Silenzio-assenso e permesso di costruire: occorre che l’attività richiesta sia conforme alla disciplina di settore?

Il Consiglio di Stato con la recente sentenza della Sesta Sezione dell’8 luglio 2022 numero 5746, valorizzando la ratio della semplificazione dei procedimenti in materia edilizia, reca un’essenziale precisazione per i soggetti che ambiscono ad ottenere, in tempi ragionevoli, un esito alle loro istanze per ottenere un permesso di costruire, anche attraverso il meccanismo del “silenzio assenso”.

Tale istituto, per le sue sicure positive ricadute quanto a semplificazione e velocizzazione del rapporto tra cittadino e amministrazione, ha registrato negli anni una maggiore attenzione da parte del legislatore – soprattutto dell’ultima “emergenza” – che ne ha via via ampliato la portata.

Anche in materia edilizia l’articolo 20, comma 8, del Testo Unico Edilizia (D.P.R. 380/2001) prevede che, ove il responsabile dell’Ufficio non abbia opposto un motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali.

Accade tuttavia sovente che la mancata conclusione del procedimento nei termini di legge, più che essere correlata ad una specifica scelta degli Uffici, è effetto d’un mancato avvio della necessaria istruttoria, o comunque della sua ritardata definizione.

Ciò che costringe gli enti, in numerosi casi a tornare sugli esiti del provvedimento, ritirando in via di autotutela – laddove possano ravvisare adeguati presupposti – il provvedimento ampliativo venuto in essere in via tacita.

Orbene, è innegabile che i lunghi tempi dell’amministrazione – che lasciano comunque i cittadini privi di un’adeguata tutela in termini di certezza delle loro iniziative con ovvio pregiudizio dei loro diritti di proprietari – sono in effetti un sicuro deterrente anche per l’adeguato sviluppo di correlate attività economiche e del territorio.

Tale incertezza in effetti può essere ulteriormente aggravata da una lettura della norma dell’articolo 20 sopra citato – come quella corroborata sinora da quella giurisprudenza amministrativa – che ha ritenuto che la formazione del silenzio-assenso richieda in ogni caso la piena conformità dell’istanza alla normativa e alla strumentazione urbanistica ed edilizia di riferimento.

Ciò che legittimerebbe l’amministrazione a opporre un diniego anche oltre il termine di 60 giorni.

La pronuncia che si commenta ritiene invece – senza che possano residuare equivoci – che il silenzio-assenso si formi anche quando l’attività, oggetto del provvedimento di cui si chiede l’adozione, non sia conforme alle norme che ne disciplinano lo svolgimento, e ciò in ragione della preminenza dell’obiettivo di semplificazione perseguito dal legislatore volto a rendere più spediti i rapporti tra amministrazione e cittadini.

La rilevanza della decisione, è in effetti disvelata dal “monito” in essa contenuto sulla necessità di non abusare dello strumento del silenzio assenso, anche nella materia edilizia.

Ciò appare chiaro leggendo quel passaggio motivazionale nel quale il Consiglio di Stato ricorda che “…il silenzio-assenso non costituisce una modalità ‘ordinaria’ di svolgimento dell’azione amministrativa, bensì costituisce uno specifico ‘rimedio’ messo a disposizione dei privati a fronte della inerzia dell’amministrazione”; ciò che è confermato da quelle norme, ed in specie “…l’art. 2, comma 9, della legge n. 241 del 1990, secondo cui «[l]a mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente».

Col che, se d’un canto l’istituto del silenzio assenso – che opera anche per le istanze di permesso di costruire – non può che applicarsi senza limitazioni decorsi i termini oltre i quali esso opera, occorre certamente che le amministrazioni, adottino accorti provvedimenti espressi soprattutto nei procedimenti ove vi sia l’esigenza di una istruttoria maggiormente articolata e accorta.

I fatti principali

La scansione dei fatti che hanno dato origine al contenzioso è prioritaria nella lettura della pronuncia, anche al fine di evidenziare i dovuti distinguo, che incidono sul principio affermato in punto di diritto.

La proprietaria di alcuni terreni (situati nel Comune dell’Aquila) presentava un progetto volto ad ottenere il permesso a costruire per la «demolizione e ricostruzione» di un manufatto in legno, con richiesta di ampliamento sin dal dicembre del 2011.

L’istanza veniva rigettata dal Comune con la motivazione dell’esubero di superficie utile consentita in violazione dei limiti previsti dalla legge regionale, e per la ragione che si trattava di intervento già realizzato in assenza di titolo edilizio.

Il giudizio per l’annullamento del diniego del permesso di costruire

Col ricorso (straordinario, poi trasposto innanzi al TAR Abruzzo) era impugnato il provvedimento di diniego e, con successivo ricorso della stessa natura, anche il successivo e correlato ordine di demolizione.

Tra i motivi di censura, veniva dedotta tra l’altro, l’illegittimità dell’ordine di demolizione poiché tardivamente adottato, in ragione del fatto che il Comune aveva assunto il provvedimento di diniego dopo lo scadere dei termini per la formazione del silenzio-assenso.

Il TAR rigettava entrambi i ricorsi, e la proprietaria proponeva appello rimettendo in gioco, nella sostanza, i motivi di impugnazione di primo grado, con le dovute censure all’impianto motivazionale della sentenza gravata, sostenendo ancora nel merito che il permesso di costruire sarebbe stato rilasciato in forma tacita a seguito del mancato e tempestivo rigetto della richiesta da parte del Comune (ed altresì in concreto che l’intervento edilizio in questione non sarebbe stato realizzato prima che il Comune resistente rilasciasse il permesso di costruire, e che non avrebbero inciso nemmeno supposti vincoli ambientali, paesaggistici, o culturali, dai quali il giudice di prime cure aveva discendere l’inapplicabilità delle norme sulla formazione tacita dell’atto abilitativo).

La decisione del giudice d’appello

Il Collegio, al di là delle questioni processuali, ritiene di poter decidere la questione nel merito e confermare la sentenza di primo grado, rimanendo dirimente a favore della legittimità del provvedimento di diniego impugnato (e dunque del mancato operare del silenzio assenso in tal caso) la circostanza che – nel caso concreto – l’intervento edilizio richiesto di demolizione e ricostruzione di un manufatto in legno fosse già stato realizzato, senza che il Comune lo avesse previamente assentito.

Sicché – conferma la pronuncia – la realizzazione di un intervento edilizio prima del rilascio del titolo edilizio prescritto dalla legge, ne comporta irrimediabilmente l’abusività (c.d. formale), alla quale può ovviarsi con il diverso procedimento di accertamento di compatibilità urbanistica, di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, sempreché ne ricorrano i presupposti (della c.d. doppia conformità sostanziale).

Con la conseguenza che nel caso di specie non poteva invocarsi, per via del ritardo con cui il Comune aveva rigettato l’istanza, l’istituto del silenzio-assenso previsto dall’art. 20, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001.

Sicché rimane confermato che – come non manca di evidenziare la pronuncia anche in conclusione – il meccanismo del silenzio assenso (sebbene vada applicato senza esitazioni e distinguo per come previsto e inquadrato nella cornice normativa che si sta per commentare) non può certamente invocarsi in caso della radicale «inconfigurabilità giuridica dell’istanza», e cioè quando l’istanza non sia nemmeno confacente al modello normativo astratto.

La piena operatività del silenzio assenso in materia edilizia

La rilevanza della pronuncia nondimeno, è tutta in quella che il Consiglio di Stato ritiene una “opportuna digressione”.

La pronuncia del Consiglio di Stato con i seguenti passaggi motivazionali evidenzia:

  • l’equivalenza Inerzia/Provvedimento di accoglimento: afferma infatti che “…Il dispositivo tecnico denominato ‘silenzio-assenso’ risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia ‘equivale’ a provvedimento di accoglimento (tale ricostruzione teorica si lascia preferire rispetto alla tesi ‘attizia’ del silenzio, che appare una fictio non necessaria). Tale equivalenza non significa altro che gli effetti promananti dalla fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell’atto amministrativo…”;
  • l’inevitabile corollario: ne discende il “…corollario che, ove sussistono i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge...”;
  • la scelta legislativa e l’irrilevanza della materia o del procedimento: non può infatti rendersi vacua la scelta legislativa in ragione della materia, e ciò perché “…reputare, invece, che la fattispecie sia produttiva di effetti soltanto ove corrispondente alla disciplina sostanziale, significherebbe sottrarre i titoli così formatisi alla disciplina della annullabilità: tale trattamento differenziato, per l’altro, neppure discenderebbe da una scelta legislativa oggettiva, aprioristicamente legata al tipo di materia o di procedimento, bensì opererebbe (in modo del tutto eventuale) in dipendenza del comportamento attivo o inerte della p.a….”;
  • la ratio della semplificazione, che non può esser disconosciuta: spiega infatti la pronuncia che “…l’impostazione di “convertire” i requisiti di validità della fattispecie ‘silenziosa’ in altrettanti elementi costitutivi necessari al suo perfezionamento, vanificherebbe in radice le finalità di semplificazione dell’istituto: nessun vantaggio, infatti, avrebbe l’operatore se l’amministrazione potesse, senza oneri e vincoli procedimentali, in qualunque tempo disconoscere gli effetti della domanda…”;
  • la conferma anche in tale ambito, della residuale operatività del regime dell’eventuale annullamento in autotutela; e ciò perché “…l’obiettivo di semplificazione perseguito dal legislatore – rendere più spediti i rapporti tra amministrazione e cittadini, senza sottrarre l’attività al controllo dell’amministrazione – viene realizzato stabilendo che il potere (primario) di provvedere viene meno con il decorso del termine procedimentale, residuando successivamente la sola possibilità di intervenire in autotutela sull’assetto di interessi formatosi ‘silenziosamente’…”;
  • la prevalenza e l’operare dei principi di collaborazione e buona fede nei rapporti cittadini/Pubblica Amministrazione: a supporto dell’operare del pieno operare dell’istituto del silenzio assenso, per la pronuncia, fa da supporto altresì l’argomento per cui “…l’ammissibilità di un provvedimento di diniego tardivo si porrebbe in contrasto con il principio di «collaborazione e buona fede» (e, quindi, di tutela del legittimo affidamento) cui sono informate le relazioni tra i cittadini e l’Amministrazione (ai sensi dell’art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990)….”.
  • Nello stesso senso depone anche l’obbligo di provvedere (sia pure redatto in forma semplificata) rispetto alle domande manifestamente irricevibili, inammissibili, improcedibili o infondate, sancito dell’art. 2, comma 1, della legge n. 241 del 1990.

Le norme a supporto della tesi del Consiglio di Stato

Ciò detto, ad ulteriore conferma della tesi che il silenzio assenso si formi anche quando l’attività oggetto del provvedimento di cui si chiede l’adozione non sia conforme alle norme sostanziali (e non soltanto ove ricorrano di tutti gli elementi richiesti dalla legge per il rilascio del titolo abilitativo) la pronuncia rinviene, oltre le specifiche ragioni sistematiche sopra articolate, anche puntuali indici normativi.

Tra questi, la pronuncia menziona:

l’espressa previsione della annullabilità d’ufficio anche nel caso in cui il provvedimento si sia formato  ai sensi dell’articolo 20. Difatti, tale norma presuppone che la violazione di legge non incida sul perfezionamento della fattispecie, ma rilevi – secondo le regole generali come per l’atto espressamente formato – in termini di illegittimità dell’atto;

l’art. 2, comma 8-bis, della legge n. 241 del 1990 (introdotto dal decreto-legge n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020) per il quale sono inefficaci le determinazioni relative a provvedimenti, autorizzazioni, pareri, nulla osta e atti di assenso comunque denominati adottate dopo la scadenza dei termini nei casi oggetto delle norme di cui: i) all’articolo 14-bis, comma 2, lettera c)[1] ii) all’articolo 17-bis, commi 1 e 3 [2] ed iii) all’articolo 20, comma 1 [3];

l’art.  2 (rectius 20) comma 2-bis della legge n. 241 del 1990 per il quale – nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento e fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso – l’amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell’intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo. Ciò che può altresì essere attestato – decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta – anche tramite dichiarazione del privato ai sensi dell’articolo​ 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;

– lo stesso comma 8 dell’articolo 20 del Testo Unico Edilizia, che prevede – con disposizione introdotta dall’articolo 10, comma 1, lettera i), del Decreto Semplificazioni 2020 (D.L. n. 76/2020 convertito dalla Legge n. 120/2020) – che lo sportello unico per l’edilizia rilascia anche in via telematica, entro quindici giorni dalla richiesta dell’interessato, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento, in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di provvedimenti di diniego; altrimenti, nello stesso termine, comunica all’interessato che tali atti sono intervenuti;

– ed ancora, depone a favore della tesi della formazione del silenzio-assenso anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge, l’abrogazione dell’art. 21, comma 2, della legge n. 241 del 1990 che assoggettava a sanzione coloro che avessero dato corso all’attività secondo il modulo del silenzio-assenso, “…in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente…”;

– ed infine, l’art. 21, comma 1, della legge n. 241 del 1990 da cui si desume che, in caso di dichiarazioni non false, ma semplicemente incomplete, il silenzio-assenso si perfeziona comunque posta la previsione per la quale all’esito d’una SCIA o d’una domanda di permesso di costruire “…l’interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti. In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi…”.

 

____________________

[1] Ovvero dopo 45 giorni nei quali le amministrazioni coinvolte devono rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della conferenza semplificata cui si riferisce l’articolo 14 bis della legge n.241/1990.

[2] In tal caso dopo trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici, ove sia prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubbliche.

[3] Per effetto della previsione generale riferita alla formazione del silenzio assenso dopo trenta giorni dalla presentazione dell’istanza nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi.

 

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Silenzio-assenso e permesso di costruire: occorre che l’attività richiesta sia conforme alla disciplina di settore?

Published On: 20 Luglio 2022

Il Consiglio di Stato con la recente sentenza della Sesta Sezione dell’8 luglio 2022 numero 5746, valorizzando la ratio della semplificazione dei procedimenti in materia edilizia, reca un’essenziale precisazione per i soggetti che ambiscono ad ottenere, in tempi ragionevoli, un esito alle loro istanze per ottenere un permesso di costruire, anche attraverso il meccanismo del “silenzio assenso”.

Tale istituto, per le sue sicure positive ricadute quanto a semplificazione e velocizzazione del rapporto tra cittadino e amministrazione, ha registrato negli anni una maggiore attenzione da parte del legislatore – soprattutto dell’ultima “emergenza” – che ne ha via via ampliato la portata.

Anche in materia edilizia l’articolo 20, comma 8, del Testo Unico Edilizia (D.P.R. 380/2001) prevede che, ove il responsabile dell’Ufficio non abbia opposto un motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali.

Accade tuttavia sovente che la mancata conclusione del procedimento nei termini di legge, più che essere correlata ad una specifica scelta degli Uffici, è effetto d’un mancato avvio della necessaria istruttoria, o comunque della sua ritardata definizione.

Ciò che costringe gli enti, in numerosi casi a tornare sugli esiti del provvedimento, ritirando in via di autotutela – laddove possano ravvisare adeguati presupposti – il provvedimento ampliativo venuto in essere in via tacita.

Orbene, è innegabile che i lunghi tempi dell’amministrazione – che lasciano comunque i cittadini privi di un’adeguata tutela in termini di certezza delle loro iniziative con ovvio pregiudizio dei loro diritti di proprietari – sono in effetti un sicuro deterrente anche per l’adeguato sviluppo di correlate attività economiche e del territorio.

Tale incertezza in effetti può essere ulteriormente aggravata da una lettura della norma dell’articolo 20 sopra citato – come quella corroborata sinora da quella giurisprudenza amministrativa – che ha ritenuto che la formazione del silenzio-assenso richieda in ogni caso la piena conformità dell’istanza alla normativa e alla strumentazione urbanistica ed edilizia di riferimento.

Ciò che legittimerebbe l’amministrazione a opporre un diniego anche oltre il termine di 60 giorni.

La pronuncia che si commenta ritiene invece – senza che possano residuare equivoci – che il silenzio-assenso si formi anche quando l’attività, oggetto del provvedimento di cui si chiede l’adozione, non sia conforme alle norme che ne disciplinano lo svolgimento, e ciò in ragione della preminenza dell’obiettivo di semplificazione perseguito dal legislatore volto a rendere più spediti i rapporti tra amministrazione e cittadini.

La rilevanza della decisione, è in effetti disvelata dal “monito” in essa contenuto sulla necessità di non abusare dello strumento del silenzio assenso, anche nella materia edilizia.

Ciò appare chiaro leggendo quel passaggio motivazionale nel quale il Consiglio di Stato ricorda che “…il silenzio-assenso non costituisce una modalità ‘ordinaria’ di svolgimento dell’azione amministrativa, bensì costituisce uno specifico ‘rimedio’ messo a disposizione dei privati a fronte della inerzia dell’amministrazione”; ciò che è confermato da quelle norme, ed in specie “…l’art. 2, comma 9, della legge n. 241 del 1990, secondo cui «[l]a mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente».

Col che, se d’un canto l’istituto del silenzio assenso – che opera anche per le istanze di permesso di costruire – non può che applicarsi senza limitazioni decorsi i termini oltre i quali esso opera, occorre certamente che le amministrazioni, adottino accorti provvedimenti espressi soprattutto nei procedimenti ove vi sia l’esigenza di una istruttoria maggiormente articolata e accorta.

I fatti principali

La scansione dei fatti che hanno dato origine al contenzioso è prioritaria nella lettura della pronuncia, anche al fine di evidenziare i dovuti distinguo, che incidono sul principio affermato in punto di diritto.

La proprietaria di alcuni terreni (situati nel Comune dell’Aquila) presentava un progetto volto ad ottenere il permesso a costruire per la «demolizione e ricostruzione» di un manufatto in legno, con richiesta di ampliamento sin dal dicembre del 2011.

L’istanza veniva rigettata dal Comune con la motivazione dell’esubero di superficie utile consentita in violazione dei limiti previsti dalla legge regionale, e per la ragione che si trattava di intervento già realizzato in assenza di titolo edilizio.

Il giudizio per l’annullamento del diniego del permesso di costruire

Col ricorso (straordinario, poi trasposto innanzi al TAR Abruzzo) era impugnato il provvedimento di diniego e, con successivo ricorso della stessa natura, anche il successivo e correlato ordine di demolizione.

Tra i motivi di censura, veniva dedotta tra l’altro, l’illegittimità dell’ordine di demolizione poiché tardivamente adottato, in ragione del fatto che il Comune aveva assunto il provvedimento di diniego dopo lo scadere dei termini per la formazione del silenzio-assenso.

Il TAR rigettava entrambi i ricorsi, e la proprietaria proponeva appello rimettendo in gioco, nella sostanza, i motivi di impugnazione di primo grado, con le dovute censure all’impianto motivazionale della sentenza gravata, sostenendo ancora nel merito che il permesso di costruire sarebbe stato rilasciato in forma tacita a seguito del mancato e tempestivo rigetto della richiesta da parte del Comune (ed altresì in concreto che l’intervento edilizio in questione non sarebbe stato realizzato prima che il Comune resistente rilasciasse il permesso di costruire, e che non avrebbero inciso nemmeno supposti vincoli ambientali, paesaggistici, o culturali, dai quali il giudice di prime cure aveva discendere l’inapplicabilità delle norme sulla formazione tacita dell’atto abilitativo).

La decisione del giudice d’appello

Il Collegio, al di là delle questioni processuali, ritiene di poter decidere la questione nel merito e confermare la sentenza di primo grado, rimanendo dirimente a favore della legittimità del provvedimento di diniego impugnato (e dunque del mancato operare del silenzio assenso in tal caso) la circostanza che – nel caso concreto – l’intervento edilizio richiesto di demolizione e ricostruzione di un manufatto in legno fosse già stato realizzato, senza che il Comune lo avesse previamente assentito.

Sicché – conferma la pronuncia – la realizzazione di un intervento edilizio prima del rilascio del titolo edilizio prescritto dalla legge, ne comporta irrimediabilmente l’abusività (c.d. formale), alla quale può ovviarsi con il diverso procedimento di accertamento di compatibilità urbanistica, di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, sempreché ne ricorrano i presupposti (della c.d. doppia conformità sostanziale).

Con la conseguenza che nel caso di specie non poteva invocarsi, per via del ritardo con cui il Comune aveva rigettato l’istanza, l’istituto del silenzio-assenso previsto dall’art. 20, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001.

Sicché rimane confermato che – come non manca di evidenziare la pronuncia anche in conclusione – il meccanismo del silenzio assenso (sebbene vada applicato senza esitazioni e distinguo per come previsto e inquadrato nella cornice normativa che si sta per commentare) non può certamente invocarsi in caso della radicale «inconfigurabilità giuridica dell’istanza», e cioè quando l’istanza non sia nemmeno confacente al modello normativo astratto.

La piena operatività del silenzio assenso in materia edilizia

La rilevanza della pronuncia nondimeno, è tutta in quella che il Consiglio di Stato ritiene una “opportuna digressione”.

La pronuncia del Consiglio di Stato con i seguenti passaggi motivazionali evidenzia:

  • l’equivalenza Inerzia/Provvedimento di accoglimento: afferma infatti che “…Il dispositivo tecnico denominato ‘silenzio-assenso’ risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia ‘equivale’ a provvedimento di accoglimento (tale ricostruzione teorica si lascia preferire rispetto alla tesi ‘attizia’ del silenzio, che appare una fictio non necessaria). Tale equivalenza non significa altro che gli effetti promananti dalla fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell’atto amministrativo…”;
  • l’inevitabile corollario: ne discende il “…corollario che, ove sussistono i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge...”;
  • la scelta legislativa e l’irrilevanza della materia o del procedimento: non può infatti rendersi vacua la scelta legislativa in ragione della materia, e ciò perché “…reputare, invece, che la fattispecie sia produttiva di effetti soltanto ove corrispondente alla disciplina sostanziale, significherebbe sottrarre i titoli così formatisi alla disciplina della annullabilità: tale trattamento differenziato, per l’altro, neppure discenderebbe da una scelta legislativa oggettiva, aprioristicamente legata al tipo di materia o di procedimento, bensì opererebbe (in modo del tutto eventuale) in dipendenza del comportamento attivo o inerte della p.a….”;
  • la ratio della semplificazione, che non può esser disconosciuta: spiega infatti la pronuncia che “…l’impostazione di “convertire” i requisiti di validità della fattispecie ‘silenziosa’ in altrettanti elementi costitutivi necessari al suo perfezionamento, vanificherebbe in radice le finalità di semplificazione dell’istituto: nessun vantaggio, infatti, avrebbe l’operatore se l’amministrazione potesse, senza oneri e vincoli procedimentali, in qualunque tempo disconoscere gli effetti della domanda…”;
  • la conferma anche in tale ambito, della residuale operatività del regime dell’eventuale annullamento in autotutela; e ciò perché “…l’obiettivo di semplificazione perseguito dal legislatore – rendere più spediti i rapporti tra amministrazione e cittadini, senza sottrarre l’attività al controllo dell’amministrazione – viene realizzato stabilendo che il potere (primario) di provvedere viene meno con il decorso del termine procedimentale, residuando successivamente la sola possibilità di intervenire in autotutela sull’assetto di interessi formatosi ‘silenziosamente’…”;
  • la prevalenza e l’operare dei principi di collaborazione e buona fede nei rapporti cittadini/Pubblica Amministrazione: a supporto dell’operare del pieno operare dell’istituto del silenzio assenso, per la pronuncia, fa da supporto altresì l’argomento per cui “…l’ammissibilità di un provvedimento di diniego tardivo si porrebbe in contrasto con il principio di «collaborazione e buona fede» (e, quindi, di tutela del legittimo affidamento) cui sono informate le relazioni tra i cittadini e l’Amministrazione (ai sensi dell’art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990)….”.
  • Nello stesso senso depone anche l’obbligo di provvedere (sia pure redatto in forma semplificata) rispetto alle domande manifestamente irricevibili, inammissibili, improcedibili o infondate, sancito dell’art. 2, comma 1, della legge n. 241 del 1990.

Le norme a supporto della tesi del Consiglio di Stato

Ciò detto, ad ulteriore conferma della tesi che il silenzio assenso si formi anche quando l’attività oggetto del provvedimento di cui si chiede l’adozione non sia conforme alle norme sostanziali (e non soltanto ove ricorrano di tutti gli elementi richiesti dalla legge per il rilascio del titolo abilitativo) la pronuncia rinviene, oltre le specifiche ragioni sistematiche sopra articolate, anche puntuali indici normativi.

Tra questi, la pronuncia menziona:

l’espressa previsione della annullabilità d’ufficio anche nel caso in cui il provvedimento si sia formato  ai sensi dell’articolo 20. Difatti, tale norma presuppone che la violazione di legge non incida sul perfezionamento della fattispecie, ma rilevi – secondo le regole generali come per l’atto espressamente formato – in termini di illegittimità dell’atto;

l’art. 2, comma 8-bis, della legge n. 241 del 1990 (introdotto dal decreto-legge n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020) per il quale sono inefficaci le determinazioni relative a provvedimenti, autorizzazioni, pareri, nulla osta e atti di assenso comunque denominati adottate dopo la scadenza dei termini nei casi oggetto delle norme di cui: i) all’articolo 14-bis, comma 2, lettera c)[1] ii) all’articolo 17-bis, commi 1 e 3 [2] ed iii) all’articolo 20, comma 1 [3];

l’art.  2 (rectius 20) comma 2-bis della legge n. 241 del 1990 per il quale – nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento e fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso – l’amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell’intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo. Ciò che può altresì essere attestato – decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta – anche tramite dichiarazione del privato ai sensi dell’articolo​ 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;

– lo stesso comma 8 dell’articolo 20 del Testo Unico Edilizia, che prevede – con disposizione introdotta dall’articolo 10, comma 1, lettera i), del Decreto Semplificazioni 2020 (D.L. n. 76/2020 convertito dalla Legge n. 120/2020) – che lo sportello unico per l’edilizia rilascia anche in via telematica, entro quindici giorni dalla richiesta dell’interessato, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento, in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di provvedimenti di diniego; altrimenti, nello stesso termine, comunica all’interessato che tali atti sono intervenuti;

– ed ancora, depone a favore della tesi della formazione del silenzio-assenso anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge, l’abrogazione dell’art. 21, comma 2, della legge n. 241 del 1990 che assoggettava a sanzione coloro che avessero dato corso all’attività secondo il modulo del silenzio-assenso, “…in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente…”;

– ed infine, l’art. 21, comma 1, della legge n. 241 del 1990 da cui si desume che, in caso di dichiarazioni non false, ma semplicemente incomplete, il silenzio-assenso si perfeziona comunque posta la previsione per la quale all’esito d’una SCIA o d’una domanda di permesso di costruire “…l’interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti. In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi…”.

 

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[1] Ovvero dopo 45 giorni nei quali le amministrazioni coinvolte devono rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della conferenza semplificata cui si riferisce l’articolo 14 bis della legge n.241/1990.

[2] In tal caso dopo trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici, ove sia prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubbliche.

[3] Per effetto della previsione generale riferita alla formazione del silenzio assenso dopo trenta giorni dalla presentazione dell’istanza nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi.

 

About the Author: Giorgia Motta