Risarcimento danni in caso di illegittimo annullamento in autotutela della gara
Il Consiglio di Stato, con la sentenza numero 2181 del 2 aprile 2019 in materia di risarcimento danni per illegittima esclusione da gara pubblica, a sua volta illegittimamente annullata in autotutela dalla Stazione appaltante, ha inteso dare continuità all’ormai consolidato orientamento per cui:
- qualora la gara sia stata illegittimamente aggiudicata ad altra impresa concorrente, l’impresa esclusa potrà chiedere i danni da mancata aggiudicazione, parametrati al c.d. interesse positivo, e quindi all’utile netto ritraibile dal contratto, oltre che ai pregiudizi di tipo curriculare e all’immagine commerciale della società, ingiustamente privata di una commessa pubblica;
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diversamente, nel caso di responsabilità precontrattuale della la p.a. (e quindi qualora, come nel caso sottoposto al Consiglio di Stato nella decisione in rassegna, la Stazione appaltante abbia illegittimamente annullato in autotutela la gara, con violazione delle norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza), l’impresa esclusa potrà ottenere solo il risarcimento del danno parametrato al c.d. interesse negativo, ravvisabile – nel caso delle procedure ad evidenza pubblica – nelle spese inutilmente sopportate per parteciparvi e nella perdita di occasioni di guadagno alternative (Cons. St., sez. V, 3 gennaio 2019, n. 697; id. 27 marzo 2017, n. 1364; id., sez. IV, 20 febbraio 2014, n. 790; id., V, 6 marzo 2013, n. 1357).
Ribadisce infatti il Supremo Consesso che in caso di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione “..il danno risarcibile non è mai commisurato alle utilità che sarebbero derivate dal contratto sfumato, ma al c.d. interesse negativo (l’interesse appunto a non subire indebite interferenze nell’esercizio della libertà negoziale) (…) ravvisabile nel caso delle procedure ad evidenza pubblica nelle spese inutilmente sopportate per parteciparvi e nella perdita di occasioni di guadagno alternative”, mentre nel diverso caso di illegittima (e quindi mancata) aggiudicazione i danni “..sono parametrati al c.d. interesse positivo e consistono nell’utile netto ritraibile dal contratto, oltre che nei pregiudizi di tipo curriculare e all’immagine commerciale della società, ingiustamente privata di una commessa pubblica..” .
Nello specifico caso deciso, tuttavia, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la parte asseritamente danneggiata non avesse, in apice, perimetrato l’ambito delle pregiudizievoli conseguenze rinvenienti dalla condotta illecita dell’Amministrazione, “…evocando, in via del tutto generale, possibili voci di costo senza però alcun concreto aggancio alle concrete e dirette conseguenze generate dal negativo impatto della condotta illecita serbata dall’Amministrazione con la propria sfera giuridica...” ed omettendo completamente di documentare le spese sostenute, sia quelle vive sia i presunti ulteriori costi direttamente conseguenti all’inutile partecipazione alla procedura.
Da ciò, la riforma della decisione di primo grado che pure aveva liquidato in via equitativa il danno richiesto da parte ricorrente (e poi appellata), sul presupposto che “…l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, dall’altro non ricomprende anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno, nè esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l’apprezzamento equitativo sia per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell’iter della determinazione dell’equivalente pecuniario del danno” (ex plurimis, Cass. Civ., II, 22.2.18, n° 4310)….”.