Omessa dichiarazione di penali superiori alla soglia (1 %) individuata dalle Linee Guida ANAC n. 6

Published On: 2 Aprile 2019Categories: Appalti Pubblici e Concessioni, Europa

Il TAR Puglia – Lecce, con la decisione n. 519 del 28 marzo 2019, ha ritenuto legittima l’ammissione della concorrente che aveva omesso di dichiarare, in sede di ammissione, di aver subito penali in relazione ad una precedente commessa, per un importo complessivo corrispondente all’1,26% del valore lordo dell’appalto per il corrispondente periodo e dunque  superiore alla soglia (dell’1 %) individuata dall’ANAC con le Linee Guida n. 6 – rilevando l’insussistenza della causa di esclusione di cui all’art. 80 co. 5 lett. c), d. lgs. n. 50/16 (e segnatamente quella relativa all’aver fornito false informazioni suscettibili di influenzare il processo decisionale della stazione appaltante, per come censurato da parte ricorrente).

A tal fine, il Collegio ha preso le mosse dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di oneri di sicurezza, rammentando in via preliminare come “Il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza devono essere interpretati nel senso che ostano all’esclusione di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico in seguito al mancato rispetto, da parte di tale operatore, di un obbligo che non risulta espressamente dai documenti relativi a tale procedura o dal diritto nazionale vigente, bensì da un’interpretazione di tale diritto e di tali documenti nonché dal meccanismo diretto a colmare, con un intervento delle autorità o dei giudici amministrativi nazionali, le lacune presenti in tali documenti. In tali circostanze, i principi di parità di trattamento e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano al fatto di consentire all’operatore economico di regolarizzare la propria posizione e di adempiere tale obbligo entro un termine fissato dall’amministrazione aggiudicatrice..” (sentenza 2 giugno 2016, causa C-27/15, Pippo Pizzo).

Ancora, il Collegio rammenta come la richiamata pronunzia della Corte di Giustizia, nella sua motivazione, ha evidenziato che il principio di parità di trattamento impone che tutti gli offerenti dispongano delle stesse possibilità nella formulazione delle loro offerte e implica, quindi, che tali offerte siano soggette alle medesime condizioni per tutti gli offerenti; ed ancora che l’obbligo di trasparenza, che ne costituisce il corollario, ha come scopo quello di eliminare i rischi di favoritismo e di arbitrio da parte dell’Amministrazione aggiudicatrice ed “…implica che tutte le condizioni e le modalità della procedura di aggiudicazione siano formulate in maniera chiara, precisa e univoca nel bando di gara o nel capitolato d’oneri, così da permettere, da un lato, a tutti gli offerenti ragionevolmente informati e normalmente diligenti di comprenderne l’esatta portata e d’interpretarle allo stesso modo e, dall’altro, all’amministrazione aggiudicatrice di essere in grado di verificare effettivamente se le offerte degli offerenti rispondano ai criteri che disciplinano l’appalto in questione…”.

Una tale riflessione – rammenta ancora il Collegio – è ripresa anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la quale, con la decisione n. 19/16, ha aderito al citato orientamento del giudice sovranazionale, “…rimarcando che per quest’ultimo i principi di trasparenza e di parità di trattamento che disciplinano tutte le procedure di aggiudicazione di appalti pubblici richiedono che le condizioni sostanziali e procedurali relative alla partecipazione ad un appalto siano chiaramente definite in anticipo e rese pubbliche, in particolare gli obblighi a carico degli offerenti, affinché questi ultimi possano conoscere esattamente i vincoli procedurali ed essere assicurati del fatto che gli stessi requisiti valgono per tutti i concorrenti (v., in tal senso, Corte di Giustizia, 9 febbraio 2006, La Cascina e a., cause C-226/04 e C-228/04). Ciò anche sulla base dell’ulteriore considerazione che subordinare la partecipazione ad una procedura di aggiudicazione ad una condizione derivante dall’interpretazione del diritto nazionale (o dalla prassi di un’autorità) sarebbe particolarmente sfavorevole per gli offerenti stabiliti in altri Stati membri, il cui grado di conoscenza del diritto nazionale e della sua interpretazione può non essere comparabile a quello degli offerenti nazionali….” (cfr. anche Corte di Giustizia UE, che si è poi nuovamente pronunciata sulla questione, ribadendo il citato principio espresso nel suo precedente 2 giugno 2016, C-27/15, Pippo Pizzo, con sentenza del 10.11.2016, causa C-162).

Tanto premesso, e passando al caso in esame, il Collegio ha ritenuto che la sanzione espulsiva invocata dalla ricorrente – “la più grave tra quelle previste in tema di procedure di gara” – non è contemplata da alcuna disposizione né della lex generalis (il d. lgs. n. 50/16), né della lex specialis (bando e disciplinare di gara), venendo invece fatta discendere, fin dalla ricostruzione operata da parte ricorrente, dalle Linee Guida Anac pubblicate nella G.U. n. 2 del 3.1.2017, che affermano la rilevanza delle penali che abbiano superato l’1% del valore lordo di appalto. Ciò, “…secondo l’assunto di parte ricorrente, trattandosi di soglia rilevante, la controinteressata avrebbe dovuto dichiararla al momento della presentazione dell’offerta, sicché il non averlo fatto integra l’ipotesi espulsiva di cui all’art. 80 co. 5 lett. c) d. lgs. n. 50/16 (“… il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”)…”.

L’assunto di parte ricorrente, tuttavia, non è stato condiviso dal Collegio.

E ciò, sotto un primo profilo, in quanto “:..le suddette Linee Guida in esame non sono state approvate con decreto ministeriale o interministeriale. Pertanto, come condivisibilmente affermato dal Consiglio di Stato nel parere 1.4.2016, n. 855 – ribadito con successivo parere 3.3.2017 sullo schema del decreto correttivo (d. lgs. n. 56/17) – esse non possiedono la forza normativa dei regolamenti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 17 comma 3 l. n. 400/88, con tutto ciò che ne deriva in termini di forza e valore dell’atto (tra l’altro: resistenza all’abrogazione da parte di fonti sottordinate e disapplicabilità entro i limiti fissati dalla giurisprudenza amministrativa in sede giurisdizionale)…”; con la conseguenza che dette Linee Guida non sono assimilabili alle fonti del diritto e “…non si vede come esse possano soddisfare il requisito del clare loqui predicato a livello eurounitario…”.

In sostanza“, osserva ancora il Collegio “…si pretende di ricavare la sanzione espulsiva non già dalla violazione di una precisa norma giuridica, ma da una prassi dettata da una autorità amministrativa (tale dovendosi intendere l’Anac), cui, nel caso di specie, non è attribuito alcun potere di normazione primaria o secondaria. Ed è appena il caso di precisare che, proprio perché trattasi di prassi, essa non soddisfa il requisito della certezza dei rapporti giuridici, ben potendo mutare nel corso del tempo. La qual cosa è tanto più vera se si considera che vi è, allo stato, una proposta di modifica delle Linee Guida Anac, della quale dà conto la Sezione Speciale Consultiva del Consiglio di Stato nel parere 13.11.2018, n. 2616/18. Vi si afferma, in particolare, che: “l’ANAC propone di <<integrare la previsione specificando che i provvedimenti di condanna al risarcimento del danno, le sanzioni e le penali rilevano se derivano da inadempienze particolarmente gravi o la cui ripetizione sia indice di una persistente carenza professionale>>, con eliminazione, inoltre, <<dell’obbligo di comunicazione delle penali di importo superiore all’1% del valore del contratto>>, sicché <<le stazioni appaltanti saranno tenute a comunicare esclusivamente le penali che rappresentano inadempienze particolarmente gravi o dimostrative, per la loro ripetitività, di una persistente carenza professionale>>. Ad avviso di questa Commissione speciale la scelta di merito compiuta appare equilibrata e ragionevole e non si hanno rilievi in punto di legittimità da svolgere in merito ad essa” (C.d.S, parere n. 2616/18 cit.).

Da ciò, l’impossibilità di considerare applicabile nella specie la sanzione espulsiva invocata da parte ricorrente, in quanto “…in stridente contrasto con il citato principio del “parlar chiaro”, predicato dalla giurisprudenza eurounitaria e nazionale..”, dovendosi di contro concludere nel senso che la concorrente controinteressata non si era in effetti resa autrice di informazioni false o fuorvianti (art. 80 co. 5 lett. c) d. lgs. n. 50/16) ed era stata per ciò del tutto doverosamente e legittimamente ammessa alla gara.

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Omessa dichiarazione di penali superiori alla soglia (1 %) individuata dalle Linee Guida ANAC n. 6

Published On: 2 Aprile 2019

Il TAR Puglia – Lecce, con la decisione n. 519 del 28 marzo 2019, ha ritenuto legittima l’ammissione della concorrente che aveva omesso di dichiarare, in sede di ammissione, di aver subito penali in relazione ad una precedente commessa, per un importo complessivo corrispondente all’1,26% del valore lordo dell’appalto per il corrispondente periodo e dunque  superiore alla soglia (dell’1 %) individuata dall’ANAC con le Linee Guida n. 6 – rilevando l’insussistenza della causa di esclusione di cui all’art. 80 co. 5 lett. c), d. lgs. n. 50/16 (e segnatamente quella relativa all’aver fornito false informazioni suscettibili di influenzare il processo decisionale della stazione appaltante, per come censurato da parte ricorrente).

A tal fine, il Collegio ha preso le mosse dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di oneri di sicurezza, rammentando in via preliminare come “Il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza devono essere interpretati nel senso che ostano all’esclusione di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico in seguito al mancato rispetto, da parte di tale operatore, di un obbligo che non risulta espressamente dai documenti relativi a tale procedura o dal diritto nazionale vigente, bensì da un’interpretazione di tale diritto e di tali documenti nonché dal meccanismo diretto a colmare, con un intervento delle autorità o dei giudici amministrativi nazionali, le lacune presenti in tali documenti. In tali circostanze, i principi di parità di trattamento e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano al fatto di consentire all’operatore economico di regolarizzare la propria posizione e di adempiere tale obbligo entro un termine fissato dall’amministrazione aggiudicatrice..” (sentenza 2 giugno 2016, causa C-27/15, Pippo Pizzo).

Ancora, il Collegio rammenta come la richiamata pronunzia della Corte di Giustizia, nella sua motivazione, ha evidenziato che il principio di parità di trattamento impone che tutti gli offerenti dispongano delle stesse possibilità nella formulazione delle loro offerte e implica, quindi, che tali offerte siano soggette alle medesime condizioni per tutti gli offerenti; ed ancora che l’obbligo di trasparenza, che ne costituisce il corollario, ha come scopo quello di eliminare i rischi di favoritismo e di arbitrio da parte dell’Amministrazione aggiudicatrice ed “…implica che tutte le condizioni e le modalità della procedura di aggiudicazione siano formulate in maniera chiara, precisa e univoca nel bando di gara o nel capitolato d’oneri, così da permettere, da un lato, a tutti gli offerenti ragionevolmente informati e normalmente diligenti di comprenderne l’esatta portata e d’interpretarle allo stesso modo e, dall’altro, all’amministrazione aggiudicatrice di essere in grado di verificare effettivamente se le offerte degli offerenti rispondano ai criteri che disciplinano l’appalto in questione…”.

Una tale riflessione – rammenta ancora il Collegio – è ripresa anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la quale, con la decisione n. 19/16, ha aderito al citato orientamento del giudice sovranazionale, “…rimarcando che per quest’ultimo i principi di trasparenza e di parità di trattamento che disciplinano tutte le procedure di aggiudicazione di appalti pubblici richiedono che le condizioni sostanziali e procedurali relative alla partecipazione ad un appalto siano chiaramente definite in anticipo e rese pubbliche, in particolare gli obblighi a carico degli offerenti, affinché questi ultimi possano conoscere esattamente i vincoli procedurali ed essere assicurati del fatto che gli stessi requisiti valgono per tutti i concorrenti (v., in tal senso, Corte di Giustizia, 9 febbraio 2006, La Cascina e a., cause C-226/04 e C-228/04). Ciò anche sulla base dell’ulteriore considerazione che subordinare la partecipazione ad una procedura di aggiudicazione ad una condizione derivante dall’interpretazione del diritto nazionale (o dalla prassi di un’autorità) sarebbe particolarmente sfavorevole per gli offerenti stabiliti in altri Stati membri, il cui grado di conoscenza del diritto nazionale e della sua interpretazione può non essere comparabile a quello degli offerenti nazionali….” (cfr. anche Corte di Giustizia UE, che si è poi nuovamente pronunciata sulla questione, ribadendo il citato principio espresso nel suo precedente 2 giugno 2016, C-27/15, Pippo Pizzo, con sentenza del 10.11.2016, causa C-162).

Tanto premesso, e passando al caso in esame, il Collegio ha ritenuto che la sanzione espulsiva invocata dalla ricorrente – “la più grave tra quelle previste in tema di procedure di gara” – non è contemplata da alcuna disposizione né della lex generalis (il d. lgs. n. 50/16), né della lex specialis (bando e disciplinare di gara), venendo invece fatta discendere, fin dalla ricostruzione operata da parte ricorrente, dalle Linee Guida Anac pubblicate nella G.U. n. 2 del 3.1.2017, che affermano la rilevanza delle penali che abbiano superato l’1% del valore lordo di appalto. Ciò, “…secondo l’assunto di parte ricorrente, trattandosi di soglia rilevante, la controinteressata avrebbe dovuto dichiararla al momento della presentazione dell’offerta, sicché il non averlo fatto integra l’ipotesi espulsiva di cui all’art. 80 co. 5 lett. c) d. lgs. n. 50/16 (“… il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”)…”.

L’assunto di parte ricorrente, tuttavia, non è stato condiviso dal Collegio.

E ciò, sotto un primo profilo, in quanto “:..le suddette Linee Guida in esame non sono state approvate con decreto ministeriale o interministeriale. Pertanto, come condivisibilmente affermato dal Consiglio di Stato nel parere 1.4.2016, n. 855 – ribadito con successivo parere 3.3.2017 sullo schema del decreto correttivo (d. lgs. n. 56/17) – esse non possiedono la forza normativa dei regolamenti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 17 comma 3 l. n. 400/88, con tutto ciò che ne deriva in termini di forza e valore dell’atto (tra l’altro: resistenza all’abrogazione da parte di fonti sottordinate e disapplicabilità entro i limiti fissati dalla giurisprudenza amministrativa in sede giurisdizionale)…”; con la conseguenza che dette Linee Guida non sono assimilabili alle fonti del diritto e “…non si vede come esse possano soddisfare il requisito del clare loqui predicato a livello eurounitario…”.

In sostanza“, osserva ancora il Collegio “…si pretende di ricavare la sanzione espulsiva non già dalla violazione di una precisa norma giuridica, ma da una prassi dettata da una autorità amministrativa (tale dovendosi intendere l’Anac), cui, nel caso di specie, non è attribuito alcun potere di normazione primaria o secondaria. Ed è appena il caso di precisare che, proprio perché trattasi di prassi, essa non soddisfa il requisito della certezza dei rapporti giuridici, ben potendo mutare nel corso del tempo. La qual cosa è tanto più vera se si considera che vi è, allo stato, una proposta di modifica delle Linee Guida Anac, della quale dà conto la Sezione Speciale Consultiva del Consiglio di Stato nel parere 13.11.2018, n. 2616/18. Vi si afferma, in particolare, che: “l’ANAC propone di <<integrare la previsione specificando che i provvedimenti di condanna al risarcimento del danno, le sanzioni e le penali rilevano se derivano da inadempienze particolarmente gravi o la cui ripetizione sia indice di una persistente carenza professionale>>, con eliminazione, inoltre, <<dell’obbligo di comunicazione delle penali di importo superiore all’1% del valore del contratto>>, sicché <<le stazioni appaltanti saranno tenute a comunicare esclusivamente le penali che rappresentano inadempienze particolarmente gravi o dimostrative, per la loro ripetitività, di una persistente carenza professionale>>. Ad avviso di questa Commissione speciale la scelta di merito compiuta appare equilibrata e ragionevole e non si hanno rilievi in punto di legittimità da svolgere in merito ad essa” (C.d.S, parere n. 2616/18 cit.).

Da ciò, l’impossibilità di considerare applicabile nella specie la sanzione espulsiva invocata da parte ricorrente, in quanto “…in stridente contrasto con il citato principio del “parlar chiaro”, predicato dalla giurisprudenza eurounitaria e nazionale..”, dovendosi di contro concludere nel senso che la concorrente controinteressata non si era in effetti resa autrice di informazioni false o fuorvianti (art. 80 co. 5 lett. c) d. lgs. n. 50/16) ed era stata per ciò del tutto doverosamente e legittimamente ammessa alla gara.

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