Fiscalizzazione degli abusi edilizi: come si misura la sanzione alternativa alla demolizione? I dubbi del Consiglio di Stato

In cosa consiste e come opera la c.d. fiscalizzazione dell’abuso edilizio

La c.d. fiscalizzazione dell’abuso edilizio rappresenta una sanzione alternativa e derogatoria rispetto a quella primaria e a regime che scaturisce dall’accertamento di un abuso edilizio, consistente nella demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi.

La “fiscalizzazione” è ammessa – soltanto eccezionalmente – quando nella fase di esecuzione della sanzione di ripristino e/o demolizione, l’ufficio tecnico comunale accerti che la demolizione della parte abusiva non sia possibile senza compromettere la parte assentita.

In quel caso, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria, in relazione ad alcuni criteri e parametri, diversamente commisurati dalle norme che ne consentono l’applicazione.

Per la verità, non in tutti i casi è ammessa l’applicazione di tale istituto.

In particolare, non è consentita – non costituendo fattibile alternativa alla demolizione – in caso di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali.

E nemmeno nel caso di interventi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici in assenza di permesso di costruire o SCIA alternativa.

La misura alternativa della fiscalizzazione a seguito dell’accertata impossibilità materiale del ripristino “quo ante” è invece possibile laddove si tratti di:

  1. interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti in assenza di permesso di costruire o in totale difformità (ai sensi dell’articolo 33 del Testo Unico Edilizia, D.P.R. 380/2001);
  2. interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire (ai sensi dell’articolo 34 del Testo Unico Edilizia, D.P.R. 380/2001);
  3. interventi eseguiti in base a permesso annullato (ai sensi dell’articolo 38 del Testo Unico Edilizia, D.P.R. 380/2001).

In merito a tali casi può dirsi, per tutti, che la ratio va certamente ricercata nell’obiettivo di tutelare l’integrità strutturale di quegli edifici che nascono legittimi o da un titolo legittimo, ma che – in fase di costruzione o successivamente – abbiano successivamente subito trasformazioni o rilevanti difformità su una parte dell’immobile.

Sull’eventuale effetto sanante dell’abuso

Premesso tale breve inquadramento dell’istituto, va sinteticamente fatto cenno alle conseguenze derivanti dal pagamento della sanzione sullo “stato illegittimo” dell’immobile oggetto di abuso edilizio, ovvero sull’eventuale “effetto sanante” sull’abuso.

Tale effetto è invero ammesso nel caso di cui al punto iii., e ciò per espressa disposizione legislativa, poiché il comma 2 dell’articolo 38 del T.U. Edilizia sopra citato, stabilisce che “…l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36…”.

Analoga disposizione non si rinviene con riguardo agli interventi di ristrutturazione edilizia di cui al superiore punto 1., né con riferimento agli interventi parzialmente difformi dal permesso di costruire di cui al punto 2.

Ne deriva come non si possa certamente interpretare la fiscalizzazione quale una procedura di sanatoria, né di accertamento di conformità (istituti autonomamente e specificamente disciplinati dagli articoli 36 e 37 del Testo Unico Edilizia).

L’immobile oggetto di misure di fiscalizzazione dell’abuso edilizio (nei casi di cui ai punti 1. e 2. sopra individuati) rimane dunque caratterizzato e afflitto da una difformità “non rimovibile”; in via sostanziale, non potrà essere demolito, né sanato (ferme restando le questioni sulla eventuale commerciabilità di immobili oggetto di tali misure, che per ragioni di sintesi non possono essere compiutamente affrontate in questa sede).

Quanto “pago” per la fiscalizzazione dell’abuso?

Questione diversa e che sta interessando trasversalmente le diverse ipotesi di cui agli articoli 33 e 34 del Testo Unico Edilizia (ovvero i casi di pagamento della sanzione alternativa pecuniaria nei casi di ristrutturazione edilizia eseguiti senza permesso di costruire o parzialmente difforme e interventi parzialmente difformi dal permesso di costruire) concerne poi l’individuazione della misura di tale sanzione, ovvero ancora i parametri per la quantificazione della sanzione medesima.

Tale aspetto invero, anche per la complessa formulazione della norma, ha dato adito a diverse interpretazioni.

Tanto è vero che il Consiglio di Stato – con l’Ordinanza del 13 luglio 2023, numero 6865 – ha rimesso all’Adunanza plenaria (ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a.) il dubbio interpretativo sulla quantificazione della sanzione pecuniaria applicata ai sensi dell’art. 33, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Le previsioni dell’articolo 33 comma 2 del Testo Unico Edilizia

L’articolo 33 del Testo Unico Edilizia, relativo agli Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, prevede per il caso in cui il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile l’irrogazione di “…una sanzione pecunaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, e con riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione….

Il contenzioso innanzi al TAR

La vicenda, nel caso all’esame del Consiglio di Stato, è scaturita dalla impugnazione, innanzi al TAR Lombardia, di un provvedimento di fiscalizzazione dell’illecito disposto dal Comune di Bormio ai sensi dell’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001, dopo aver accertato (su dichiarazione della proprietaria e relativa verifica tecnica) che la demolizione delle opere edilizie abusive della unità immobiliare oggetto del procedimento avrebbe arrecato pregiudizio alle adiacenti unità immobiliari legittimamente realizzate.

La ricorrente proprietaria non contestava in giudizio le consistenze delle superfici abusive, né quelle del costo di produzione al momento dell’abuso (riferite all’anno 1993) che avevano condotto alla individuazione degli importi oggetto di sanzione.

Bensì contrastava l’attualizzazione di quel costo unitario all’anno (2020) durante il quale era accertato l’abuso edilizio, sostenendo la violazione dell’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001, il cui tenore letterale – ad avviso della ricorrente – inequivocabilmente fissava il valore del costo di produzione al momento dell’abuso (nel caso di specie al 1993).

Il TAR, nel marzo del 2022, rigettava il ricorso, avendo ritenuto la disposizione di legge di cui all’art. 33, comma, 2 del D.P.R. n. 380 del 2001:

– chiara nel rapportare l’entità della sanzione al doppio dell’aumento di valore dell’immobile determinato alla data di ultimazione dei lavori in base ai criteri della l. n. 392 del 1978;

– meno chiara nel riferimento “all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale” sia soprattutto alla necessità dell’aggiornamento “alla data di esecuzione dell’abuso”, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione.

Il TAR riteneva infatti che:

  1. se la “data di esecuzione” coincidesse puramente e semplicemente con quella di “ultimazione dei lavori” – come voluto dalla ricorrente –, allora non avrebbe alcun senso il riferimento all’aggiornamento secondo l’indice ISTAT;
  2. per evitare una interpretazione “sostanzialmente abrogante”, occorre ritenere che la “data di esecuzione dell’abuso” sia la data in cui l’abuso viene per così dire fiscalizzato, essendo l’abuso edilizio un illecito permanente, che resta in “esecuzione” finché non è determinata la sanzione pecuniaria sostitutiva di quella demolitoria nei confronti del responsabile;
  3. l’interpretazione riferita è coerente con l’impianto sistematico delle norme sulla fiscalizzazione dell’abuso, ed in specie con l’articolo 34 del T.U. Edilizia, con quanto ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa che richiede che la fiscalizzazione degli abusi edilizi debba conto dei valori vigenti al momento di presentazione della relativa domanda, impedendo così all’autore dell’abuso di poter guadagnare un vantaggio economico nel tempo tra l’illecito commesso e la determinazione della sanzione;
  4. l’articolo 33, comma 2, del vigente T.U. Edilizia riproduce la disposizione dell’abrogato art. 9 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che però non conteneva alcun riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale e aggiornato sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione. Ciò che spiega l’inserimento nel testo dell’art. 33, comma, 2 del D.P.R. n. 380 del 2001 del meccanismo di adeguamento in correlazione con l’abrogazione, nel 1998, dell’art. 22 della legge n. 392 del 1978 l. n. 392 che prevedeva un adeguamento periodico con cadenza annuale tramite decreti ministeriali.

Il procedimento in appello, le diverse posizioni della proprietà e del Comune e il persistere dei dubbi del g.a.

Il ricorso in appello innanzi al Consiglio di Stato, intentato dalla ricorrente soccombente al TAR, non ha mutato le sorti della vicenda, confermando invece i dubbi del giudice amministrativo.

Così, mentre l’attualizzazione operata dall’amministrazione comunale del costo di produzione al momento della irrogazione della sanzione pecuniaria (in luogo di quella ripristinatoria) è inammissibile secondo l’appellante in mancanza di espresso fondamento normativo, secondo l’amministrazione comunale e le conclusioni del giudice di primo grado resta giustificato da esigenze di giustizia sostanziale e da ragioni sistematiche.

Il Consiglio di Stato, richiamando i precedenti giurisprudenziali in merito alla logica e ratio dell’istituto, ha ricordato come con la c.d. fiscalizzazione “…il legislatore ha pertanto inteso salvaguardare lo status esistente al momento dell’esecuzione della rimozione o della demolizione quando il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile (per il pregiudizio che detto ripristino potrebbe comportare a quanto legittimamente edificato), senza che ciò costituisca un’abdicazione del potere sanzionatorio, trasformando piuttosto la misura reale in misura pecuniaria e assegnando a quest’ultima la stessa identica sanzione risarcitoria della collettività, offesa dall’abuso edilizio…”.

Pur ritenendo chiare la struttura, la ratio e la finalità della norma, il Consiglio di Stato dichiara la persistenza di dubbi derivanti dall’applicazione in concreto della norma medesima e ciò in particolare con riferimento al secondo termine temporale della disposizione di cui all’articolo 33 comma 2:

  1. sia quanto alle modalità di individuazione “dell’ultimo costo di produzione” determinato con decreto ministeriale, aggiornato dalla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di produzione;
  2. sia con riferimento al giusto significato da attribuire all’espressione “alla data di esecuzione dell’abuso”.

Le ragioni dell’incertezza nell’interpretazione della norma

In particolare, il Consiglio di Stato con la sua ordinanza:

  • dubita dell’applicazione letterale della norma, secondo le tesi della ricorrente/appellante;
  • conferma che il rischio d’una interpretazione letterale starebbe nel conferire un evidente vantaggio ingiusto e intollerabile a chi ha commesso l’abuso edilizio, non garantendo né l’effettività della pretesa punitiva, né il giusto risarcimento alla comunità danneggiata dall’abuso;
  • valorizza la natura derogatoria della sanzione pecuniaria rispetto a quella primaria (della rimozione o della demolizione dell’abuso), ammessa come tale in via eccezionale;
  • evidenzia come il legislatore, con le previsioni di cui si discute, non abbia voluto abdicare al potere sanzionatorio della misura;
  • spiega la difficoltà di combinare l’utilizzo dei diversi parametri imposti dalla norma;
  • registra l’assenza di consolidati e pertinenti orientamenti in materia, e ciò riferendo dei contrasti interpretativi sia con riferimento all’articolo 34 comma 2 del T.U. Edilizia, rispetto alla necessità di attualizzare il valore al momento dell’esecuzione dell’abuso;
  • riferisce dei precedenti giurisprudenziali riferiti all’articolo 33 comma 2 che depongono per tenere conto del valore dell’opera al momento in cui la sanzione è applicata.

Le questioni rimesse all’Adunanza Plenaria

Il Consiglio di Stato pertanto formula all’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:

– se con l’espressione “data di esecuzione dell’abuso”, di cui all’art. 33, comma 2, debba intendersi il momento di completamento dell’abuso ovvero in cui l’abuso è stato accertato dai competenti uffici pubblici ovvero sia stato denunciato dall’interessato a mezzo della richiesta di un condono o ancora quello di irrogazione della sanzione pecuniaria o demolitoria, intendendosi cioè l’espressione come momento di cessazione dell’abuso;

– se, in mancanza dei decreti ministeriali di determinazione del costo di produzione per la realizzazione degli immobili ex art. 22 della l. n. 392 del 1078), ai fini della determinazione della giusta sanzione pecuniaria ex art. 33, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 possa procedersi all’attualizzazione, secondo gli indici ISTAT, al momento di irrogazione della sanzione pecuniaria dei valori risultanti dagli ultimi decreti ministeriali (30 gennaio 1997 e 18 dicembre 1998) ovvero se ancora l’attualizzazione possa essere quantomeno limitata al momento della scoperta dell’abuso o della sua denunzia (istanza di condono).

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Fiscalizzazione degli abusi edilizi: come si misura la sanzione alternativa alla demolizione? I dubbi del Consiglio di Stato

Published On: 27 Settembre 2023

In cosa consiste e come opera la c.d. fiscalizzazione dell’abuso edilizio

La c.d. fiscalizzazione dell’abuso edilizio rappresenta una sanzione alternativa e derogatoria rispetto a quella primaria e a regime che scaturisce dall’accertamento di un abuso edilizio, consistente nella demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi.

La “fiscalizzazione” è ammessa – soltanto eccezionalmente – quando nella fase di esecuzione della sanzione di ripristino e/o demolizione, l’ufficio tecnico comunale accerti che la demolizione della parte abusiva non sia possibile senza compromettere la parte assentita.

In quel caso, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria, in relazione ad alcuni criteri e parametri, diversamente commisurati dalle norme che ne consentono l’applicazione.

Per la verità, non in tutti i casi è ammessa l’applicazione di tale istituto.

In particolare, non è consentita – non costituendo fattibile alternativa alla demolizione – in caso di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali.

E nemmeno nel caso di interventi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici in assenza di permesso di costruire o SCIA alternativa.

La misura alternativa della fiscalizzazione a seguito dell’accertata impossibilità materiale del ripristino “quo ante” è invece possibile laddove si tratti di:

  1. interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti in assenza di permesso di costruire o in totale difformità (ai sensi dell’articolo 33 del Testo Unico Edilizia, D.P.R. 380/2001);
  2. interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire (ai sensi dell’articolo 34 del Testo Unico Edilizia, D.P.R. 380/2001);
  3. interventi eseguiti in base a permesso annullato (ai sensi dell’articolo 38 del Testo Unico Edilizia, D.P.R. 380/2001).

In merito a tali casi può dirsi, per tutti, che la ratio va certamente ricercata nell’obiettivo di tutelare l’integrità strutturale di quegli edifici che nascono legittimi o da un titolo legittimo, ma che – in fase di costruzione o successivamente – abbiano successivamente subito trasformazioni o rilevanti difformità su una parte dell’immobile.

Sull’eventuale effetto sanante dell’abuso

Premesso tale breve inquadramento dell’istituto, va sinteticamente fatto cenno alle conseguenze derivanti dal pagamento della sanzione sullo “stato illegittimo” dell’immobile oggetto di abuso edilizio, ovvero sull’eventuale “effetto sanante” sull’abuso.

Tale effetto è invero ammesso nel caso di cui al punto iii., e ciò per espressa disposizione legislativa, poiché il comma 2 dell’articolo 38 del T.U. Edilizia sopra citato, stabilisce che “…l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36…”.

Analoga disposizione non si rinviene con riguardo agli interventi di ristrutturazione edilizia di cui al superiore punto 1., né con riferimento agli interventi parzialmente difformi dal permesso di costruire di cui al punto 2.

Ne deriva come non si possa certamente interpretare la fiscalizzazione quale una procedura di sanatoria, né di accertamento di conformità (istituti autonomamente e specificamente disciplinati dagli articoli 36 e 37 del Testo Unico Edilizia).

L’immobile oggetto di misure di fiscalizzazione dell’abuso edilizio (nei casi di cui ai punti 1. e 2. sopra individuati) rimane dunque caratterizzato e afflitto da una difformità “non rimovibile”; in via sostanziale, non potrà essere demolito, né sanato (ferme restando le questioni sulla eventuale commerciabilità di immobili oggetto di tali misure, che per ragioni di sintesi non possono essere compiutamente affrontate in questa sede).

Quanto “pago” per la fiscalizzazione dell’abuso?

Questione diversa e che sta interessando trasversalmente le diverse ipotesi di cui agli articoli 33 e 34 del Testo Unico Edilizia (ovvero i casi di pagamento della sanzione alternativa pecuniaria nei casi di ristrutturazione edilizia eseguiti senza permesso di costruire o parzialmente difforme e interventi parzialmente difformi dal permesso di costruire) concerne poi l’individuazione della misura di tale sanzione, ovvero ancora i parametri per la quantificazione della sanzione medesima.

Tale aspetto invero, anche per la complessa formulazione della norma, ha dato adito a diverse interpretazioni.

Tanto è vero che il Consiglio di Stato – con l’Ordinanza del 13 luglio 2023, numero 6865 – ha rimesso all’Adunanza plenaria (ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a.) il dubbio interpretativo sulla quantificazione della sanzione pecuniaria applicata ai sensi dell’art. 33, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Le previsioni dell’articolo 33 comma 2 del Testo Unico Edilizia

L’articolo 33 del Testo Unico Edilizia, relativo agli Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, prevede per il caso in cui il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile l’irrogazione di “…una sanzione pecunaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, e con riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione….

Il contenzioso innanzi al TAR

La vicenda, nel caso all’esame del Consiglio di Stato, è scaturita dalla impugnazione, innanzi al TAR Lombardia, di un provvedimento di fiscalizzazione dell’illecito disposto dal Comune di Bormio ai sensi dell’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001, dopo aver accertato (su dichiarazione della proprietaria e relativa verifica tecnica) che la demolizione delle opere edilizie abusive della unità immobiliare oggetto del procedimento avrebbe arrecato pregiudizio alle adiacenti unità immobiliari legittimamente realizzate.

La ricorrente proprietaria non contestava in giudizio le consistenze delle superfici abusive, né quelle del costo di produzione al momento dell’abuso (riferite all’anno 1993) che avevano condotto alla individuazione degli importi oggetto di sanzione.

Bensì contrastava l’attualizzazione di quel costo unitario all’anno (2020) durante il quale era accertato l’abuso edilizio, sostenendo la violazione dell’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001, il cui tenore letterale – ad avviso della ricorrente – inequivocabilmente fissava il valore del costo di produzione al momento dell’abuso (nel caso di specie al 1993).

Il TAR, nel marzo del 2022, rigettava il ricorso, avendo ritenuto la disposizione di legge di cui all’art. 33, comma, 2 del D.P.R. n. 380 del 2001:

– chiara nel rapportare l’entità della sanzione al doppio dell’aumento di valore dell’immobile determinato alla data di ultimazione dei lavori in base ai criteri della l. n. 392 del 1978;

– meno chiara nel riferimento “all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale” sia soprattutto alla necessità dell’aggiornamento “alla data di esecuzione dell’abuso”, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione.

Il TAR riteneva infatti che:

  1. se la “data di esecuzione” coincidesse puramente e semplicemente con quella di “ultimazione dei lavori” – come voluto dalla ricorrente –, allora non avrebbe alcun senso il riferimento all’aggiornamento secondo l’indice ISTAT;
  2. per evitare una interpretazione “sostanzialmente abrogante”, occorre ritenere che la “data di esecuzione dell’abuso” sia la data in cui l’abuso viene per così dire fiscalizzato, essendo l’abuso edilizio un illecito permanente, che resta in “esecuzione” finché non è determinata la sanzione pecuniaria sostitutiva di quella demolitoria nei confronti del responsabile;
  3. l’interpretazione riferita è coerente con l’impianto sistematico delle norme sulla fiscalizzazione dell’abuso, ed in specie con l’articolo 34 del T.U. Edilizia, con quanto ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa che richiede che la fiscalizzazione degli abusi edilizi debba conto dei valori vigenti al momento di presentazione della relativa domanda, impedendo così all’autore dell’abuso di poter guadagnare un vantaggio economico nel tempo tra l’illecito commesso e la determinazione della sanzione;
  4. l’articolo 33, comma 2, del vigente T.U. Edilizia riproduce la disposizione dell’abrogato art. 9 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che però non conteneva alcun riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale e aggiornato sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione. Ciò che spiega l’inserimento nel testo dell’art. 33, comma, 2 del D.P.R. n. 380 del 2001 del meccanismo di adeguamento in correlazione con l’abrogazione, nel 1998, dell’art. 22 della legge n. 392 del 1978 l. n. 392 che prevedeva un adeguamento periodico con cadenza annuale tramite decreti ministeriali.

Il procedimento in appello, le diverse posizioni della proprietà e del Comune e il persistere dei dubbi del g.a.

Il ricorso in appello innanzi al Consiglio di Stato, intentato dalla ricorrente soccombente al TAR, non ha mutato le sorti della vicenda, confermando invece i dubbi del giudice amministrativo.

Così, mentre l’attualizzazione operata dall’amministrazione comunale del costo di produzione al momento della irrogazione della sanzione pecuniaria (in luogo di quella ripristinatoria) è inammissibile secondo l’appellante in mancanza di espresso fondamento normativo, secondo l’amministrazione comunale e le conclusioni del giudice di primo grado resta giustificato da esigenze di giustizia sostanziale e da ragioni sistematiche.

Il Consiglio di Stato, richiamando i precedenti giurisprudenziali in merito alla logica e ratio dell’istituto, ha ricordato come con la c.d. fiscalizzazione “…il legislatore ha pertanto inteso salvaguardare lo status esistente al momento dell’esecuzione della rimozione o della demolizione quando il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile (per il pregiudizio che detto ripristino potrebbe comportare a quanto legittimamente edificato), senza che ciò costituisca un’abdicazione del potere sanzionatorio, trasformando piuttosto la misura reale in misura pecuniaria e assegnando a quest’ultima la stessa identica sanzione risarcitoria della collettività, offesa dall’abuso edilizio…”.

Pur ritenendo chiare la struttura, la ratio e la finalità della norma, il Consiglio di Stato dichiara la persistenza di dubbi derivanti dall’applicazione in concreto della norma medesima e ciò in particolare con riferimento al secondo termine temporale della disposizione di cui all’articolo 33 comma 2:

  1. sia quanto alle modalità di individuazione “dell’ultimo costo di produzione” determinato con decreto ministeriale, aggiornato dalla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di produzione;
  2. sia con riferimento al giusto significato da attribuire all’espressione “alla data di esecuzione dell’abuso”.

Le ragioni dell’incertezza nell’interpretazione della norma

In particolare, il Consiglio di Stato con la sua ordinanza:

  • dubita dell’applicazione letterale della norma, secondo le tesi della ricorrente/appellante;
  • conferma che il rischio d’una interpretazione letterale starebbe nel conferire un evidente vantaggio ingiusto e intollerabile a chi ha commesso l’abuso edilizio, non garantendo né l’effettività della pretesa punitiva, né il giusto risarcimento alla comunità danneggiata dall’abuso;
  • valorizza la natura derogatoria della sanzione pecuniaria rispetto a quella primaria (della rimozione o della demolizione dell’abuso), ammessa come tale in via eccezionale;
  • evidenzia come il legislatore, con le previsioni di cui si discute, non abbia voluto abdicare al potere sanzionatorio della misura;
  • spiega la difficoltà di combinare l’utilizzo dei diversi parametri imposti dalla norma;
  • registra l’assenza di consolidati e pertinenti orientamenti in materia, e ciò riferendo dei contrasti interpretativi sia con riferimento all’articolo 34 comma 2 del T.U. Edilizia, rispetto alla necessità di attualizzare il valore al momento dell’esecuzione dell’abuso;
  • riferisce dei precedenti giurisprudenziali riferiti all’articolo 33 comma 2 che depongono per tenere conto del valore dell’opera al momento in cui la sanzione è applicata.

Le questioni rimesse all’Adunanza Plenaria

Il Consiglio di Stato pertanto formula all’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:

– se con l’espressione “data di esecuzione dell’abuso”, di cui all’art. 33, comma 2, debba intendersi il momento di completamento dell’abuso ovvero in cui l’abuso è stato accertato dai competenti uffici pubblici ovvero sia stato denunciato dall’interessato a mezzo della richiesta di un condono o ancora quello di irrogazione della sanzione pecuniaria o demolitoria, intendendosi cioè l’espressione come momento di cessazione dell’abuso;

– se, in mancanza dei decreti ministeriali di determinazione del costo di produzione per la realizzazione degli immobili ex art. 22 della l. n. 392 del 1078), ai fini della determinazione della giusta sanzione pecuniaria ex art. 33, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 possa procedersi all’attualizzazione, secondo gli indici ISTAT, al momento di irrogazione della sanzione pecuniaria dei valori risultanti dagli ultimi decreti ministeriali (30 gennaio 1997 e 18 dicembre 1998) ovvero se ancora l’attualizzazione possa essere quantomeno limitata al momento della scoperta dell’abuso o della sua denunzia (istanza di condono).

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