Valore prognostico dell'informativa antimafia

Published On: 12 Febbraio 2019Categories: Diritto civile, Europa, Normativa, Pubblica Amministrazione, Varie

Con la sentenza del 30 gennaio 2019 numero 758 in materia di informativa antimafia, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’appello delle amministrazioni ricorrenti, chiarendo come tale fondamentale istituto implichi una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia fondata sul ragionamento induttivo e probabilistico del “più probabile che non“, non potendo richiedersi uno standard probatorio che vada oltre ogni ragionevole dubbio.
Il Collegio, svolgendo una articolata disamina sui principi di diritto applicabili alla materia delle informazioni antimafia, ha inteso sostenere un granitico orientamento tanto del Consiglio di Stato stesso quanto della Corte Costituzionale e altresì della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Preliminarmente ricordando che “questo Consiglio di Stato ha già chiarito che tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere ad un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (v., per tutte, Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743…“, il Collegio ha ribadito che “lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011 – riconosce quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di «eventuali tentativi» di infiltrazione mafiosa «tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate»” e che, dunque, ci troviamo di fronte ad una vera e propria fattispecie di pericolo, tipica del diritto della prevenzione il quale non sanziona fatti, penalmente rilevanti, né reprime condotte illecite, ma mira a scongiurare una minaccia per la sicurezza pubblica e la probabilità che siffatto evento si realizzi.
La particolarità della tutela approntata dallo Stato per ipotesi di condizionamento mafioso, è da ricercare nella stessa natura dei rapporti che la magia utilizza per asservire ai suoi scopi uomini e mezzi che, direttamente o indirettamente, stipulano un patto del tutto asimmetrico; la Corte infatti, ricorda che “chi contratta e collabora con la mafia infatti, per convenienza o connivenza, non è mai soggetto, ma solo oggetto di contrattazione“.
Se tutto quanto sopra detto è vero, il Collegio riconosce tuttavia che il pericolo dell’infiltrazione mafiosa “non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice” , dovendo piuttosto “ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali” (i cosiddetti delitti spia), lasciando comunque al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa la valutazione di altri elementi a condotta libera (segnatamente, quelli previsti al comma 6 dell’articolo 91 del decreto legislativo numero 159 del 2011,  rispondenti ad ipotesi di influenza indiretta, nella duplice veste di contiguità soggiacente e contiguità compiacente).
Il Consiglio si spinge oltre e, nel giustificare la scelta del legislatore di non prevedere una casistica fissa ed immutabile di comportamenti tali da preludere all’adozione di una interdittiva antimafia – anche ribadendo come il fondamento della legislazione antimafia riposi nei valori costituzionalmente tutelati della dignità umana e della libertà dell’iniziativa economica privata -, per un verso richiama e fa proprio quanto stabilito dalla sentenza n.4 del 18 gennaio 2018 della Corte Costituzionale, affermando che “la consapevolezza, ben espressa dal giudice delle leggi, che l’infiltrazione mafiosa costituisca una minaccia per tutte le attività economiche, non solo quelle che implicano o comportano un rapporto contrattuale o concessorio con le pubbliche amministrazioni, e per l’ordinamento giuridico, più in generale, anima e orienta tutta la legislazione in materia…“, per altro e correlato verso richiama i principi sanciti dalla sentenza n.3 del 6 aprile 2018 dell’Adunanza Plenaria, per la quale”l’informazione antimafia è un provvedimento amministrativo al quale deve essere riconosciuta natura cautelare e preventiva, in un’ottica di bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost.“.
Il Collegio, per completezza del quadro giurisprudenziale e precisando di non voler ignorare gli incisivi effetti inibitori che l’informativa antimafia ha per l’attività di impresa – giungendo a parlare di “ergastolo imprenditoriale” ove gli stessi dovessero diventare addirittura paralizzanti –  rileva come “voci fortemente critiche si sono levate rispetto alla presunta indeterminatezza dei presupposti normativi che legittimano l’emissione dell’informazione antimafia, sopratutto dopo la recente pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo del 23 febbraio 2017, ric. 43395/09, nel caso De Tommaso c. Italia, riguardante le misure di prevenzione personali…” ma, nonostante ciò, è nella stessa sentenza De Tommaso c. Italia che si rileva che “mentre la certezza è altamente auspicabile, può portare come strascico una eccessiva rigidità e la legge deve essere in grado di tenere il passo con il mutare delle circostanze […] molte leggi sono inevitabilmente formulate in termini che, in misura maggiore o minore, sono vaghi e la cui interpretazione e applicazione sono questioni di pratica…” e che si riconosce dunque il valore di clausola aperta che non sia anche norma in bianco.
Ugualmente, il Consiglio di Stato sconfessa la visione espressa – in ultimo – dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana nella sentenza 247 del 29 luglio 2016, il quale individua chiari ed enucleati elementi indiziari, poiché  si tratterebbe di una vera e propria probatio diabolica in quanto l’infiltrazione mafiosa non è un fatto di reato ma un giudizio prognostico  e valoriale da parte dell’ordinamento, fondato sulla valutazione indiziaria di elementi dotati di valore sintomatico.

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Valore prognostico dell'informativa antimafia

Published On: 12 Febbraio 2019

Con la sentenza del 30 gennaio 2019 numero 758 in materia di informativa antimafia, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’appello delle amministrazioni ricorrenti, chiarendo come tale fondamentale istituto implichi una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia fondata sul ragionamento induttivo e probabilistico del “più probabile che non“, non potendo richiedersi uno standard probatorio che vada oltre ogni ragionevole dubbio.
Il Collegio, svolgendo una articolata disamina sui principi di diritto applicabili alla materia delle informazioni antimafia, ha inteso sostenere un granitico orientamento tanto del Consiglio di Stato stesso quanto della Corte Costituzionale e altresì della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Preliminarmente ricordando che “questo Consiglio di Stato ha già chiarito che tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere ad un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (v., per tutte, Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743…“, il Collegio ha ribadito che “lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011 – riconosce quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di «eventuali tentativi» di infiltrazione mafiosa «tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate»” e che, dunque, ci troviamo di fronte ad una vera e propria fattispecie di pericolo, tipica del diritto della prevenzione il quale non sanziona fatti, penalmente rilevanti, né reprime condotte illecite, ma mira a scongiurare una minaccia per la sicurezza pubblica e la probabilità che siffatto evento si realizzi.
La particolarità della tutela approntata dallo Stato per ipotesi di condizionamento mafioso, è da ricercare nella stessa natura dei rapporti che la magia utilizza per asservire ai suoi scopi uomini e mezzi che, direttamente o indirettamente, stipulano un patto del tutto asimmetrico; la Corte infatti, ricorda che “chi contratta e collabora con la mafia infatti, per convenienza o connivenza, non è mai soggetto, ma solo oggetto di contrattazione“.
Se tutto quanto sopra detto è vero, il Collegio riconosce tuttavia che il pericolo dell’infiltrazione mafiosa “non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice” , dovendo piuttosto “ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali” (i cosiddetti delitti spia), lasciando comunque al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa la valutazione di altri elementi a condotta libera (segnatamente, quelli previsti al comma 6 dell’articolo 91 del decreto legislativo numero 159 del 2011,  rispondenti ad ipotesi di influenza indiretta, nella duplice veste di contiguità soggiacente e contiguità compiacente).
Il Consiglio si spinge oltre e, nel giustificare la scelta del legislatore di non prevedere una casistica fissa ed immutabile di comportamenti tali da preludere all’adozione di una interdittiva antimafia – anche ribadendo come il fondamento della legislazione antimafia riposi nei valori costituzionalmente tutelati della dignità umana e della libertà dell’iniziativa economica privata -, per un verso richiama e fa proprio quanto stabilito dalla sentenza n.4 del 18 gennaio 2018 della Corte Costituzionale, affermando che “la consapevolezza, ben espressa dal giudice delle leggi, che l’infiltrazione mafiosa costituisca una minaccia per tutte le attività economiche, non solo quelle che implicano o comportano un rapporto contrattuale o concessorio con le pubbliche amministrazioni, e per l’ordinamento giuridico, più in generale, anima e orienta tutta la legislazione in materia…“, per altro e correlato verso richiama i principi sanciti dalla sentenza n.3 del 6 aprile 2018 dell’Adunanza Plenaria, per la quale”l’informazione antimafia è un provvedimento amministrativo al quale deve essere riconosciuta natura cautelare e preventiva, in un’ottica di bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost.“.
Il Collegio, per completezza del quadro giurisprudenziale e precisando di non voler ignorare gli incisivi effetti inibitori che l’informativa antimafia ha per l’attività di impresa – giungendo a parlare di “ergastolo imprenditoriale” ove gli stessi dovessero diventare addirittura paralizzanti –  rileva come “voci fortemente critiche si sono levate rispetto alla presunta indeterminatezza dei presupposti normativi che legittimano l’emissione dell’informazione antimafia, sopratutto dopo la recente pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo del 23 febbraio 2017, ric. 43395/09, nel caso De Tommaso c. Italia, riguardante le misure di prevenzione personali…” ma, nonostante ciò, è nella stessa sentenza De Tommaso c. Italia che si rileva che “mentre la certezza è altamente auspicabile, può portare come strascico una eccessiva rigidità e la legge deve essere in grado di tenere il passo con il mutare delle circostanze […] molte leggi sono inevitabilmente formulate in termini che, in misura maggiore o minore, sono vaghi e la cui interpretazione e applicazione sono questioni di pratica…” e che si riconosce dunque il valore di clausola aperta che non sia anche norma in bianco.
Ugualmente, il Consiglio di Stato sconfessa la visione espressa – in ultimo – dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana nella sentenza 247 del 29 luglio 2016, il quale individua chiari ed enucleati elementi indiziari, poiché  si tratterebbe di una vera e propria probatio diabolica in quanto l’infiltrazione mafiosa non è un fatto di reato ma un giudizio prognostico  e valoriale da parte dell’ordinamento, fondato sulla valutazione indiziaria di elementi dotati di valore sintomatico.

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