità. Naturalmente, sempre in ragione del criterio dell’adeguatezza, stavolta congiunto a quello della necessarietà, tali particolari requisiti vanno parametrati all’oggetto complessivo del contratto di appalto ed essere riferiti alle sue specifiche peculiarità, al fine di valutarne la corrispondenza effettiva e concreta alla gara medesima, specie con riferimento a quei requisiti che esprimono la capacità tecnica dei concorrenti” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 4 gennaio 2017, n. 9).

Ebbene, nel caso di specie, il Collegio, “tenuto conto dell’oggetto dell’affidamento (servizi tecnici relativi a un immobile vincolato ai sensi del d.lgs. 42/2004)”, ha ritenuto che non fossero stati violati né il principio di proporzionalità né quello di adeguatezza.

E che, del tutto correttamente e legittimamente, il RUP avesse ritenuto “non valutabile” la documentazione prodotta dall’operatore economico poi ricorrente-appellante (la quale, precisa ancora il Collegio, era “priva di declaratorie delle categorie di progettazione afferenti le prestazioni tecniche rese, nonché dei relativi importi, delle quote di servizio svolte in R.T. e delle attestazioni di buon esito”, e talora riferita a servizi pregressi non “direttamente attinenti”).

Con la conseguenza che il provvedimento di revoca e di esclusione oggetto del gravame è stato ritenuto legittimo.

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Published On: 20 Febbraio 2023

La V Sezione del Consiglio di Stato, con la decisione del 16.02.2023 n.1653 qui segnalata, ha affermato alcuni interessanti princìpi in tema di modalità della comprova dei requisiti di capacità tecnico-professionale, in sede di verifica avviata dal RUP sull’aggiudicatario ai sensi dell’art. 32, comma 7, del decreto legislativo 50/2016.

La fattispecie concreta

La vicenda decisa in grado d’appello con la sentenza in rassegna, riguarda la legittimità (o meno) del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione e di esclusione dalla gara adottato nei confronti di un operatore economico il quale, in sede di verifica ex art. 32 comma 7 del decreto legislativo 50/2016 di quanto auto-dichiarato al momento della partecipazione, aveva omesso di comprovare il possesso dei requisiti di capacità tecnico-professionale richiesti dalla lettera invito (nello specifico: l’avvenuto svolgimento, negli ultimi dieci anni antecedenti la pubblicazione del bando di gara, di servizi di ingegneria e architettura nell’ambito della categoria edilizia E.22 – “Interventi di manutenzione, restauro, risanamento conservativo, riqualificazione, su edifici e manufatti di interesse storico artistico”), secondo le modalità prescritte.

In particolare, la lex specialis (lettera d’invito), in una “nota bene” che seguiva la sua apposizione, prevedeva che “la verifica di quanto auto-certificato in sede di gara” avuto riguardo ai requisiti di capacità in discussione, “prevederà la verifica d’ufficio di eventuali incarichi di natura ‘pubblica’, mentre per quelli di natura ‘privata’, sarà richiesta la produzione, a cura del concorrente, di atti concessori ovvero certificati di collaudo che attestino l’effettiva attuazione degli interventi (per immobili ‘vincolati’ dovrà essere esibita l’attestazione di buon esito ovvero n.o. rilasciato dalla competente Soprintendenza)”.

L’operatore economico dichiarato aggiudicatario e sottoposto a verifica, tuttavia, ometteva di trasmettere – in riscontro alle (reiterate) richieste del RUP formulate nel corso della verifica ex art. 32, comma 7 – la documentazione indicata dalla lex di gara, venendo pertanto escluso e subendo la disposta revoca dell’aggiudicazione già pronunziata in suo favore.

L’impugnazione di tale provvedimento, in primo grado proposta avanti al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo – L’Aquila, veniva respinta con la decisione n.487/2021.

L’operatore proponeva quindi appello al Consiglio di Stato.

La decisione del Giudice d’appello

La V Sezione del Consiglio di Stato con la decisione in rassegna ha respinto l’appello dell’operatore economico, confermando la decisione di prime cure e ritenendo legittimo l’operato del RUP e della stazione appaltante.

In particolare, il Supremo Consesso – nell’affrontare la questione centrale sollevata, sin dal primo grado, dall’operatore economico appellante, concernente l’asserita sufficienza della documentazione prodotta per attestare il requisito di capacità, ancorché diversa e difforme da quella richiesta dalla lettera d’invito – ha ritenuto anzitutto di rammentare come, in termini generali, ai fini dell’interpretazione delle clausole di una lex specialis di gara, “vanno applicate le norme in materia di contratti e anzitutto il criterio letterale e quello sistematico, ex artt. 1362 e 1363 Cod. civ.”, con la conseguenza che “le stesse clausole non possono essere assoggettate a procedimento ermeneutico in una funzione integrativa, diretta a evidenziare in esse pretesi significati impliciti o inespressi, ma vanno interpretate secondo il significato immediatamente evincibile dal tenore letterale delle parole utilizzate e dalla loro connessione; soltanto ove il dato testuale presenti evidenti ambiguità deve essere prescelto dall’interprete il significato più favorevole al concorrente (Cons. Stato, 2 marzo 2022 n.1486; 6 agosto 2021, n. 5781; 8 aprile 2021, n. 2844; 8 gennaio 2021, n. 298; III, 24 novembre 2020, n. 7345; 15 febbraio 2021, n. 1322; VI, 6 marzo 2018, n. 1447; V, 27 maggio 2014, n. 2709)”.

In applicazione di tali coordinate ermeneutiche, il Collegio ha ritenuto di non poter condividere e dunque neanche accogliere, “la pretesa avanzata dall’appellante di rimanere in gara in applicazione del principio del favor partecipationis, nonostante la mancata dimostrazione del possesso del requisito nei termini richiesti dalla lex specialis”.

La previsione della lex di gara, infatti, ad avviso del Collegio, “si connota per indubbia chiarezza, né il principio del favor partecipationis può costituire la via per ottenere l’aggiudicazione di una gara pubblica in carenza della dimostrazione della qualificazione a rendere la prestazione richiesta: in particolare, in difetto della dimostrazione del possesso del requisito con le inequivoche modalità richieste dalla stazione appaltante mediante una espressa previsione della lex specialis, non è chiaro su quale base giuridica *** avanzi in giudizio la pretesa del suo mantenimento in gara”.

Né, precisa il Collegio, detta base giuridica può rinvenirsi nell’art. 86 del decreto legislativo 50/2016, “pure invocato dall’appellante nel tentativo di sottarsi al rispetto della lex specialis e alla comprova nei previsti termini del requisito speciale dichiarato”.

Vero è infatti – osserva il Collegio – che l’art. 83 comma 7 del decreto legislativo 50/2016 rinvia, per la dimostrazione del possesso dei requisiti (anche) di capacità tecnica e professionale, al successivo art. 86, che, al comma 5, richiama i mezzi di prova di cui all’allegato XVII, parte II, del Codice, e che detto allegato, sub ii), fa riferimento “all’elenco dei principali servizi effettuati negli ultimi tre anni, con indicazione dei rispettivi importi, date e destinatari, pubblici o privati”, senza cioè pretendere anche, come la lex specialis in esame per i servizi di natura “privata”, la prova dell’esecuzione (già richiesta per la valutabilità dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria dall’art. 263 comma 2 del d.P.R. 207/2010, abrogato dal d.lgs. 50/2016).

Sennonché, va considerato anche il consolidato indirizzo giurisprudenziale che ammette la “possibilità di fissare requisiti di partecipazione più rigorosi e superiori a quelli previsti dalla legge, al fine di consolidare il dato esperienziale necessario per eseguire la prestazione posta a gara con un adeguato standard di qualità, espressamente richiamato sia dall’art. 58 par. 4 della direttiva 2014/24/UE che dall’art. 83 comma 6 del d.lgs. 50/2016”.

In particolare, rammenta ancora il Collegio, è pacifico in giurisprudenza che i bandi di gara possano prevedere requisiti di capacità particolarmente rigorosi, purché non siano discriminanti e abnormi rispetto alle regole proprie del settore, “giacché rientra nella discrezionalità dell’Amministrazione aggiudicatrice di fissare requisiti di partecipazione a una singola gara anche molto rigorosi e superiori a quelli previsti dalla legge. Il che in punto di adeguatezza corrisponde a un corretto uso del principio di proporzionalità nell’azione amministrativa: le credenziali e le qualificazioni pregresse debbono infatti – ai fini dell’efficiente risultato del contratto e dunque dell’interesse alla buona amministrazione mediante una tale esternalizzazione – essere attentamente congrue rispetto all’oggetto del contratto. Sicché tanto più questo è particolare, tanto più il livello dei requisiti da richiedere in concreto deve essere particolare. Errerebbe l’Amministrazione pubblica che, non facendosi carico di un tale criterio di corrispondenza, aprisse incautamente la via dell’aggiudicazione a chi non dimostri inerenti particolari esperienze e capacità. Naturalmente, sempre in ragione del criterio dell’adeguatezza, stavolta congiunto a quello della necessarietà, tali particolari requisiti vanno parametrati all’oggetto complessivo del contratto di appalto ed essere riferiti alle sue specifiche peculiarità, al fine di valutarne la corrispondenza effettiva e concreta alla gara medesima, specie con riferimento a quei requisiti che esprimono la capacità tecnica dei concorrenti” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 4 gennaio 2017, n. 9).

Ebbene, nel caso di specie, il Collegio, “tenuto conto dell’oggetto dell’affidamento (servizi tecnici relativi a un immobile vincolato ai sensi del d.lgs. 42/2004)”, ha ritenuto che non fossero stati violati né il principio di proporzionalità né quello di adeguatezza.

E che, del tutto correttamente e legittimamente, il RUP avesse ritenuto “non valutabile” la documentazione prodotta dall’operatore economico poi ricorrente-appellante (la quale, precisa ancora il Collegio, era “priva di declaratorie delle categorie di progettazione afferenti le prestazioni tecniche rese, nonché dei relativi importi, delle quote di servizio svolte in R.T. e delle attestazioni di buon esito”, e talora riferita a servizi pregressi non “direttamente attinenti”).

Con la conseguenza che il provvedimento di revoca e di esclusione oggetto del gravame è stato ritenuto legittimo.

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