Affidamento, tramite accordo fra PA, di servizi di ricerca
L’ANAC, con la Delibera n. 619 del 4 luglio 2018, ha fornito importanti chiarimenti in materia di qualificazione accordi fra pubbliche amministrazioni, ai fini della applicabilità o meno dell’art. 5, comma 6 del decreto legislativo n.50/2016 (ovvero della valutazione sulla ricorrenza delle condizioni che consentono di ritenere l’accordo medesimo sottratto all’ambito di applicazione del nuovo codice dei contratti pubblici).
Al fine di stabilire se un accordo concluso fra più amministrazioni possa ritenersi conforme alle disposizioni del citato art. 5, comma 6, del d.lgs. 50/2016 – osserva l’ANAC – occorre preliminarmente rammentare come, ai sensi di tale norma, la disciplina dettata dal Codice non trovi applicazione agli accordi conclusi “esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici” quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
- l’accordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune;
- l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico;
- le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione.
Come già osservato dall’Autorità (cfr. parere AG14/2017/AP), la norma sopra richiamata – dettata in recepimento dell’art. 1, paragrafo 6, della direttiva 24/2014/UE – indica in maniera tassativa i limiti entro i quali detti accordi possono essere conclusi, affinché possa ritenersi legittima l’esenzione dal Codice, valendo a disciplinare comunque un istituto già previsto in linea generale dall’art. 15 della l. n.241/1990 (ai sensi del quale «anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune»: cfr. sul punto, ANAC determina n. 7/2010).
Ciò posto, con la delibera in rassegna, l’ANAC rammenta ancora di avere già, “..in coerenza con l’avviso giurisprudenziale in materia (Corte di Giustizia UE, ord.16 maggio 2013, causa C-564/11; sent. 19 dicembre 2012, causa C-159/11; Consiglio di Stato, sent. n. 3130 del 23/06/2014 e n. 3849 del 15 luglio 2013)..” osservato “…che le direttive sugli appalti devono essere applicate sulla base di un approccio funzionale, e cioè in modo coerente con gli obiettivi ad esse sottesi, i quali consistono nell’imporre alle amministrazioni il rispetto della concorrenza laddove debba affidare attività economicamente contendibili…” (cfr. pareri sulla normativa AG/07/15/AP, AG34/16/AP e Del. n. 216/2016, riferiti all’assetto normativo recato da d.lgs. 163/2006) e che “..conseguentemente, gli accordi tra PA sono necessariamente quelli aventi la finalità di disciplinare attività non deducibili in contratti di diritto privato, perché non inquadrabili in alcuna delle categorie di prestazioni elencate nell’allegato II-A alla direttiva appalti 2004/18/CE; il contenuto e la funzione elettiva di tali accordi è quella di regolare le rispettive attività funzionali, purché di nessuna di queste possa appropriarsi uno degli enti stipulanti. Pertanto, qualora un’amministrazione si ponga rispetto all’accordo come un operatore economico, prestatore di servizi e verso un corrispettivo, anche non implicante il riconoscimento di un utile economico ma solo il rimborso dei costi, non è possibile parlare di una cooperazione tra enti pubblici per il perseguimento di funzioni di servizio pubblico comune, ma di uno scambio tra i medesimi. Negli accordi tra amministrazioni pubbliche, pertanto, assume rilievo la posizione di equiordinazione tra le stesse, al fine di coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune e non di comporre un conflitto di interessi di carattere patrimoniale; occorre, in sostanza, una “sinergica convergenza” su attività di interesse comune, pur nella diversità del fine pubblico perseguito da ciascuna amministrazione…”
Convergenza che difetta, continua l’ANAC, “.. nel caso in cui il contratto sia inquadrabile nel paradigma generale previsto dall’art. 1321 cod. civ., essendo caratterizzato dalla patrimonialità del rapporto giuridico con esso costituito e disciplinato, a causa della riconducibilità delle prestazioni demandate all’ente di servizi che – pur rientranti in astratto nella sua istituzionale funzione – sono annoverabili tra le attività di cui all’allegato II-A alla direttiva 2004/18 e sono destinate ad essere fatte proprie dall’Amministrazione affidante, in quanto strumentali rispetto ai suoi compiti, con acquisizione di una utilitas in via diretta delle stesse…”.
Sulla base di tali considerazioni, l’ANAC – che ha già in precedenza ritenuto che una convenzione tra PA rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 15, l. 241/1990 ove regoli la realizzazione di interessi pubblici effettivamente comuni alle parti, con una reale divisione di compiti e responsabilità, in assenza di remunerazione (ad eccezione del ristoro delle spese sostenute) e senza interferire con gli interessi salvaguardati dalla normativa sugli appalti pubblici – ha ritenuto che l’accordo sottoposto al suo esame non presentasse i caratteri tipici del partenariato pubblico-pubblico, trattandosi piuttosto di un affidamento di servizi di ricerca, dietro pagamento di un corrispettivo, senza una reale condivisione di attività e risultati (che sono di esclusiva proprietà di una delle due PA che ha sottoscritto dell’Accordo) ed in assenza di una sinergica convergenza su attività di interesse comune, quali elementi richiesti ai fini dell’applicazione dell’art. 5, comma 6, del Codice.
E che esso al contrario ricade nell’ambito di applicazione del primo comma dell’articolo 158 del Codice dei Contratti, il quale – confermando la disciplina dei contratti di ricerca e sviluppo già prevista nel previgente art. 19, comma 1, lett. f) del d.lgs. 163/2006 – prevede l’applicabilità della disciplina del Codice all’accordo siglato, allorchè esso soddisfi entrambe le seguenti condizioni: i) i risultati appartengono esclusivamente all’amministrazione aggiudicatrice e all’ente aggiudicatore, affinché li usi nell’esercizio della sua attività; ii) la prestazione del servizio è interamente retribuita dall’amministrazione aggiudicatrice e dall’ente aggiudicatore (cfr., sul previgente art. 19, comma 1, lett. f) del d.lgs. 163/2006: ANAC, pareri sulla normativa AG42/2013 e AG 52/2016 e del. n. 72/2009).