Responsabilità precontrattuale della Stazione appaltante in caso di annullamento giurisdizionale della aggiudicazione definitiva
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 21 del 29.11.2021, è tornata a pronunciarsi sulla configurabilità (o meno) della responsabilità precontrattuale nelle procedure ad evidenza pubblica, avuto particolare riguardo all’ipotesi di danno derivante dal legittimo affidamento suscitato nel destinatario di aggiudicazione definitiva di appalto di lavori, servizi o forniture, successivamente revocata in seguito ad una pronuncia giudiziale.
Le questioni deferite.
Il recente pronunciamento della Plenaria è stato “sollecitato” dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato la quale, con l’ordinanza n. 2753/2021, le aveva deferito ex art. 99 C.P.A. i seguenti quesiti:
- “se in relazione ad un «favorevole provvedimento amministrativo annullato in sede giurisdizionale» sia possibile configurare un «legittimo e qualificato affidamento» tutelabile con un’azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione”;
- “in caso positivo, in presenza di quali condizioni ed entro quali limiti può riconoscersi al privato un diritto al risarcimento per lesione dell’affidamento incolpevole, con particolare riferimento all’ipotesi di aggiudicazione definitiva di appalto di lavori, servizi o forniture successivamente revocata a seguito di una pronuncia giudiziale.
La risposta dell’Adunanza Plenaria alla prima questione.
Relativamente alla prima questione deferita, l’Alto Consesso ha fornito risposta affermativa, sancendo il principio di diritto secondo cui “nei rapporti di diritto amministrativo, inerenti al pubblico potere, è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio di tale potere e sull’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità non solo per comportamenti contrari ai canoni di origine civilistica ora richiamati, ma anche per il caso di provvedimento favorevole annullato su ricorso di terzi”.
Sotto tale aspetto, in particolare, l’Adunanza Plenaria ha anzitutto rammentato come “l’affidamento nella legittimità dei provvedimenti dell’amministrazione e più in generale sulla correttezza del suo operato è riconosciuto dalla risalente giurisprudenza di questa Adunanza plenaria come situazione giuridica soggettiva tutelabile attraverso il rimedio del risarcimento del danno” (si vedano le decisioni 6/2005 e 5/2018). Ciò, essendo invero ed ormai pacifico come l’Amministrazione “nell’applicare le norme sull’evidenza pubblica ..è anche soggetta alle «norme di correttezza di cui all’art.1337 c.c. prescritte dal diritto comune»” e potendosi pertanto verificare che – anche in caso d’un legittimo intervento di ritiro in via di autotutela dell’aggiudicazione – vada comunque “riconosciuto il risarcimento per la lesione dell’affidamento maturato dall’aggiudicataria sulla conclusione del contratto, una volta che la sua offerta era stata selezionata in gara come la migliore ed era stato emesso a suo favore il provvedimento definitivo”.
“Le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza”, rammenta infatti la Plenaria, “operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l’altro concernente invece la responsabilità dell’amministrazione e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte”; di talchè, i profili in questione oltre che distinti sono “autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l’accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l’amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi”.
Ed ancora “l’ordinaria possibilità che una responsabilità da comportamento scorretto sussista nonostante la legittimità del provvedimento amministrativo che conclude il procedimento è stata in particolare affermata dalla citata pronuncia di questa Adunanza plenaria 4 maggio 2018, n. 5, in cui si è anche precisato che la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione nelle procedure di affidamento di contratti pubblici è una responsabilità «da comportamento illecito, che spesso non si traduce in provvedimenti illegittimi, ma, per molti versi, presuppone la legittimità dei provvedimenti che scandiscono la parabola procedurale»”.
Rammentando ancora l’Alto Consesso come sia parimenti consolidato, presso la propria giurisprudenza, che “l’affidamento «è un principio generale dell’azione amministrativa che opera in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività» (Cons. Stato, VI, 13 agosto 2020, n.5011)” e che detto principio – nonostante la sua matrice civilistica – “è ormai considerato canone ordinatore anche dei comportamenti delle parti coinvolte nei rapporti di diritto amministrativo, ovvero quelli che si instaurano nell’esercizio del potere pubblico, sia nel corso del procedimento amministrativo sia dopo che sia stato emanato il provvedimento conclusivo”.
Ciò che peraltro trova conferma, ad avviso dell’Adunanza Plenaria, nella recente introduzione, in seno all’art. 1 della L. 241/1990, del comma 2 bis ad opera della legge 120/2020 (di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, recante «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali») ed ai sensi del quale “i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buonafede”.
Tale disposizione, osserva la Plenaria, vale invero a positivizzare “una regola di carattere generale dell’agire pubblicistico dell’amministrazione, che trae fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97, comma 2, Cost.) e che porta a compimento la concezione secondo cui il procedimento amministrativo.. è il luogo di composizione del conflitto tra l’interesse pubblico primario e gli altri interessi, pubblici e privati, coinvolti nell’esercizio del primo”, sicchè “il dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede ha ..portata bilaterale, perché sorge nell’ambito di una relazione che, sebbene asimmetrica, è nondimeno partecipata; ed in ragione di ciò esso si rivolge all’amministrazione e ai soggetti che a vario titolo intervengono nel procedimento“.
Da ciò dunque deriva il sorgere di aspettative che “per il privato istante si indirizzano all’utilità derivante dall’atto finale del procedimento, la cui frustrazione può essere per l’amministrazione fonte di responsabilità.. non solo in caso di atto legittimo, come nella fattispecie decisa dall’Adunanza plenaria nelle sopra menzionate sentenze del 6 settembre 2005, n. 6, e del 4 maggio 2018, n. 5, ma anche nel caso di atto illegittimo, poi annullato in sede giurisdizionale”.
La risposta dell’Adunanza Plenaria alla seconda questione.
Con riferimento alla seconda questione di diritto, concernente i limiti entro cui può essere riconosciuto il risarcimento per lesione dell’affidamento, con particolare riguardo all’ipotesi di aggiudicazione definitiva di appalto di lavori, servizi o forniture, successivamente revocata a seguito di una pronuncia giudiziale, l’Adunanza Plenaria ha effettuato un complesso ragionamento, che ha preso le mosse dalla notazione per cui, proprio “questo settore dell’attività della pubblica amministrazione è quello in cui tradizionalmente e più volte è stata riconosciuta la responsabilità di quest’ultima” giacchè l’attività contrattuale dell’Amministrazione “sebbene svolta secondo i moduli autoritativi ed impersonali dell’evidenza pubblica.. è nello stesso tempo inquadrabile nello schema delle trattative prenegoziali, da cui deriva quindi l’assoggettamento al generale dovere di «comportarsi secondo buona fede» enunciato dall’art. 1337 del codice civile”.
Il Supremo Consesso quindi, rammenta come, “per comune acquisizione di diritto civile, la tutela risarcitoria per responsabilità precontrattuale è posta a presidio dell’interesse a non essere coinvolto in trattative inutili, e dunque del più generale interesse di ordine economico a che sia assicurata la serietà dei contraenti nelle attività preparatorie e prodromiche al perfezionamento del vincolo negoziale” (derivando da ciò che, in tali evenienze, la reintegrazione per equivalente è prevista “non già in relazione all’interesse positivo, corrispondente all’utile che si sarebbe ottenuto dall’esecuzione del contratto.. ma dell’interesse negativo, con il quale sono ristorate le spese sostenute per le trattative contrattuali e la perdita di occasioni contrattuali alternative, secondo la dicotomia ex art. 1223 cod. civ. danno emergente –lucro cessante”).
Ed ancora come, se nel diritto civile l’affidamento può dirsi legittimo quando è “fondato su un livello di definizione delle trattative tale per cui la conclusione del contratto, di cui sono già stati fissati gli elementi essenziali, può essere considerato come uno sbocco prevedibile” [di talché “il recesso dalle trattative, in linea di principio libero, risulti invece ingiustificato sul piano oggettivo e integrante una condotta contraria al dovere di buona fede ex art. 1337 cod. civ. (ex multis: Cass. civ., II, 15 aprile 2016, n.7545; III, 29 marzo 2007, n. 7768)”], analogamente nel diritto amministrativo (ed in particolare nelle procedure ad evidenza pubblica) può dirsi che “l’affidamento è legittimo quando sia stata pronunciata l’aggiudicazione definitiva, cui non abbia poi fatto seguito la stipula del contratto”, benchè ciò rientri nel più ampio potere di autotutela della stazione appaltante.
L’aggiudicazione definitiva, osserva in particolare la Plenaria, è infatti “il punto di emersione dell’affidamento ragionevole, tutelabile pertanto con il rimedio della responsabilità precontrattuale” e il recesso ingiustificato – laddove assuma i connotati di un provvedimento di revoca o di annullamento d’ufficio legittimi – non vale “ad esonerare l’amministrazione da responsabilità per avere inutilmente condotto una procedura di gara fino all’atto conclusivo ed avere così ingenerato e fatto maturare il convincimento della sua positiva conclusione con la stipula del contratto d’appalto”.
L’Alto Consesso, sul punto, ha poi richiamato l’orientamento, di segno opposto, della Corte di Cassazione (sent. n. 15260/2014) secondo cui l’affidamento del concorrente sarebbe “tutelabile «indipendentemente da un affidamento specifico alla conclusione del contratto»” e pertanto l’Amministrazione sarebbe “responsabile sul piano precontrattuale «a prescindere dalla prova dell’eventuale diritto all’aggiudicazione del partecipante»”.
Ciò per notare come “l’apparente contrasto rispetto agli approdi della giurisprudenza amministrativa” possa e debba tuttavia essere “ridimensionato“, “avuto riguardo al fatto che il caso deciso dalla Cassazione riguardava il concorrente primo classificato in una procedura di gara poi annullata in sede giurisdizionale amministrativa su ricorso di un altro concorrente” ed osservandosi come “la stessa giurisprudenza amministrativa non si è del resto arroccata su rigidi apriorismi, ma con criterio elastico – che questa Adunanza plenaria ritiene condivisibile – ha negato rilievo dirimente all’intervenuta aggiudicazione definitiva, laddove ha in particolare affermato che la verifica di un affidamento ragionevole sulla conclusione positiva della procedura di gara va svolta in concreto, in ragione del fatto che «il grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della revoca, riflettendosi sullo spessore dell’affidamento ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello scrutinio di fondatezza della domanda risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale» (Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831)“.
In tal senso, del resto, l’Adunanza plenaria si era già espressa con la decisione n. 5/2018, ove aveva affermato che “la responsabilità precontrattuale può insorgere «anche prima dell’aggiudicazione e possa derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai più volte richiamati doveri di correttezza e buona fede»”, precisando altresì, in via generale, che l’istituto della responsabilità precontrattuale – operando con lo scopo di assicurare d’un canto la serietà delle trattative e dall’altro la conclusione del contratto – “costituisce il punto di equilibrio: «tra la libertà contrattuale della stazione appaltante e la discrezionalità nell’esercizio delle sue prerogative pubblicistiche da una parte, rispetto del limite della correttezza e della buona fede, dall’altro»” avuto riguardo a “un ineliminabile margine di rischio in ordine alla conclusione del contratto” che ciascun contraente assume non potendo confidare sempre “sulla positiva conclusione delle trattative, ma solo quando queste abbiano raggiunto un grado di sviluppo tale da rendere ragionevolmente prevedibile la stipula del contratto”.
Sicchè, il “primo requisito dell’affidamento tutelabile” è rimasto individuato ad avviso della Plenaria in relazione alla sua “ragionevolezza” ed al “correlato carattere ingiustificato del recesso“.
A tal punto, l’Adunanza Plenaria ha proceduto ad enucleare i contorni del secondo requisito necessario al sorgere d’una responsabilità precontrattuale della Stazione appaltante, e cioè quello consistente “nel carattere colposo della condotta dell’amministrazione“, giacchè “la violazione del dovere di correttezza e buona fede deve esserle imputabile quanto meno a colpa, secondo le regole generali valevoli in materia di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. (in questo senso va ancora richiamato Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5)“.
Per darsi responsabilità, osserva ancora l’Alto Consesso, non deve però essere inficiato da colpa l’affidamento del concorrente: ai sensi dell’art. 1338 c.c., che “assoggetta a responsabilità precontrattuale la «parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte»”, il risarcimento è infatti escluso “se la conoscenza di una causa invalidante il contratto è comune ad entrambe le parti che conducono le trattative, poiché nessuna legittima aspettativa di positiva conclusione delle trattative può mai dirsi sorta (in questo senso, di recente: Cass. civ, III, 18maggio 2016, n. 10156; sez. lav., ord. 31 gennaio 2020, n. 2316; sent. 5febbraio 2016, n. 2327)”.
“Il profilo in esame“, osserva ancora la Plenaria, “ha rilievo rispetto al potere di annullamento d’ufficio della procedura di gara, ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, che opera in modo distinto rispetto alla revoca ai sensi dell’art. 21-quinquies della medesima legge sul procedimento amministrativo, perché interviene non già come rivalutazione dell’interesse pubblico sotteso all’affidamento del contratto, secondo l’ampia definizione del potere di revoca data dalla disposizione da ultimo richiamata, ma per rimuovere un vizio di legittimità degli atti della procedura di gara. Se pertanto il motivo di illegittimità che ha determinato la stazione appaltante ad annullare in autotutela la gara è conoscibile dal concorrente, la responsabilità della prima deve escludersi (in questo senso: Cons. Stato, V, 23 agosto 2016, n. 3674, che ha affermato al riguardo che «al fine di escludere la risarcibilità del pregiudizio patito dal privato a causa dell’inescusabilità dell’ignoranza dell’invalidità dell’aggiudicazione, che il giudice deve verificare in concreto se il principio di diritto violato sia conosciuto o facilmente conoscibile da qualunque cittadino mediamente avveduto, tenuto conto dell’univocità dell’interpretazione della norma di azione e della conoscenza e conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità»)”.
Peraltro, “l’elemento della colpevolezza dell’affidamento si modula diversamente nel caso in cui l’annullamento dell’aggiudicazione non sia disposto d’ufficio dall’amministrazione ma in sede giurisdizionale“: in questo secondo caso infatti “emergono con tutta evidenza i caratteri di specialità del diritto amministrativo rispetto al diritto comune, tra cui la centralità che nel primo assume la tutela costitutiva di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, contraddistinta dal fatto che il beneficiario di questi assume la qualità di controinteressato nel relativo giudizio. Con l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé favorevole, per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine di decadenza entro cui ai sensi dell’art. 29 cod. proc. amm. l’azione deve essere proposta, e di difenderlo. La situazione che viene così a crearsi induce per un verso ad escludere un affidamento incolpevole, dal momento che l’annullamento dell’atto per effetto dell’accoglimento del ricorso diviene un’evenienza non imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere conto ed addirittura da questo avversata allorché deve resistere all’altrui ricorso; per altro verso porta ad ipotizzare un affidamento tutelabile solo prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio”.
Ciò posto, in relazione all’ulteriore questione deferita, l’Adunanza Plenaria ha concluso la propria disamina in funzione nomofilattica, affermando il principio di diritto per cui “nel settore delle procedure di affidamento di contratti pubblici la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, derivante dalla violazione imputabile a sua colpa dei canoni generali di correttezza e buona fede, postula che il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento nella stipula del contratto, da valutare in relazione al grado di sviluppo della procedura, e che questo affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa”.